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Fateci quello che volete, le cose peggiori possibili, ma non toccateci i nostri simboli e il nostro orgoglio! Questa è una delle conclusioni cui si può giungere dopo alcuni singolari postumi sardi dell’elezione del presidente della repubblica italiana. Un’altra conclusione possibile è che l’apparato di potere proconsolare che domina l’isola abbia bisogno di trovare continue giustificazioni per la propria perpetuazione, ma che non sappia più che pesci pigliare.
Le reazioni all’elezione del presidente della repubblica italiana sono state alquanto scontate, nell’ambito politico sardo. Scontate e di basso profilo, al solito. La politica istituzionale isolana si è associata alle congratulazioni e ai cori di giubilo che gli stessi mass media italiani hanno veicolato e amplificato, nella disperata ricerca di motivi per santificare lo status quo.
Dai politici sardi possiamo però aspettarcelo. Sono stati messi lì apposta, devono continuamente dimostrare ai loro mandanti (o capi, o padroni, se si preferisce) la propria fedeltà. Fa parte dei loro doveri contrattuali, diciamo. Fa specie invece, ma è ancora più significativo, l’attegiamento degli intellettuali nostrani.
Due interventi che hanno fatto discutere, tra chi legge i giornali e condivide opinioni sui social media, sono stati uno quello di Salvatore Mannuzzu (ex magistrato e scrittore) e un altro quello di Pinuccio Sciola (scultore).
Sono prese di posizione significative non solo e non tanto per il loro contenuto (anche per quello, comunque), quanto per la loro forma e per il contesto a cui fanno riferimento. E lo sono anche perché hanno ricevuto molta copertura mediatica, come se si trattasse di qualcosa di estremamente importante da far conoscere alle masse.
Mannuzzu replica lo stereotipo stantio dell’intellettuale sardo filosabaudo. Una categoria sociale che da duecento anni prospera in diversi ambiti, sull’isola, a volte con meritate promozioni a incarichi oltre Tirreno. È lo stesso genere di persone che verso metà Ottocento chiedeva a gran voce la Perfetta Fusione, o che scriveva i versi dell’inno sabaudo “Cunservet Deus su Re“. La nostra conoscenza di noi stessi nel tempo e nello spazio è dovuta in larghissima misura a questo genere di intellettuali. Magari persone soggettivamente, a volte anche di spessore, nel loro campo (non sempre, a dire il vero), non animate da particolari intenzioni malevole, eppure oggettivamente dannose per le sorti della Sardegna contemporanea.
Non che siano mai stati loro i principali artefici dei maggiori guai che ci affliggono, ma la copertura culturale e morale che hanno sempre garantito alla nostra dipendenza e alla nostra subalternità ha consentito a tali condizioni penalizzanti di perpetuarsi e di generare lo stesso senso comune che poi anima tanti sardi nel valutare le cose che ci accadono.
È un problema ancora attuale, anche se mostra di essere entrato in una nuova fase. Non è detto che questo apparato di organizzazione del sapere, di costruzione del nostro mito identitario, e la nebulosa di elementi narrativi tossici che esso ha diffuso continuino ad avere tanto peso negli anni a venire. Per ora detengono un grado di legittimità e uno spazio mediatico che li rende ancora forti, ma i segni di cedimento sono evidenti, anche se con possibili derive tutte da vagliare.
Decisamente di più fa specie l’iniziativa di Pinuccio Sciola: mandare una lettera al nuovo presidente della repubblica italiana per chiedergli di cambiare la bandiera della Regione sarda, che per altro è il simbolo in cui moltissimi sardi si identificano. La bandiera dei quattro mori non piace neanche a me, lo confesso. Ma non certo perché vi sono rappresentate quattro teste di moro mozzate. In base allo stesso ragionamento si dovrebbe sostituire anche la croce cristiana, dato che è un simbolo di tortura e di morte crudele.
Sappiamo almeno da venticinque anni (dalla prima pubblicazione in merito della storica Barbara Fois) che i quattro mori sono uno stendardo aragonese, arrivato sull’isola nel Trecento e diventato simbolo politico e istituzionale dalla fine del Cinquecento in poi. Sappiamo anche che la sua assunzione come bandiera dei sardi è recentissima. Più che il suo uso da parte del PSdAz e la sua elezione a stemma della Regione autonoma sarda, tale identificazione si deve soprattutto alle imprese del Cagliari di Gigi Riva. Il processo di riappropriazione di noi stessi, in corso da una quarantina d’anni almeno, ne ha diffuso l’utilizzo in circostanze disparate e ai quattro angoli del mondo, ovunque ci siano dei sardi che vogliono far sapere di esserci (e i sardi, a quanto pare, amano far sapere di esserci).
Sia come sia, che piaccia o no questa iconografia, se i quattro mori continueranno ad essere la bandiera che rappresenta i sardi, lo stabiliranno i sardi. Il valore di una bandiera è dato dal significato che le si annette. Per quanto i quattro mori siano stati prima un simbolo legato al Regno di Sardegna, anche a quello sabaudo, poi una rappresentazione dell’autonomismo e dell’autonomia (e anche qui, niente di particolarmente edificante), niente vieta che possano assumere significati più emancipativi, asurgere a simbolo di libertà anziché di sottomissione.
I sardi potranno anche stabilire di sostituirli con un altro simbolo. Non è detto nemmeno che sia un simbolo già esistente. Il maggior concorrente, ad oggi, sia pure in posizione decisamente minoritaria, è l’albero verde in campo bianco, stemma giudicale. Ma niente vieta di pensare che si possa scegliere un simbolo completamente nuovo. In ogni caso saranno i sardi a decidere. Almeno su questo.
Cosa mai dunque può spingere un intellettuale come Pinuccio Sciola, che non è né sciocco, né ingenuo e che sa come si sta al mondo, a inciampare in una defaillance come questa? A che titolo può ritenere di farsi portatore di una richiesta del genere e per giunta presentata all’interlocutore sbagliato? Ci manca solo che i nostri simboli debba stabilirli il presidente della repubblica italiana, allora sì che dovremmo arrenderci all’evidenza della nostra ineluttabile dipendenza!
Certo, soppesando la qualità della discussione tra i politici nostrani (anche) su questo tema, non si può che rimanere basiti e pensare sconsolati a quali mani stiamo affidando la nostra vita. Non meno sconsolante è l’infimo livello cui si spingono molti commentatori compulsivi via web, come quelli che in queste ore si sono profusi in insulti vergognosi di natura personale, come se il dissenso autorizzasse all’abbruttimento. Poi ci scandalizziamo per le atroci gesta del Daesh (o IS che dir si voglia). Quando non riconosci più la dignità della persona come valore a se stante, da rispettare comunque, anche nel disaccordo più radicale, sei già un bel passo avanti sulla strada dell’intolleranza violenta. Ma questo è solo un inciso pessimista.
Tornando al punto, più ci si pensa e più la cosa appare assurda. Tanto assurda che un sospetto si fa strada, tra il fastidio e l’amarezza. Il sospetto che Sciola l’abbia fatto apposta. Che – da buon artista qual è – abbia voluto prendere una strada creativa e spiazzante per darci una scossa. Una provocazione fantasiosa, insomma, per costringerci a riflettere e a prendere posizione.
Non so se l’intento in tal caso sia riuscito, ma mi piace pensare che fosse proprio questo. Mi piace pensarlo per Pinuccio Sciola e mi piace pensarlo per i sardi, che meritano di avere una classe intellettuale che non sia sempre e solo organica all’apparato di potere che ci sta distruggendo.