La cultura (si) paga

Parto da una serie di considerazioni espresse dal collega Daniele Mocci su Facebook, per rilanciare una serie di spunti di riflessione relativi alla produzione culturale, a chi la realizza, ai suoi costi (non solo monetari) e alla pessima distribuzione del valore che se ne estrae.

Daniele Mocci – narratore ad ampio spettro, animatore culturale (tra i fondatori dell’associazione Chine vaganti, a San Gavino Monreale), attivo in ambito scolastico – nei giorni scorsi ha pubblicato su Facebook due post particolarmente centrati su una serie di problemi dell’ambito culturale sardo (ma direi anche italiano). In questo caso, dal punto di vista di chi produce i contenuti narrativi e li veicola con tutti i mezzi necessari (letteratura, fumetto, sceneggiatura, laboratori scolastici, ecc.).

Sono due post pubblici, quindi chiunque abbia un accesso al social medium di Zuckerberg può leggerli sul suo profilo (di Daniele Mocci, non di Zuckerberg). Li riporto qui per comodità.

Il primo, datato 3 giugno, recita così:

RIEPILOGO ALCUNE COSE SENZA UN ORDINE PRECISO…
1) Faccio laboratori didattico/creativi nella scuola da più di vent’anni: fumetto, scrittura creativa (con diverse soluzioni), teatro, linguaggi pubblicitari, creazione di prodotti audiovisivi. Docenti, dirigenti e DSGA della scuola primaria e secondaria (I e II grado), se interessati, contattatemi in privato. Vi invierò i progetti che potrebbero interessarvi e il mio CV. Giusto per fare un esempio: a vostra/nostra disposizione ci sono i fondi P.O.N., con i quali tutti i costi vengono coperti SENZA ONERI AGGIUNTIVI PER LE SCUOLE.
2) Quando mi sposto da casa (per mezza giornata o più) per fare incontri, laboratori e presentazioni varie, non lo faccio perché non ho nient’altro da fare. È una parte (importante) del mio lavoro. E, cosa non trascurabile, oltre al mio tempo e alle mie conoscenze – esperienze – competenze, ci metto anche la benzina e (se la giornata è intera) una pausa in cui mangiare un boccone. Va da sé che, quando qualcuno mi chiama per svolgere attività di questo genere, DEVE SEMPRE PREVEDERE UN COMPENSO e UN RIMBORSO. Nessuno lavora GRATIS, men che meno quelli che mi chiamano perché io lavori gratis per loro.
3) Fare/organizzare eventi, incontri, presentazioni, giornate letterarie e culturali in genere, laboratori, festival e manifestazioni similari non è un obbligo per nessuno. Se non si hanno le competenze, I SOLDI, i locali adatti, la capacità di promuoversi e di attirare il pubblico, la volontà e/o la capacità di accogliere gli ospiti e di NON accollare a loro i costi (sia in termini monetari che in termini di lavoro intellettuale e/o fisico), semplicemente NON SI DEVE ORGANIZZARE NESSUN EVENTO. Gli autori (e simili) sono persone che queste cose le fanno PER LAVORO e non per hobby. Chi le fa per hobby o è uno che non deve campare da quello che fa o NON È UN AUTORE VERO. Se voglio fare le cose GRATIS sono io che decido SENZA ALCUN BISOGNO DI QUALCUNO CHE MI CHIEDA SE LE VOGLIO FARE GRATIS.
4) Se organizzate un evento e volete un ospite che intrattenga il pubblico, curatevi di promuovere a regola d’arte il vostro evento, in modo da evitare la figura meschina di portare un ospite e fargli trovare una sala, una piazza o qualsiasi altro luogo desolatamente vuoto (o pieno di sedie vuote). È compito di chi organizza gli eventi curarsi di promuoverli e di trovare il sistema di portare il pubblico alle iniziative che ha organizzato. A meno che non portiate Francesco (quello che sta al Vaticano). E a quel punto il pubblico arriverà anche se voi non vi sbattete più di tanto per promuovere l’evento.
5) In definitiva: le cose si fanno se si hanno le capacità, la volontà, la voglia e I SOLDI per farle.
6) (dimenticavo…) Se organizzate la presentazione di un libro con il suo autore, ALLESTITE UN BANCHETTO PER LA VENDITA AL PUBBLICO DELLE COPIE DI QUEL LIBRO, magari mettendovi d’accordo con una libreria. È davvero inutile (e surreale) organizzare una presentazione senza che ci sia l’oggetto che si sta presentando.

