Ma noi non ci saremo…

Rischiava di passare inosservata l’ennesima iniziativa cultural-toponomastica avviata in Sardegna. Non sarà rilevante come altre quisquilie, ma ha connotazioni profonde, cui merita di dare il giusto risalto.

Il Golfo di Oristano dovrebbe dunque essere ribattezzato Golfo dei Fenici. Perché? Perché pare che quella misteriosa popolazione ci facesse qualche traffico, ventotto secoli fa o giù di lì. Il problema è che le testimonianze fenicie, in quel territorio così come in tutta la Sardegna, non sono che una parte, se vogliamo quantitativamente trascurabile, di un patrimonio archeologico e storico vasto e articolato.

Dalle parti di Aristanis, tra l’altro, ci sarebbero ben altre emergenze cui offrire una giusta ribalta. Pensiamo solo alle monumentali statue di Monti Prama e alle vestigia della civiltà nuragica distribuite a profusione anche in quella zona.

E che dire allora di altre civiltà con cui i sardi, volenti o nolenti, più o meno pacificamente, hanno condiviso la propria storia? Cartaginesi e romani non vantano dei diritti analoghi, se non superiori, a quelli dei fenici?

Ma, soprattutto, proprio Oristano è stata la capitale più rappresentativa della civiltà giudicale. Periodo storico di rilevanza universale, benché colpevolmente misconosciuto.

Insomma, la sensazione è che per l’ennesima volta le istituzioni culturali italiane, complici entusiasti gli amministratori locali e anche alcuni luminari dell’archeologia nostrana, ne approfittino per costringere memoria e immaginario collettivi sardi entro un orizzonte storico altro, cancellando i segni della nostra storia.

Quel che c’è di importante dalle parti di Oristano, dunque destinatario di finanziamenti statali, sarebbe lo scarso e dubbio lascito fenicio. Come se non ci fosse altro. Come se la Sardegna non avesse mai prodotto alcuna forma di civiltà meritevole di attenzione e di visibilità.

Cosa ci sia da gongolare da parte del presidente della Provincia di Oristano Onida e degli altri notabili locali veramente è un bel mistero. Che varrebbe la pena di indagare, se non prevalessero indignazione e vergogna.