Libertà ed eguaglianza, conquiste precarie

image

A Bolzano (Sud-Tirol) un corteo di musulmani ha celebrato la nascita di Maometto. Centinaia di persone di varia provenienza (dal Marocco al Bangladesh), gli uomini davanti, le donne e i bambini dietro, hanno pregato e risposto alle invocazioni degli imam, per le vie del centro cittadino, e nello stesso tempo hanno preso esplicitamente le distanze dal fanatismo e dal terrorismo.

Bello, opportuno, confortante? Macché: apriti cielo!

I mass media locali hanno amplificato non tanto il fatto in sé, ancor meno i suoi contenuti culturali, quanto piuttosto le prese di posizione critiche di diversi esponenti politici, a loro volta sedicenti portavoce del fastidio dei cittadini.

Pare che a generare lo sconcerto e persino la paura dei bolzanini sia stato l’uso della lingua araba e il volume troppo alto delle invocazioni. Sembra che alcuni passanti e alcuni turisti, nel vedere avanzare questa folla urlante, e per di più in una lingua minacciosa, si siano dati alla fuga.

In particolare i rappresentanti dei partiti italiani in Alto Adige hanno stigmatizzato precisamente l’uso dell’arabo come lingua di preghiera di questa comunità musulmana (per altro, in larghissima misura regolarmente residente in loco).

Qualcuno ha dichiarato apertamente che dovrebbero pregare in italiano, dato che sono in Italia, o quanto meno in tedesco. Un paradosso significativo, quest’ultimo: mai si era sentito un politico italiano altoatesino difendere pubblicamente l’uso del tedesco.

Nessuno che abbia semplicemente fatto presente che per un musulmano la lingua della fede e della liturgia è e rimane l’arabo e che questo fatto non ha nulla a che fare con le appartenenze etniche o nazionali, né con rivendicazioni politiche. Fino a cinquant’anni fa, del resto, i cattolici di tutto il mondo usavano il latino, o più spesso il “latinorum”: i ferventi difensori dell’italianità (o al limite della tirolesità) dell’Alto Adige hanno poco da dare lezioni, su questo punto. Ma tant’è.

Segnalo questo episodio, tutto sommato minore rispetto ai fatti più drammatici di cui sono piene le cronache, perché assomma in sé diverse questioni aperte, su cui è sempre più difficile ragionare serenamente.

Le intenzioni della comunità islamica bolzanina erano non solo lecite ma anche particolarmente apprezzabili. Svolgere un proprio rito in pubblico (con regolare autorizzazione dell’autorità preposta) e in tale contesto prendere le distanze dal terrorismo e dal fanatismo non è facile, per una comunità eterogenea al suo interno ma comunque tenacemente marginalizzata, guardata con sospetto dal resto della popolazione. Un atto di civismo e di coraggio politico che avrebbe meritato ben diversa accoglienza.

Le critiche mosse alla manifestazione suonano strumentali e capziose. Ci si attacca a un fatto linguistico (in modo ignorante, come detto) o a questioni inconsistenti (il volume delle invocazioni: come se le scampanate delle chiese, anche ad ore inconsulte, non fossero fastidiose), perché non si può dichiarare apertamente che questa manifestazione non andava fatta svolgere.

Per fortuna esiste ancora un diaframma tra le pulsioni ostili verso la diversità culturale e la loro traduzione concreta in atti repressivi e/o violenti, magari di massa. È un diaframma fragile, costituito fondamentalmente da parole (regole, norme, diritti stabiliti e protetti dall’ordinamento giuridico), a cui si fa sempre più fatica a dare peso, che quindi va assottigliandosi.

Il problema è che chi nega o vorrebbe negare il diritto dei musulmani a svolgere i propri riti e le proprie legittime manifestazioni lo fa sostanzialmente non in nome della laicità (ossia l’unica garanzia della stessa libertà religiosa), ma in nome di un sistema di credenze, appartenenze e pregiudizi di segno diverso ma nient’affatto più aperto, libero e democratico di quelli che si rinfacciano agli islamici (o ai rom o a qualsiasi altra minoranza presa di mira sul momento).

Anche le reazioni ai fatti tedeschi (le molestie di massa verso le donne, la notte di Capodanno) segnalano non la preoccupazione per la natura “di genere” di tali violenze, ma solo per la provenienza degli accusati di tali atti. Il discorso somiglia alla rivendicazione di una proprietà violata, più che alla difesa dei diritti e delle libertà civili delle donne (la vera e sola posta in gioco, qui).

