I dati sulla lettura in Italia, pubblicati dall’Istat e ripresi da vari organi di informazione (come qui), hanno suscitato in Sardegna qualche sorpresa, dato che l’isola si colloca ben sopra la media generale dell’Italia. Lo stupore però è del tutto ingiustificato e i commenti orgogliosi sono fuori posto.
Apprendere con sorpresa questa informazione, significa non conoscere la propensione alla lettura dei Sardi, pure certificata sotto varie forme in tutti gli ultimi anni. Non solo, ma attesta anche una adesione acritica al cliché della nostra estraneità al mondo e della nostra arretratezza (economica ma anche culturale). Tuttavia questo cliché è smentito dalla storia.
Gli esempi potrebbero essere tanti. Per rimanere all’epoca contemporanea, basterà ricordare il moltiplicarsi di libelli, riviste e giornali a metà Ottocento, allorché sotto re Carlo Alberto furono allentate le misure censorie più rigide (promosse dal suo predecessore Carlo Felice; sì, quel Carlo Felice). Del resto già in epoca rivoluzionaria la circolazione di stampa più o meno clandestina era abbastanza capillare, sia in sardo, sia in italiano. E stiamo parlando di periodi in cui l’alfabetizzazione era un fenomeno minoritario.
In Sardegna esiste da tempo una grande passione per la poesia e per la letteratura. Siamo un popolo a cui le storie piacciono da matti. Che si sia anche sviluppata nel tempo una letteratura nazionale cospicua e plurilingue non dovrebbe perciò destare alcuno stupore (cosa che invece accade regolarmente).
I Sardi leggono abbastanza anche o proprio perché leggono autori sardi. Potersi riconoscere in una produzione letteraria “di appartenenza”, per altro variegata e di buon valore, è un vantaggio non da poco.
Stupisce caso mai che a qualcuno questa circostanza dia fastidio. C’è una fetta dell’ambito intellettuale o para-intellettuale sardo, variamente intrecciato con quello politico, che mal tollera l’esistenza dei numerosi autori sardi. Un bel fenomeno anche questo.
Se il dato della propensione alla lettura dei Sardi non può stupire, non deve però nemmeno inorgoglirci. Avere come termine di paragone l’Italia non è precisamente una spinta all’emulazione virtuosa. Si rischia di accontentarci di poco.
E infatti in termini obiettivi il fatto che meno della metà dei Sardi legga almeno un libro all’anno dovrebbe allarmarci, non indurci a vantarcene. È un dato basso ed estremamente preoccupante, per altro in calo (rispetto ad esempio al 2009).
La causa non può essere cercata univocamente nelle difficoltà materiali, nella crisi economica e sociale in atto, altrimenti il calo sarebbe stato più consistente. C’è evidentemente qualche fattore che favorisce la lettura, a compensazione della difficoltà ad acquistare libri. Per esempio, la rete di biblioteche pubbliche in Sardegna, che esiste e resiste e ha ormai una sua dignitosissima storia. Peccato che la politica attuale tenda a dimenticarsene e la stia indebolendo pericolosamente.
Il problema è che si fa poco a livello generale per incentivare la lettura. La prima agenzia formativa in questo senso dovrebbe essere la scuola. Lo si ripete come un mantra. È vero, però è anche vero che molto fa l’ambiente familiare, la dimestichezza con l’oggetto libro che si matura in casa, l’esempio dei genitori.
Se alla lettura è annesso uno stigma sociale negativo, la scuola poco potrà fare per rovesciare i termini della questione. Viceversa, in un ambiente che riconosca valore alla lettura, la scuola ha il compito agevolato. Le iniziative di festival letterari, nonché di presentazione dei libri e dei loro autori, che in questi anni hanno superato il modello del grande evento nella grande città e si sono aperte a tutto il territorio, hanno un peso notevole.
Non è nemmeno vero che la lettura di libri sia minacciata da altri media, o è vero solo indirettamente. Non esiste alcuna antitesi tra lettura e fruizione di informazioni o di svago attraverso altri mezzi. Chi legge quasi sempre guarda anche la televisione e utilizza internet.
La Sardegna, per dire, ha un tasso di utilizzo di internet superiore alla media italiana, proprio come il tasso di lettura. Caso mai esiste un altro tipo di relazione tra questi media. E riguarda la capacità di lettura profonda.
Chi non ha dimestichezza con la lettura, fa fatica anche ad usare in tutta la loro potenzialità i meravigliosi strumenti che la tecnologia informatica ci mette a disposizione. Infatti è evidente la difficoltà di molti ad impiegare in modo critico e appropriato i social media, o le informazioni reperite in Rete. Ma non è colpa degli strumenti in sé, come spesso si da ad intendere.
Se al dato sulla lettura in Sardegna (in calo, come visto) si aggiunge quello sulla dispersione scolastica e quello sul tasso di laureati (alto il primo, basso il secondo), il giudizio complessivo sulla nostra condizione socio-culturale tende decisamente al pessimista. C’è molto di cui preoccuparsi.
Dato che è una questione politica, ed anche di natura strategica, sarebbe auspicabile che la politica istituzionale se ne facesse carico.
I risvolti di queste faccende sono anche di natura economica e attengono alla qualità della vita della popolazione. Esiste una relazione diretta tra lettura (e istruzione) e salute, per esempio. Senza considerare la rilevanza della diffusione del senso critico e l’importanza di irrobustire gli anticorpi contro il degrado politico e culturale.
Invece, malgrado l’attuale giunta regionale si ammanti della qualità di “giunta dei professori”, non sembra che l’attenzione per la cultura in generale e per la lettura in particolare (con tutte le sue implicazioni) siano in cima all’agenda di governo.
Non è un errore o un caso: è una scelta. È clamoroso e al contempo mortificante che in questo ambito chi ha fatto qualcosa siano quasi esclusivamente gli operatori del settore, gli attori privati, più che la politica istituzionale. Se qualcuno sostenesse – come succede – che è inevitabile, perché ci sono altre priorità, ricordiamoci che si tratta di una brutale menzogna, propalata ai nostri danni, e sentiamoci pure autorizzati a mandarlo a… leggere.