Il secondo, rilasciato il giorno successivo, il 4 giugno, è il seguente:

ALTRE COSE IN DISORDINE…
Premesso che l’editoria (almeno quella italiana), soprattutto negli ultimi decenni, è diventata una giungla contorta e spesso incomprensibile, occorre che coloro che organizzano eventi, presentazioni di libri, laboratori di scrittura e manifestazioni affini CONOSCANO ALMENO GLI ASPETTI DI BASE. Per cui:
1) ci sono sostanziali differenze tra libri pubblicati da EDITORI VERI E SERI (piccoli, medi o grandi che siano), libri autopubblicati e libri pubblicati con gli editori a pagamento. CHI ORGANIZZA UN EVENTO LETTERARIO DEVE CONOSCERE LA DIFFERENZA TRA QUESTE TIPOLOGIE. E quindi:
1a) deve sapere che genere di libro è quello su cui ha deciso di organizzare il suo evento. È un libro autopubblicato? È un libro pubblicato da un editore a pagamento? È un libro pubblicato da un editore VERO e SERIO?
1b) deve sapere che i libri autobubblicati e quelli pubblicati con editori a pagamento rarissimamente ( = quasi mai) sono sottoposti a una vera revisione (editing) da professionisti che intervengono sul manoscritto dell’autore e, insieme all’autore, ci lavorano anche mesi per migliorarlo, eliminare gli errori e le incongruenze di lingua e di trama, renderlo coerente ed equilibrato, COSA CHE UN AUTORE DA SOLO (fosse anche un genio) NON POTREBBE MAI FARE, perché – pur se dovesse avere i mezzi per farcela da solo – non può avere la giusta dose di obiettività.
1c) deve sapere che, normalmente, un autore che si autopubblica o che pubblica con editori a pagamento, spesso ( = praticamente sempre) porta da sé le copie per la vendita per un motivo molto semplice: LE HA PAGATE (ovvero, ha pagato perché il suo libro fosse pubblicato, ovvero ancora non ha dovuto superare nessun vaglio circa la qualità del suo lavoro). Poi, bene inteso, le eccezioni ci sono, ma sono – appunto – eccezioni molto rare e che, soprattutto, BISOGNA SAPER RICONOSCERE.
1d) dal punto precedente deriva che: è indispensabile che chi organizza un evento letterario abbia letto e CONOSCA MOLTO BENE sia l’autore che sta portando, sia il libro che sta presentando, sia il modo con cui quel libro è stato pubblicato (autopubblicazione, editoria a pagamento, editoria vera e seria);
2) deve evitare di chiedere (o, peggio, di pretendere) una copia omaggio del libro all’autore che va a fare la presentazione; in special modo se l’autore pubblica con editori veri e seri. Questo perché l’autore che pubblica con editori veri e seri NON È IL PROPRIETARIO di nessuna copia del libro (a parte quelle che gli spettano per contratto, le quali di solito vanno da un minimo di 5 a un massimo di 10: cioè sono quelle che l’autore – se non tiene per sé – al massimo regala ai suoi genitori, al suo migliore amico e a qualcuno che gli è particolarmente caro). E poi… se l’organizzatore dell’evento chiede all’autore una copia omaggio del suo libro, beh… è davvero mal preso!
3) deve sapere che degli autori che porterà ai suoi eventi, praticamente nessuno campa dalla vendita dei suoi libri:
3a) coloro che si autopubblicano devono spendere (e raramente rientrano nelle spese con i ricavi del venduto che, ovviamente, si devono “smazzare” da soli facendo gli ambulanti)
3b) coloro che pubblicano con editori a pagamento idem (se non peggio degli autopubblicati)
3c) coloro che pubblicano con editori veri e seri, se sono fortunati, hanno avuto un anticipo sui diritti d’autore che si presume maturino in futuro con la vendita (IN LIBRERIA) del loro libro; questo anticipo, rispetto al lavoro che hanno dovuto fare per pubblicare il libro, è sempre poco e non copre mai il tempo impiegato e la fatica fatta; ma c’è sempre la possibilità che il libro venda così tanto da coprire quell’anticipo e andare oltre, facendo arrivare altri diritti nelle tasche dell’autore: questa circostanza non accade praticamente mai. Ovviamente il discorso fatto in questo punto non vale per i grandi autori. Ma, almeno in Italia, i grandi autori che riescono a vivere da ciò che scrivono sono davvero pochissimi.

Ciò che Daniele scrive in questi suoi interventi è la più palese e sacrosanta verità. Non ho nulla da eccepire né da correggere. Posso solo condividerne la lettera e lo spirito e rilanciarne anche qui i contenuti.

Aggiungo giusto un punto, tra i più antipatici, ma che va anch’esso posto all’attenzione del pubblico e degli/lle addetti/e ai lavori: il problema dei rendiconti editoriali.