Emerge dunque, a vario livello, l’estrema fragilità di quel sistema di valori, diritti e garanzie sul quale abbiamo per molto tempo basato la nostra pretesa superiorità etica di “occidentali” sul resto del mondo. Si mostra in tutta la sua preoccupante precarietà la natura transeunte, sempre revocabile, di condizioni di vita che diamo per scontate, di cui godiamo come se fossero conquistate una volta per tutte.

Non è così, evidentemente, e le questioni di genere sono un ottimo esempio di questo fenomeno storico. Come segnala lucidamente Giulia Blasi in questo pezzo, non solo i civilissimi e emancipati europei attuali hanno poco di cui vantarsi, rispetto agli uomini di altra provenienza, ma ogni grammo di libertà che le donne hanno conquistato nel corso degli ultimissimi decenni rappresenta ancora e sempre una linea del fronte da difendere, un luogo di conflitto tutt’altro che sopito, interno alle nostre stesse civilissime ed evolute comunità.

E in fondo non si può dire lo stesso di qualsiasi diritto politico e sociale? Non ci sta insegnando la storia recente, quella del dominio assoluto dell’ideologia capitalista, che per guadagnare una libertà occorre spendere tempo, energie e vite umane e per perderla basta spesso un tratto di penna?

Quel che fa più paura nelle dinamiche sociali e culturali di questi anni è la facilità con cui vengono azzerate o svuotate le conquiste sociali e politiche degli ultimi due secoli.

È palese il tentativo di annullare gli effetti scatenati da quell’incidente storico che fu la Rivoluzione francese, con tutte le sue conseguenze.

Non esiste un verso prestabilito, nei fatti storici, non c’è alcuna teleologia che possa condurre l’umanità verso le magnifiche sorti e progressive, per inerzia, perché così vuole lo Spirito Assoluto, o Dio, o chissà quale altra entità trascendente.

Tutto ciò che di buono in termini emancipativi, di eguaglianza, di giustizia sociale, di libertà gli esseri umani hanno costruito nel tempo va difeso strenuamente e irrobustito costantemente, o andrà perduto.

I rapporti di forza, le forme della divisione del lavoro, il sistema di gestione del potere economico e politico, oggi come oggi congiurano a proteggere gli interessi di una ristretta élite mondiale a discapito della vita del resto dell’umanità e della stessa biosfera.

Gli apparenti conflitti tra le varie fazioni dell’establishment mondiale non devono trarre in inganno circa la vera portata del conflitto in corso. Che poi è lo stesso degli ultimi millenni, almeno da che la specie umana ha inventato l’agricoltura, la sedentarietà, la proprietà, le religioni istituzionalizzate.

Assumere come problema fondamentale dell’Europa di oggi la presenza di comunità di fede islamica dentro i suoi confini è un annebbiamento della ragione, per chi lo subisce passivamente e lo replica meccanicamente, ma è un ottimo strumento di dominio in mano ai padroni.

Non perché nell’islam non ci siano aspetti inaccettabili in un contesto pienamente laico e anche francamente detestabili. Ma se fosse solo per quello, cosa dovremmo dire del cristianesimo e specialmente del cattolicesimo? O dimentichiamo che le “sentinelle in piedi”, i fanatici in servizio permanente effettivo contro la fantomatica “ideologia gender”, gli ostinati difensori della famiglia “naturale”, i medici “obiettori di coscienza” antiabortisti, ecc. sono tutti roba nostrana?

Quel che come minimo siamo chiamati a fare, se davvero teniamo nel massimo conto – come spesso dichiariamo ma quasi mai pratichiamo – la sfera dei diritti civili e umani, è difendere la laicità delle istituzioni, difendere le residue leggi che proteggono e assicurano quei diritti e quelle libertà, pretendere che non ci sia violenza, provocazione o persino tragedia che possa escluderne la vigenza.

Cancellare i diritti in nome della loro protezione è un paradosso degno di un romanzo distopico, è l’incubo di George Orwell fatalmente realizzato. Col nostro consenso.

