Topologie postcoloniali, una chiave di lettura

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Esce per Condaghes, in formato digitale e cartaceo, il nuovo lavoro di Alessandro Mongili, Topologie postcoloniali. Innovazione e modernizzazione in Sardegna.

Il titolo può spaventare o quanto meno essere già di suo oggetto di quesiti. Perché topologie e perché postcoloniali? È lo stesso autore a rispondere, sulla pagina Facebook dedicata alla pubblicazione:

Perché “Topologie”, mi è stato chiesto? E’ un termine che si usa in geometria per definire relazioni simili che si sviluppano in contesti non necessariamente uguali. Il libro parla di relazioni, infatti. Le tecnologie sono diffuse in mondi molto diversi e in ognuno di essi tendono a riproporsi in relazioni simili. Nei luoghi classificati come “arretrati”, come la Sardegna, tendono a incastrarsi in relazioni di subalternità, e a riprodurle.

E ancora:

Postcoloniali, Postcolonial Studies, un termine sempre più diffuso. Che cosa significa? Come mai l’ho usato?
E’ un riferimento alle situazioni in cui è importante il lascito di strutture proprie del colonialismo e dell’imperialismo classico. Senza tenerne conto, è impossibile capire il mondo in cui viviamo. Dunque, questi studi hanno senso in un tempo, “dopo” la colonizzazione, e in luoghi che ne hanno sofferto. Io, invece, ne ho fatto un uso un po’ diverso, topologico, appunto, e l’ho applicato alla Sardegna contemporanea e a relazioni di subalternità esistenti da noi in una serie molto grande di situazioni.

Chiaro ed esaustivo. Ma di cosa parla dunque questo libro? Non è facile rispondere, perché si tratta di un’opera a suo modo ambiziosa e per altri versi destinata anche ad un uso pratico, didattico. Assomma in sé sia la tensione teorica sia le necessità esplicative di un testo che deve essere anche didascalico.

Sorprende che tutto questo riesca a stare insieme, ma di fatto ci riesce, ed è un primo merito generale che si può attibuire al lavoro di Alessandro Mongili.

Le scelte tematiche e teoriche che presiedono all’assemblaggio dell’opera e i termini in cui si pongono le questioni sono precisate nella Premessa. Sostanzialmente si affrontano quattro casi di studio tramite le lenti dei Science and Technology Studies e insieme degli studi postcoloniali (Postcolonial Studies). Un approccio piuttosto inedito, non solo in Sardegna ma anche in Italia, tributario verso ambiti e approcci maggiormente diffusi a livello internazionale. Evidente e dichiarato anche il debito verso Antonio Gramsci, finalmente restituito, detto per inciso, a una dimensione storica (dunque anche biografica) e di conseguenza intellettuale più compiuta di quella impostasi in Italia nel corso degli anni (ossia, ben poca cosa, di fatto).

I casi di ricerca affrontati riguardano corsi di informatica destinati alle donne, studi microbiologici sulla panificazione “tradizionale” a base di “pasta-madre” (madrighe), il processo di standardizzazione della lingua sarda e i processi di innovazione storicamente promossi sull’isola, partendo dal caso del Parco scientifico e tecnologico della Sardegna. L’eterogeneità dei casi presi in esame, lungi dall’essere un limite, contribuisce invece all’esaustività della riflessione che ne scaturisce, date le notevoli connotazioni di ciascuno di essi.

Infatti il testo, pur rimanendo fedele alla disciplina e al metodo della sociologia, arriva ad affrontare questioni generali, sconfinando inevitabilmente su un terreno inter e multidisciplinare. Entrano in gioco dunque aspetti storici e politici di primaria rilevanza. Non inediti, tutt’altro; ma in questa circostanza coraggiosamente esposti e sviluppati, al contrario del costume usuale degli accademici sardi.

