La scuola pubblica da tempo ha smesso di essere un fattore di democratizzazione e di crescita civile.
L’ideologia anti-democratica e padronale, che pervade le istituzioni in Europa, in Italia si è sommata negli anni al favore verso la scuola privata, specie cattolica, e alla necessità di abbassare il livello culturale generale, onde controllare meglio le masse.
Il quadro è questo, se vogliamo parlare chiaro.
Non a caso assistiamo a due fenomeni paralleli: l’abbattimento della qualità della scuola pubblica da un lato (tramite la retorica della “meritocrazia”, della “produttività”, della “competitività”, delle “competenze”) e l’aumento delle diseguaglianze dall’altro.
Due fenomeni collegati.
Le ultime misure intraprese dalla nuova ministra dell’istruzione, così ottusamente punitive, così palesemente votate all’ulteriore disarticolazione del servizio, non meravigliano e non sono una novità.
Tutto congiura ai danni di una scuola pubblica, democratica, laica, libera, autonoma. Di una scuola che formi persone e cittadini consapevoli, non pura manodopera, bravi esecutori di mansioni stereotipate, esperti specialistici.
L’establishment padronale che domina l’informazione in Italia lavora alacremente, da anni, per costruire una base minima di consenso alle misure di indebolimento della scuola pubblica e alla privatizzazione dell’istruzione, in termini classisti.
Che il mondo della scuola abbia creduto di potersi salvare spostando una notevole mole di voti dal centrosinistra ai 5stelle si manifesta oggi come il clamoroso abbaglio già da tempo preconizzato.
Ritrovare al governo PD e 5stelle insieme, affratellati nella devastazione di quel che resta della scuola pubblica, appare come l’inevitabile nemesi di scelte troppo ingenue o troppo poco coraggiose.
Come sia messa la Sardegna in tale contesto, è facile constatarlo.
Con aggravanti tutte nostre, anche queste da tempo individuate.
Non aver puntato, già anni fa, sul pieno riconoscimento, anche normativo, della questione linguistica, è un’altra scelta che presenta oggi il conto.
Non è detto che si possa più rimediare. In ogni caso, non in tempi rapidi.
Non essersi opposti alle varie leggi e normative statali in materia scolastica, ha avuto un costo drammatico.
Aver rinunciato alle potestà già presenti nello Statuto e ancora di più alla battaglia politica per accrescerle, è un errore di portata storica.
Oggi resta poco da fare, al mondo della scuola, se non mobilitarsi in modo compatto, lucido e propositivo, per cercare prima di tutto di arrestare la tendenza.
La Sardegna, come detto fin troppe volte, ha necessità di rivedere radicalmente l’intero comparto scolastico, sulla base di un suo irrobustimento e di un suo adeguamento alla nostra realtà materiale, demografica e storico-geografica.
Insegnanti e personale scolastico in genere non devono più attendersi nulla dalla politica, né possono pensare che basti la delega a questa o quella compagine.
Specie se si tratta di compagini dalla mentalità coloniale, clientelari, dipendenti da leadership e interessi alieni all’isola.
Non possono né devono aspettarsi nulla nemmeno dalle sigle sindacali così come sono state fin qui, sempre passive, uno o più passi indietro rispetto alle dinamiche in corso.
Mi sento di poter serenamente ribadire quanto già scritto in proposito un anno fa, ma anche in occasioni precedenti (per es. qui, qui e qui).
La questione scolastica, in Sardegna, è inestricabilmente legata a tutte le altre partite strategiche aperte, non solo in ambito culturale, ma anche negli altri settori che toccano la vita concreta delle persone.
Con gli affetti che sappiamo a livello demografico e socio-economico.
Ignorare queste impedisce non solo di risolvere i problemi della scuola, ma prima ancora di comprenderli.
A parte rimandare a quanto già scritto in altri post, in questa circostanza mi preme soprattutto manifestare la mia solidarietà al mondo della scuola e in particolare ai tanti docenti precari che rischiano di vedere sconvolta la propria esistenza dall’ennesima misura governativa.
Tuttavia non possiamo ingannare noi stessi. Non è sfortuna, non è destino. Va bene manifestare e cercare di far valere in termini contingenti le proprie ragioni, ma il problema è strutturale e in questa prospettiva va affrontato.
La questione scuola (ed anche la questione universitaria, ad essa collegata) è una partita decisiva. Come tale va messa in agenda, in modo prioritario, da parte di chi intenda modificare in senso democratico ed emancipativo il drammatico corso delle cose nell’isola.