Certe dinamiche storiche non possono essere contrastate, ma solo comprese e rese il meno traumatiche che sia possibile. I fenomeni migratori, generati pressoché sempre da situazioni di sfruttamento e conflitto da cui noi stessi abbiamo a lungo tratto esclusivo vantaggio, non possono essere arrestati con la forza o con l’autoritarismo repressivo.

Caso mai dovremmo aspirare a rafforzare diritti e libertà, a rendere le istituzioni molto più democratiche e molto più trasparenti, ad ampliare l’accesso ai beni comuni e a condizioni di vita dignitosa per tutti, indistintamente.

E questo significa anche rimettere in discussione i modi di produzione, i rapporti sociali, la distribuzione delle risorse. Significa dunque riaprire la partita rivoluzionaria, contro il pensiero unico tardocapitalista e i suoi cascami consumistici dell’infotainment, della società dello spettacolo, dell’ineguaglianza eretta a valore sistemico.

Ogni discorso che enfatizzi la competizione, ogni proposta economica o politica che non tenga conto delle leggi fisiche, delle conseguenze sociali, dei fattori storici reali, ogni appello alla paura e al rifiuto dell’altro, ogni pretesa oscurantista in campo politico, morale, sessuale vanno respinti come una minaccia mortale.

Non è importante contrastare il fanatismo islamico se non si contrasta il fanatismo in sé, ovunque e comunque si manifesti. Non ha alcun senso vantarsi dei propri diritti e delle proprie conquiste civili se non le si difende prima di tutto dalle nostre stesse classi dominanti.

Queste sì sono in prima linea nel condizionamento in negativo delle nostre esistenze, molto più di qualsiasi straniero. Non vedere che Daesh (o Is che dir si voglia), Al-Qaeda, o qualsiasi altra manifestazione più o meno realistica di un possibile nemico collettivo sono banali funzioni di un sistema di produzione e di potere a cui siamo già soggetti, ci fa drammaticamente sbagliare obiettivo.

Per questo è fondamentale, anche nei processi di autodeterminazione in corso, non cedere alle tentazioni del nazionalismo fine a se stesso, della conservazione identitaria, dell’ostilità verso un “altro da noi” dove si assumono sia il “noi” sia “l’altro” come soggetti storicamente definiti, omogenei al proprio interno e reciprocamente ostili.

Non solo va salvaguardata la dialettica tra diverse visioni, non solo va tenuta aperta la differenza sostanziale tra i valori, le prospettive e le prassi di destra e di sinistra: questo dovrebbe essere il minimo sindacale.

In un discorso che si presenti come realmente emancipativo va anche necessariamente ristabilita la centralità delle questioni sociali, la rilevanza della questione di genere, la necessità della difesa delle minoranze, il principio dell’autonomia e del decentramento, la difesa dei beni comuni dai meccanismi dell’accaparramento e dello sfruttamento capitalista.

Altrimenti potremo ottenere tutto, in termini politici, tranne che quella libertà di cui ci riempiamo la bocca solo quando si tratta di attaccare volgarmente qualche malcapitato forestiero, meritevole o meno che sia della nostra esecrazione.

Non vale la pena lottare per qualcosa che non preveda la pluralità, la diversità e tutte le libertà civili come condizioni sine qua non e che non persegua attivamente l’abbattimento delle ingiustizie economiche, sociali ed ambientali come obiettivi storici del proprio realizzarsi concreto. E questo vale per la tanto vantata democrazia europea e occidentale (in realtà oggi qualcosa di molto simile a una cleptocrazia appena riverniciata) come per l’indipendenza di una “nazione senza stato”.

5 Comments

  1. Omar, mi sembra che il tuo articolo e quello di Giulia Blasi facciano un errore e un disservizio ai valori progressisti ed emancipativi.

    L’errore è quello relativizzare i fatti di Colonia (orrendi e inquietanti) spostando il discorso sulla rilevanza statistica di questi fatti. Certo, come dice la Blasi, una donna ha maggiori probabilità statistiche di essere aggredita da un conoscente. Tuttavia, questo forse dovrebbe convincerci che i fatti di Colonia sono solo un incidente della statistica e non un segnale di un problema serio? È così difficile condannare il fatto che degli uomini si siano organizzati e abbiano programmato una serie di attacchi a delle donne senza dover necessariamente qualificare questi fatti in base alla loro incidenza statistica?