Questo è uno dei tratti distintivi del libro. Anche nei rari casi di studi storici, economici e/o sociali sardi di buon livello, solitamente gli autori denunciano una forte reticenza a chiamare le cose col loro nome e a trarre le conseguenze letterali e dirette delle loro stesse conclusioni. Una pavidità che ha indebolito moltissimo l’apporto emancipativo che gli studi universitari avrebbero potuto fornire alla Sardegna almeno dal secondo dopoguerra a oggi.

Questo libro non solo smentisce concretamente tale consuetudine, ma contribuisce anche a spiegarla. Affrontando le tematiche della subalternità, della dipendenza, dell’arretratezza, della “modernizzazione” (giustamente tra virgolette nel testo) secondo i canoni degli studi postcoloniali, molti fenomeni che agli osservatori privi di strumenti paiono misteriosi, benché evidenti nella loro consistenza storica, trovano finalmente una chiave interpretativa esauriente.

Lungo le pagine si affrontano diffusamente, alla radice e con ricchezza di riferimenti bibliografici questioni fondamentali di solito date per scontate, partendo dalla loro stessa definizione, spesso omessa. Per esempio, quando si parla di necessaria modernizzazione della Sardegna (come avvenuto ininterrottamente dal primo Ottocento a tempi recentissimi) non si precisa mai in cosa consista tale modernizzazione, nonché rispetto a cosa e a vantaggio di chi dovrebbe attuarsi, per non parlare delle scarse preoccupazioni a proposito della realtà su cui essa dovrebbe insistere. Altrettanto dicasi per il concetto di “innovazione”, ormai entrato prepotentemente anche nell’uso giornalistico, per lo più in luogo proprio di “modernizzazione”, ed applicato alla Sardegna senza alcun filtro, senza porsi a monte domande pure ineludibili. A cominciare da che cosa si intenda per innovazione e come essa si leghi, se si lega, alla nostra condizione subalterna. Problemi che attraversano l’intera società sarda, sia all’interno delle varie categorie sociali sia nel suo insieme.

Trattandosi di temi e questioni lungamente affrontati anche nelle pagine virtuali di questo blog, è come minimo doveroso esprimere anche una sincera gratitudine personale ad Alessandro Mongili, il cui lavoro naturalmente ha una portata decisamente più ampia e auspicabilmente non solo sarda. La gratitudine discende dal ritrovarsi finalmente a disposizione argomentazioni solide, ponderate e ben presentate a intuizioni e ipotesi altrimenti condannate a rimanere su un terreno troppo astratto.

Del resto è il problema di chiunque voglia affrontare seriamente la storia della Sardegna contemporanea (lasciando stare le epoche più distanti): a fronte di problemi strutturali e di lunga durata, a cui è necessario attribuire in modo il più possibile corretto cause e contesti, mancano spesso studi aggiornati ed esaustivi su troppi ambiti.

L’effetto di disvelamento che ci propone questo libro non è dunque solo meritorio in sé ma anche per la sua qualità di modello o di precedente. Uscire dalle secche della mitologia spicciola di cui si costituisce la nostra conoscenza di noi stessi, come collettività storica, è una necessità di natura pragmatica e sociale, prima ancora che intellettuale. Percorrere con competenza e consapevolezza strade nuove, al passo con gli sviluppi teoretici ed epistemologici contemporaei a livello internazionale, è indispensabile.

L’incomprensione di ciò che ci riguarda, la nostra scarsa capacità di collocarci compiutamente nel tempo e nello spazio costituiscono uno dei più forti freni a qualsiasi possibilità di uscire dalla pericolosa china della precarietà economica, demografica, civile e culturale a cui siamo oggi votati.

La lettura è dunque consigliata non solo a chi abbia a che fare con queste tematiche per ragioni di studio o di insegnamento ma anche a tutti coloro che vogliano capire meglio il nostro presente. Indispensabile premessa per cambiare in meglio il nostro futuro.

 

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