Spettacolarizzazione della storia a fini commerciali e neutralizzazione politica

S'imàgine podet cuntènnere: text that says 'Invitano Evento virtuale LIVE REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA ARCHEOLOGIKA 2021 TURISMO, un'isola di storie antiche SARDEGNATURISMO.ONLINE @VisitSardinia matex-tx @Matoxtv @Matextv unionesarda.it Cagliaripad Sardiniapost Sardegnaevent24 Sardegnalive Castedduonline Youtg.net Sardegnauno SABATO19DICEMBRE2020ore PROGRAMMA Saluti: Christian Solinas, Presidente della Regione Giovanni Assessore regionale Turismo Franceschini del Culturali Turismo Maura Picciau Soprintendente Beni cultural Cagliari Oristano Nuoro Cagliari Maurizio Pascale Presidente della Camera In collegamento: Mario Tozzi Cucciari Roberto Giacobbo Isabel Russinova Vittorio Sgarbi Christian Greco scienza la ricerca: Rossana Martorelli Universita Cagliari Mastino, Università Sassari Alberto Moravetti Università Sassari SARDEGNA Turismo Ministeru cullur perilturismo'

C’erano Giacobbo, Isabel Russinova, Sgarbi, Solinas e Chessa… Sembra l’inizio di una barzelletta. La parte stereotipata del sardo troglodita ma astuto spetterebbe ai nostri prodi governanti, immagino.

Come si vede, però, non ci sono solo loro, nel programma surreale di questo evento. Ci sono il MIBAC, le Soprintendenze sarde (articolazioni locali del medesimo ministero) e tre rappresentanti degli atenei isolani, due dei quali però in pensione (quindi, lì a titolo personale? chissà…).

Una manifestazione istituzionale ai massimi livelli, dunque, ma con una componente di intrattenimento molto mainstream e al contempo sbarazzina. Diciamo pure trash. Il che forse denuncia, più che altro, la qualità dell’immaginario della nostra classe dirigente, intossicata di televisione italiana (di quella brutta), ottusamente italocentrica.

Non oso pensare a quanto sia costata questa cosa e se vogliamo è pure l’aspetto meno rilevante (ma non del tutto irrilevante, beninteso). La prima cosa da notare invece è che anche in questa circostanza si perpetua la solita narrazione di una Sardegna ostinatamente legata al proprio lontano passato, imposto come a elemento decisivo di identificazione. Con tutte le connotazioni stereotipate annesse e connesse.

C’è anche la chiara volontà di spostare tutto l’apparato narrativo e simbolico dentro un quadro più strettamente turistico-commerciale, secondo l’intuizione da anni caldeggiata dalla combriccola dei Riformatori e da altri avventurieri a loro vicini o contigui, propensi alla privatizzazione del patrimonio storico-archeologico a scopo di profitto.

Naturalmente è del tutto plausibile che alcuni dei partecipanti sbandierati nella locandina o non sappiano dove li hanno infilati o ne abbiano un’idea vaga. Dopo tutto, trattandosi di evento istituzionale, qualcuno potrebbe illudersi che non possa non essere una cosa seria.

Preciso che la serietà, o la sua mancanza, non è data solo o tanto dalla presenza di esponenti del mondo della televisione o dello spettacolo. È un evento mondano e di promozione, dopo tutto. E l’idea di una purezza degli studi accademici, da tenere alla larga dalle sozzure mondane, può affascinare qualcuno, ma di per sé è abbastanza ridicola.

Caso mai si potrebbe obiettare qualcosa nella scelta dei partecipanti, nel taglio che la presentazione dell’evento fa ipotizzare, nella scarsa qualità dell’insieme. Certo, anche questa è solo un’opinione, si dirà.

L’episodio tuttavia segnala anche un altro aspetto relativo alla conoscenza, alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio storico. Le diatribe periodiche tra archeo-buoni (ossia difensori dell’ortodossia accademica) e i fantarcheologi (ossia i propugnatori di tesi alternative, più o meno estreme e più o meno fantasiose) sono solo un gioco delle parti, o di ruolo se si preferisce. Una forma di legittimazione reciproca in cui quello che conta veramente sono l’ego di chi partecipa, gelosie professionali, corporativismo, giochi di potere. All’occorrenza, si trova facilmente una sintesi.