    Ma il disservizio maggiore ai valori emancipativi ed egualitari è che, nel relativizzare tutto, si rischia di perdere il quadro generale.

    Tu dici che “i civilissimi e emancipati europei attuali hanno poco di cui vantarsi, rispetto agli uomini di altra provenienza”. La Blasi dice che “Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qui”.

    La mia impressione è che nell’enfatizzare che ci sia ancora molto da fare per arrivare ad una effettiva parità tra generi, state perdendo di vista il fatto che dovremmo vantarci che in Europa Occidentale la parità di genere è un principio sancito e largamente riconosciuto alla base delle nostre società.

    E in base a questo principio che in paesi come la Norvegia, per esempio, si prendono misure per assicurare una equa rappresentanza di genere nei consigli amministrativi delle aziende. Invece, in un paese come l’Arabia Saudita, le donne non possono guidare o aprire un conto in banca. Dobbiamo davvero pensare che, come società, abbiamo poco di cui vantarci o da insegnare?

    Dire “Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qua” fa cadere le braccia: non abbiamo da insegnare che nel corso del tempo in Europa occidentale abbiamo riconosciuto una serie di principi di eguaglianza ed equità, e di pari dignità? Non dovremmo insegnare che questi principi sono fondamentali? Il fatto che questi principi vengano disconosciuti da alcune parti reazionari e siano sotto attacco (particolarmente in un paese profondamente reazionario come l’Italia) non diminuisce la necessità di insegnare questi principi anche a chi arriva qua.

    Gli immigrati sono i soli che minacciano questi principi di rispetto ed eguaglianza, inoculando un rischio alle nostre società emancipate? Certamente no. Ma allo stesso tempo, dovremmo riconoscere che certi atteggiamenti religiosi e culturali sono problematici e vanno affrontati:
    http://www.theguardian.com/commentisfree/2016/jan/14/migrant-bogeyman-europe-mood-refugees

    Verosimilmente tra gli immigrati che vengono da paesi in cui le donne non hanno diritti che noi consideriamo basilari, paesi dove l’omossessualità è un crimine, ci saranno molti (non tutti) che hanno internalizzato questi atteggiamenti discriminatori, e che aderiscono a questi principi. Da colleghi ho sentito esperienze di persone provenienti da paesi arabi che si rifiutavano di prendere ordini da una donna che aveva un ruolo di dirigenza. Siccome le nostre società europee non sono (ancora) perfette in materia di emancipazione, dobbiamo allora rifiutarci di formare immigrati al rispetto di questi valori egualitari?

    Meno male che in Germania c’è gente che vuole insegnare questi valori a nuovi immigrati.
    http://www.theguardian.com/world/2016/jan/16/germans-accept-arabs

    Un saluto

    1. Oliver, comprendo la tua preoccupazione e non nego che abbia un fondamento. Ma qui rischiamo di rinnegare in quattro e quattr’otto proprio il senso delle nostre conquiste civili e sociali, nel momento in cui non affermiamo con forza che i diritti non sono una concessione benevola calata dall’alto e nemmeno una condizione “naturale”, scontata. Perciò la preoccupazione fondamentale di tutti dovrebbe essere di ribadire la centralità e l’intangibilità dei diritti e delle libertà civiche di cui disponiamo, sempre e comunque, non ricordarcene solo quando si tratta di difendere “le nostre donne” (come in tanti hanno scritto e detto, soprattutto in Italia).
      La condanna dei “fatti di Colonia” (i cui contorni continuano ad essere approssimativi, anche in Germania, a dispetto di tutte le certezze dei commentatori italici, non so di quelli britannici) deve essere netta e intransigente, chiunque sia ad esserne responsabile. Questa è la prima e più importante presa di posizione da assumere. Dopo di che possiamo serenamente ragionare della mancanza di accettazione della sfera dei diritti e delle libertà civili di stampo europeo da parte di altre culture. C’è un problema storico e c’è un problema sociale di enorme portata che si intrecciano. Io ho paura che il continuo indebolimento di tale sfera ad opera dei governi occidentali medesimi non sia la risposta migliore all’oscurantismo fanatico di certi gruppi afferenti ad altre culture e provenienze (e in questo caso si parla soprattutto di appartenenze a confessioni islamiche).
      Tieni conto, poi, del fatto che le mie considerazioni, quelle di Giulia Blasi, quelle di Loredana Lipperini e quelle di altri osservatori partono prevalentemente dal tipo di reazioni e dalla copertura giornalistica data a quei fatti in Italia, dove si è semplicemente approfittato di eventi non chiari per inscenare una campagna razzista e reazionaria, in cui paradossalmente la figura della donna usciva ulteriormente penalizzata. Il solito schifo all’italiana, insomma. In queste condizioni, per quanto sia importante mantenere un’intransigenza intellettuale ed etica verso qualsiasi forma di fanatismo, oscurantismo e illiberalità, bisogna vigilare innanzi tutto su quelli più vicini e minacciosi, che nel nostro caso non sono quelli islamici.

