Toponomastica e potere

L’amministrazione comunale di Abbasanta (OR) ha cambiato la denominazione di un viale del paese, prima dedicato ad Antonio Gramsci, per intitolarlo ai caduti della Grande guerra. Abbasanta confina con Ghilarza, paese di Gramsci, perciò il fatto potrebbe essere derubricato a ripicca di campanile. Senonché questa sarebbe un’aggravante, non un’attenuante.

Il fatto è significativo in sé ed è anche altamente rappresentativo del potere della toponomastica. È significativo in sé, perché dimostra la profonda incomprensione della figura di Antonio Gramsci diffusa in modo generalizzato non solo presso l’opinione pubblica, ma anche e soprattutto presso la nostra classe politica e amministrativa, e presso la nostra classe dirigente nel suo insieme, accademia compresa.

Anche in questo la Sardegna paga un prezzo troppo alto alla sua sudditanza verso la sfera culturale e politica italiana. Solo in Italia, e di riflesso in Sardegna, Antonio Gramsci è una figura marginale. Viene ricordato di solito come uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia e poco più, oscurandone la rilevanza intellettuale, il peso filosofico e politico che invece nel resto del pianeta sono unanimemente riconosciuti. Diciamo che se questa vicenda dovesse mai essere risaputa fuori dal recinto sardo e italiano, sarebbe un ottimo motivo per riderci dietro.

Se poi pensiamo che al posto di Gramsci dovrebbero essere ricordati per l’ennesima volta i morti della Prima guerra mondiale (o di tutte le guerre, è lo stesso), la faccenda assume i connotati di un gesto politico deliberato. La retorica del sangue versato per la patria (ovviamente italiana) dovrebbe sostituirsi all’intelligenza e al pensiero liberante di uno dei massimi intellettuali del Novecento (massimi nel mondo, non in Sardegna, sia chiaro). Lo stereotipo dei sardi che si sacrificano (per interessi altrui) al posto dell’auspicio dei sardi che si ribellano alla sopraffazione. Non si può ignorare questo ulteriore aspetto semantico della faccenda.

Ma è anche importante rilevare la portata più generale di un cambio di denominazione viaria, come espressione della sfera del potere. La toponomastica è un fattore politico troppo sottovalutato. A parte questo caso concreto, bisognerebbe riflettere su quanto incida sulle nostre coscienze il repertorio dei nomi dati alle nostre strade e alle nostre piazze. Dalla Carlo Felice alle tante vie dedicate ai Savoia o a personaggi del Risorgimento italiano. Una forma di indottrinamento subliminale, diffuso e persistente, che non manca di avere il suo peso nell’immagine che abbiamo di noi stessi e del nostro posto nel mondo come collettività.

Se non suonasse ridicolo (in italiano), ci sarebbe da coniare un’altra categoria, a fianco alla biopolitica: la topopolitica. Se la biopolitica è l’azione di dominio esercitata dagli apparati di potere attraverso il controllo dei corpi, delle funzioni e delle relazioni fisiche delle persone, la topopolitica è l’azione di dominio esercitata attraverso la denominazione dei luoghi. Lo hanno sempre saputo i conquistatori e i detentori di poteri autoritari. Un esempio notevole, a parte la Sardegna, è il Tirolo oggi italiano.

Alla toponomastica è difficile sfuggire. Anche laddove si siano mantenuti i vecchi nomi dei luoghi, la loro perdita di ufficialità e di legittimità nell’uso ne decreta presto o tardi la scomparsa. A Nuoro nessuno parla più del Corso Garibaldi (forse la strada più importante della città) come della Bia Majore, e probabilmente molti nemmeno conoscono più il toponimo originario.

Quando però si ventila l’ipotesi di sostituire i toponimi più offensivi o più impropri, viene regolarmente sollevata l’obiezione relativa alla difficoltà pratica di questa scelta. Difficoltà di ridenominazione e difficoltà di aggiornamento dei documenti. Una argomentazione assolutamente fallace.

Moltissimi toponimi sardi sono stati modificati in tempi relativamente recenti, diciamo negli ultimi cento o cinquanta anni. Esistono vie con due nomi e con numerazioni diverse sovrapposte. Basta chiedere a chi si occupa di compilare la mappatura digitale dei luoghi, per avere un’idea della confusione esistente in materia. Le stesse denominazioni ufficiali hanno spesso diverse forme, a volte per una preposizione in più o in meno (tipo Piazza indipendenza anziché Piazza dell‘indipendenza, per fare un esempio a caso), a volte per differenze ancor più macroscopiche.

In ogni caso, come non c’è stato un collasso della civiltà in passato, allorché si è proceduto al rinnovo della toponomastica, non ci sarebbe ora. Con il vantaggio di disporre, oggi, di mezzi molto sofisticati per procedere a un’operazione anche radicale di ridenominazione dei luoghi.

Non è una faccenda di poco conto. Vedere i nostri centri abitati invasi da denominazioni celebrative dei Savoia suona estremamente disturbante, per chi abbia un minimo di coscienza storica. Interi quartieri dedicati a posti esotici (le varie via Timavo, via Tolmino, via Redipuglia, via Trincea delle Frasche, ecc. ecc.), memorabili solo per la quantità di giovani sardi che vi trovarono la morte, sono una potente arma di persuasione di massa.

L’esempio da seguire è quello di Santu Lussurgiu, dove le probabilità di incappare in un toponimo sabaudo sono prossime allo zero. E con ottime motivazioni, dato che uno dei più celebrati esponenti della casata piemontese (lo stesso Carlo Felice dell’omonima strada) aveva espresso nientemeno che il desiderio di distruggere il paese e di sterminarne la popolazione. E dal suo punto di vista non aveva nemmeno tutti i torti. Dovremmo chiederci se noi dobbiamo per forza condividere tale punto di vista o non piuttosto quello dei lussurgesi.

Uno dei compiti primari di una politica sarda che si rispetti dovrebbe essere la mappatura dell’intera toponomastica isolana e la sua ripulitura. Via loschi figuri che con la Sardegna non hanno nulla a che fare o che hanno fatto solo danni, via nomi di luoghi o di personaggi estranei, o in nulla significativi. Ripristino ove possibile delle denominazioni tradizionali e, dove necessario, attribuzione di denominazioni che richiamino la nostra storia (anche nelle sue parti dolorose, perché no?) e i personaggi che l’hanno attraversata in modo significativo.

Molti più Ugone III e nessun Vittorio Emanuele (I, II e III). Niente regina Elena o regina Margherita e più Adelasia di Torres o Marianna Bussalai. Basta Pascoli e Manzoni e largo a Paulu Mossa e Remundu Piras. E se qualcuno è troppo appassionato di fatti d’armi e di sangue, mettiamo una via Battaglia di Sant’Anna al posto di tutte le vie Col del Rosso o Trincea dei razzi, o una piazza Martiri di Thiesi al posto di tutte le piazze Martiri d’Italia. Le uniche denominazioni che non cambierei, ma questo è un gusto personale che non pretendo sia universalmente condiviso, sono quelle che evocano l’indipendenza. Quale e di chi, già lo sappiamo noi.

3 Comments

  1. Mi piacerebbe sapere chi ha messo la foto, Quello è il Nuraghe sant’antonio ,tra i militari riconosco il tenente Miscali di Ghilarza e anche gli altri mi sono familiari ,hanno fatto il militare con me. 🙂

    1. La foto l’ho messa io stesso, pescandola su internet. Naturalmente non ho idea di chi siano le persone ritratte, né rileva, in questo contesto. Però è curioso che vi sia anche qualche compaesano di Nino Gramsci.

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