Su segnalazione di una cara amica, maestra in una scuola elementare del Nord-Italia, scopro su un sussidiario attualmente in uso un capitolo di storia dedicato alla civiltà nuragica.
Una buona notizia, si potrebbe dire, di primo acchito. Be’, sì, d’accordo. Tuttavia, andando a leggere, l’euforia fa presto a passare.
Ecco alcuni stralci:
Il nuraghe è una sorta di torre a forma di tronco di cono (…). Una scala a chiocciola interna portava alla terrazza sovrastante, mentre le piccole feritoie ai lati permettevano agli arcieri di scagliare frecce da una posizione riparata.
Già qui qualche perplessità comincia a farsi largo.
La scala a chiocciola che conduce alla terrazza sovrastante sembra una descrizione molto approssimativa e anche fuorviante, ma non molto più di questo.
La storia delle piccole feritoie sui lati della torre, invece, suscita un primo dubbio: che io abbia sempre visto nuraghi senza feritoie? E sì che ne ho visitato decine!
Nemmeno la faccenda degli arcieri nascosti dentro il nuraghe (che si suppone semplice) combacia con l’immagine dei nuraghi come li conosco io. Ma potrei sbagliarmi.
Poi, subito dopo, l’autore aggiunge:
Intorno ai nuraghi sorgeva il villaggio della gente comune e, in caso di pericolo, tutti gli abitanti si rifugiavano nel nuraghe.
Ehm… Qui i conti cominciano davvero a non tornare. A meno che non ci si riferisca a un tardo utilizzo dei nuraghi più complessi, l’idea di un paio di centinaia di persone (prendendo questa come media degli abitanti di un villaggio) radunate e costrette dentro una tholos nuragica non mi quadra proprio.
Ma andiamo oltre:
Gli antichi Sardi eano divisi in due classi: i guerrieri e i lavoratori. Questi ultimi erano pastori e agricoltori e a loro era affidata la produzione delle risorse necessarie alla sopravvivenza del popolo; i guerrieri, che vivevano nel nuraghe, dovevano difendere la popolazione nel caso di attacchi nemici.
Be’, si sa: i Sardi, sia pure antichi, giusto i pastori e gli agricoltori possono fare. Per fortuna però che c’erano anche i guerrieri. I quali, però, poveretti, dovevano vivere tutti dentro il nuraghe: non molto comoda come soluzione…
Alla classe dei lavoratori appartenevano anche i fabbri. Poiché la Sardegna era una terra ricca di minerali, ben presto i suoi abitanti svilupparono avanzate tecniche di lavorazione dei metalli.
Che strano. D’improvviso, la società elementare, con un’articolazione produttiva di mera sussistenza, lascia il posto a una collettività più complessa, con tanto di esperti di metallurgia.
All’interno dei nuraghi sono stati trovati reperti come armi e statuette di bronzo, oltre a vasi e altri manufatti.
Sì, va be’. Certo che questi guerrieri che abitavano i nuraghi dovevano avere dei gusti proprio raffinati, se collezionavano nella loro caserma statuette bronzee e vasellame.
Ma attenzione, adesso viene il bello:
Purtroppo molti di questi reperti sono andati perduti, perché i nuraghi fino a pochi anni fa venivano usati dai pastori come ricoveri per gli animali.
Ah, ecco ristabilito il confortevole cliché. I reperti c’erano, erano anche belli e preziosi, ma ‘sti sardi buzzurri, che non avevano più niente di guerresco ma avevano conservato intatta la propensione per l’attività pastorale, dall’abisso della loro ignoranza portavano gli animali dentro i nuraghi e quelli, incolti come chi li guidava, mangiavano o facevano sparire in altri modi che non è dato sapere i reperti intonsi e integri che pure vi si trovavano in gran copia.
Chissà se le navicelle votive e gli altri bronzetti dei musei inglesi o americani sono state spedite lì da qualche pecora…
La conclusione è la seguente:
In seguito i Sardi, grazie ai contatti con i Fenici, iniziarono a navigare, pur non diventando mai un popolo di marinai.
Eh be’, un conto è scimmiottare i Fenici per riuscire a non colare a picco, un altro è diventare un vero “popolo di marinai”. In un’isoletta così piccola e senza altre risorse che il mare è proprio un assurdo storico che i Sardi non lo siano diventati. È una chiara dimostrazione della nostra invincibile e atavica inferiorità culturale.
In definitiva, possiamo dire giusto un paio di cose.
Una è che l’estensore di questo testo un nuraghe non l’ha mai visto, se non in fotografia. E deve pure averla guardata male!
L’altra è che questa pagina di un libro di testo destinato alle scuole italiane ci parla poco della civiltà nuragica ma ci dice invece molto degli stereotipi applicati più o meno consciamente da chi l’ha scritta e dell’idea dei sardi, del passato e soprattutto del presente, che continua ad essere propalata ancora oggi in Italia.
Ma il bello di tutto questo è che la responsabilità è in gran parte la nostra!