  2. Anche le comunità islamiche e straniere in generale hanno ammesso si sia trattato di un fatto gravissimo, tu concludi la risposta all’ottimo intervento del sig. Perra criticando l’Italia. E meno male che non ti piacciono le genralizzazioni. Riguardo i fatto riportati all’inzio, la mia opinoone che c’è anche un diritto a non piacersi, come a te non piaccioni gli italiani ai bolzanini e non solo è concesso di diffidare di persone use a stazionare in branco, gruppo o cricca che dir si voglia, agli angoli delle strade, che diventano sempre più numerosi e aggressivi. Riferirti poi al disonesto articolo di quella giornalista ti fa perdere dei punti. quell’articolo lo avevo già letto prima che cancellasse gli ottimi interventi di segno contrario questo a dimostrare quanto sia ideologico e generalizzato (ma guarda un po’, guai a fare il contrario) il suo attacco. Se come dici gli eventi di Colonia non sono ancora ben chiari stai toppando gravemente, non vorrei mettere in dubbia la tua onestà inetellettuale che almeno quella ti riconoscevo . quei delinquenti magrebini (e’ accertato) hanno dato dimostrazione da quale grande civiltà provengano con il loro tradizionale TAHARRUSH, guardati quel terribile video e dimmi se pur nella nostra schifosa civiltà occidentale si è mai messo in pratica una cosa del genere. Sentivo parlare in tv un noto neurologo che affermava l’esistenza dell’intuito, ecco io penso che e i fatti quotidiani in ogni parte d’Europa lo stanno a dimostrare, che l’intuito della gente dica che questi poveri profughi, tutti giovani maschi, metteranno fine alla gloriosa civiltà occidentale. Noi due non lo vedremo ma tu ne sarai contento. Ora basta, non scrivo più qua dentro, sei verboso , lo dimostra lo scarso numero di lettori che intervengono.
    https://www.youtube.com/watch?v=00VjbmBZ-mU

    1. Lieto di non piacerti. E ricordati che non ti ho invitato io: chiunque è libero di leggere e di commentare, qui, a patto di rispettare le regole “della casa”. In ogni caso, non scrivo per conquistare la benevolenza indistinta di chiunque. Quanto a verbosità, va be’, da quale pulpito…
      Detto ciò, mi sa che non c’è peggior tonto di chi vuol fare il tonto. Che i fatti siano gravi l’ho detto fin troppe volte. Che siano inaccettabili, idem. Bisogna vedere se tu e altri siete d’accordo su questo. Mi pare di no. Mi pare che il vostro problema (di voi destrorsi, fascisti o simili) sia solo la provenienza di certe azioni, non la loro consistenza e il loro obiettivo. Le sparate razziste – identiche per altro a quelle riservate in altri momenti e/o altrove contro gli italiani, o contro i meridionali (italiani), o contro i sardi – lasciano il tempo che trovano.
      Ti farei sommessamente notare che criticare l’apparato dei mass media italiani e il suo funzionamento, in connessione con la pessima politica del Belpaese, non vuol dire affatto prendersela genericamente con “gli italiani”. Riscontro giusto un filino di mala fede, in una lettura del genere. Ma va be’.
      La “civiltà occidentale”, poi, la stanno distruggendo le classi dominanti occidentali, molto più efficacemente di qualsiasi minacciosa e malintenzionata torma di “barbari”.

  3. Qui un pregevole intervento di smontaggio della retorica tipicamente italiana sulla questione. A proposito del taglio dato dall’establishment mediatico e politico del Belpaese alla questione.

    Se poi si vuole trovare una ricostruzione giornalistica corretta, bisogna ricorrere a questo pezzo.

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.