Per chi non lo sapesse (e immagino che in questa categoria sia ricompresa anche la maggioranza di chi legge libri), i contratti editoriali, oltre alla cessione dei diritti d’autore e alle altre clausole sul lato di chi crea i contenuti, impongono alle case editrici di inviare ogni anno ad autori e autrici il rendiconto relativo alle copie vendute e alla relativa remunerazione (che va dal 6 al 10% del prezzo di copertina per copia). È questo l’unico strumento in mano a chi scrive libri per conoscere l’esito commerciale dei propri sforzi. Autori e autrici hanno la possibilità di contestare il rendiconto, ma difficilmente potranno dimostrare che è parziale, o errato o addirittura menzognero.

Questo perché già in partenza esiste una sorta di asimmetria nel rapporto contrattuale. L’editore ha un controllo diretto sui dati (ha in mano il numero preciso di copie fatturate), mentre chi scrive il libro deve fidarsi volente o nolente. Salvo che non abbia un/a agente che sbrighi professionalmente questo tipo di verifiche, e non è il caso più diffuso. A questo problema – per così dire, strutturale – si aggiunge però anche il malvezzo di troppe realtà editoriali di ignorare questo obbligo contrattuale e di non essere solerti nell’invio del rendiconto o addirittura di essere inadempienti.

L’idea che mi sono fatto io in questi dieci anni di relazione professionale con l’editoria è che quasi mai si tratti di dolo della controparte, ma che, anche in questo caso, si sconti – almeno in Sardegna – una diseconomia di scala del nostro ambito editoriale e la carenza di organizzazione professionale nelle case editrici.

Non che nelle case editrici lavorino sempre dilettanti allo sbaraglio. La questione è che esiste tutta una parte amministrativa e gestionale che andrebbe curata professionalmente, almeno quanto la parte più strettamente editoriale e quella comunicativa (benché anche su quest’ultima il panorama offra pochi esempi professionalmente adeguati). Quante case editrici sarde hanno una struttura interna in grado di gestire questi aspetti in modo puntuale? È una domanda che suona retorica, e in parte lo è, ma è anche un interrogativo che lancio nel calderone della discussione pubblica come invito alla riflessione.

La Sardegna produce molta cultura e, più nello specifico, molti libri. Di solito ci vantiamo di avere un parco di lettori e lettrici più ampio della media italiana. Ma la media italiana è davvero bassa, direi imbarazzante, quindi non è che possiamo vantarci molto. La dimensione del pubblico di riferimento è dunque ridotta. Alla pur notevole produzione e diffusione della cultura, e di libri in particolare, non corrisponde una robustezza economica all’altezza. Le strategie aziendali possono variare: c’è chi punta sulla quantità, chi più sulla qualità, ma sussiste una sorta di nanismo da un lato e di eccessiva dispersione dall’altro, in un contesto che ha dei limiti oggettivi stringenti. Chi ne paga le maggiori conseguenze sono soprattutto autori e autrici, schiacciatə da meccanismi su cui non hanno il benché minimo potere e dalla scarsissima remunerazione del loro lavoro.

Questo è un aspetto decisivo, che si somma, completandolo, all’articolato problema esposto da Daniele Mocci nei suoi due interventi. Capisco che questa cruda realtà strida con l’immagine che si ha del mestiere di scrittore/ttrice, ma tant’è.

Tali aspetti concreti troppo spesso vengono espunti o quanto meno elusi dal discorso pubblico relativo alle attività culturali e in particolare al mondo editoriale. Sia a opera delle istituzioni, sia degli addetti ai lavori. Si parla molto più spesso e più volentieri dei tanti festival sardi, o in generale della filiera dell’editoria, da cui però restano esclusi da qualsiasi considerazione autrici e autori.

Anche le attività culturali di associazioni, circoli, ecc., compresi quelli della nostra emigrazione, trascurano sistematicamente questi risvolti. Dovrebbero invece prenderli nella più seria considerazione, anche nel proprio interesse.

In questa sede non entro nel merito della qualità dell’offerta culturale proposta a livello di istituzioni, enti locali, associazioni, perché sarebbe un altro capitolo e merita una trattazione a parte. Ma, a mio avviso, è comunque un tema connesso con quanto esposto sopra.

Il lavoro culturale, la scrittura, la creazione di contenuti, l’allestimento di laboratori, anche la semplice presentazione pubblica di un libro, sono attività che richiedono competenze, tempo, dedizione. Affrontarle con pressapochismo e improvvisazione, dare per scontato che debbano essere gratuite è del tutto sbagliato. Nessuno si aspetta che un meccanico ci ripari l’auto gratis, a titolo di gratificazione personale. Così come non ci aspetteremmo mai che un medico o una insegnante lavorino solo per amore della loro attività. Vale lo stesso per i mestieri culturali.

Spero che su questo ci sia una doverosa presa di coscienza, nel migliore interesse di tutte le persone interessate, a livello istituzionale, nel mondo editoriale e tra organizzatori e destinatari dell’offerta culturale.

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