L’impressione è che a troppi protagonisti delle continue polemiche e dei reciproci atti di scomunica non importi nulla della socializzazione della conoscenza storica e della diffusione del senso critico tra i cittadini. Anzi, chi indugia su questo piano della faccenda è considerato un nemico da entrambe le fazioni.

Poi c’è la questione del prof. Billeci. Lo vedete lì, tra i partecipanti, come rappresentante della Soprintendenza di Sassari e Nuoro. Billeci è stato nominato qualche mese fa responsabile dei musei statali in Sardegna. Ha avuto (non so se l’abbia ancora) anche qualche incarico di insegnamento all’Università di Sassari, nel corso di laurea in architettura. Ma il problema rappresentato dal prof. Billeci non è il suo stakanovismo. Il problema è che lui, nella sua veste di Soprintendente, è il responsabile della censura ripetuta su diversi Comuni sardi intenzionati a mutare la propria odonomastica sabauda.

Evidentemente, le istituzioni culturali statali nell’isola non si scompongono per tesi immaginifiche e molto discutibili, tipo lo tsunami e o l’identificazione della Sardegna con Atlantide, né per l’enfatizzazione di glorie di un passato lontano, del resto sempre a maggior gloria dell’Italia; diventano idrofobi, invece, alla sola idea che qualcuno, magari un’autorità politica democratica eletta, voglia modificare le denominazioni viarie contemporanee. C’è del metodo, in tutto questo, va riconosciuto.

Come c’è del metodo nell’adesione a tali cornici della nostra classe dirigente. Che è disposta a rivendicare qualsiasi cosa, persino un mito delle origini particolarmente ingombrante, a patto di non mettere mai in discussione il rapporto di dipendenza e di subalternità nel quale sguazza e prospera.

Addirittura, nella scorsa legislatura regionale, la compagine guidata da Pigliaru, Paci e Maninchedda (tutti docenti universitari) aveva emanato due deliberazioni, in materia archeologica (la N. 48/37 del 17-10-2017 e la N. 52/18 del 23-10-2018), in cui sostanzialmente si stabiliva una connessione operativa diretta tra Regione ed enti locali da un lato e Ministero e Soprintendenze dall’altro, escludendo sostanzialmente dai progetti e dai finanziamenti le Università. Questione passata abbastanza sotto silenzio nei media, ma che non aveva mancato di suscitare qualche voce di protesta, nell’ambito accademico.

Certo, vedere le università ubicate in Sardegna come l’ultima ridotta del nazionalismo nostrano non è proprio la prima cosa che venga in mente. Ci sarebbe da ragionare su cosa voglia dire “università in Sardegna”, o “università sarda”, e prima di tutto se e quanto sia corretto parlarne in questi termini, ma naturalmente il discorso sarebbe lungo e non è possibile affrontarlo qui e ora.

In ogni caso, il centralismo italiano si è sempre sposato benissimo con le pulsioni proconsolari, o podatarie come preferisco dire, della classe dirigente sarda, anche di quella intellettuale. Dentro tale rapporto sbilanciato – ma favorevole alle due parti contraenti – c’è persino posto, se serve, per retoriche identitarie, per mitologie consolatorie, per l’“invenzione della tradizione”. Tutti dispositivi in realtà politicamente deprimenti e utili a consolidare lo status quo.

Così, anche quest’ennesima occasione, lungi dal dover suscitare perplessità o riprovazione, deve essere inserita in un contesto di subalternità culturale e politica consolidato, le cui manifestazioni esteriori mutano solo superficialmente e solo in funzione delle sensibilità e dei gusti personali dei protagonisti del momento, non certo nella sostanza.

Chiaramente tutto questo potrebbe anche suscitare qualche riflessione meno legata al contingente e/o agli schieramenti politici (di matrice italocentrica) che di norma si contendono lo spazio mediatico. Possibilmente, fuori dalle bolle autoreferenziali e sterili di Facebook. Per questo mi pareva opportuno parlarne. Di suo, purtroppo, non sarà certo la cosa peggiore che potremo addebitare alla giunta sardo-leghista e all’insieme della politica sarda istituzionale di questi anni.

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