
Qualche esempio di questi giorni per capire l’abisso di insensatezza in cui ci dibattiamo e in cui la nostra politica sembra pagata per farci sprofondare ancora di più.
L’altro giorno la Presidente Todde va a Teti, paese della Barbagia prospicente la vallata del Tirso e la piana di Ottana, non distantissimo dalla SS 131 dcn, centro noto per i rilevanti ritrovamenti archeologici nel suo territorio, e ne combina un’altra delle sue.
Parlandone in pubblico con la giornalista Bianca Berlinguer, ha dichiarato:
“Teti è un luogo molto primitivo anche in termini di servizi. Anche adesso è un luogo molto remoto e come tutti i luoghi remoti è importante andarci per farli sentire parte di un progetto condiviso.”
Ovviamente sono subito scoppiate le inevitabili polemiche, specie sui social. In effetti è un linguaggio inaccettabile per la prima carica politica della Regione Auto(no)ma Sardegna.
Tuttavia, come dicevo, non è la prima volta che la Presidente Todde incorre in questo tipo di gaffe. A dispetto della difesa subito offerta dal sindaco di Teti medesimo (difesa che però è una toppa peggiore del buco), questa circostanza è l’ennesima conferma della sostanziale lontananza (sentimentale, culturale, sociale) della Presidente Todde dalla realtà che dovrebbe amministrare.
Una lontananza grave, soprattutto perché accompagnata da supponenza e paternalismo, tratti tipici della delegata coloniale. Possibile che nessuno, tra i suoi numerosi e ben retribuiti consulenti, glielo faccia notare?
La stessa Presidente Todde ha poi detto la sua anche in merito alla scomparsa, a 88 anni, del principe ismaelita Karim Aga Khan IV.
Nell’occasione, è riemerso, prepotente come un geyser, lo spirito auto-colonizzato e subalterno di molta classe media istruita sarda e anche di buona parte della nostra intellighenzia. C’è stato chi ha affermato che solo grazie all’Aga Khan i sardi, avvinti nella loro ancestrale cultura pastorale barbarica, hanno finalmente conosciuto la bellezza (è stato scritto davvero, giuro).
In altri anni, la coscienza dei processi che stavano investendo la Sardegna era un po’ meno obnubilata. Se non altro, c’erano voci critiche e non allineate al conformismo verso la modernizzazione passiva in atto.
Nicolò Rubanu, all’indomani della mobilitazione di Pratobello (1969) a Orgosolo, scriveva e cantava:
“Sos contadinos e-i sos pastores
e totu canta sa zente famia
isetavan concimes e tratores
pro aer pius late e pius pane
invetze’ totu an dadu a sos sinnores
a Rovelli, Moratti e s’Agacane.
Poverinu e mìseru s’anzone
ch’isetat late dae su marjane.”
Oggi, a distanza di tempo, la figura di Karim Aga Khan IV meriterebbe di essere valutata fuori dal recinto idiota delle tifoserie, che in questi casi si precipitano subito a occupare il campo di gioco. È stato una figura contraddittoria, come è inevitabile in casi simili, ma sicuramente importante. Da collocare correttamente nelle dinamiche storiche contemporanee.
Invece la Presidente Todde, senza porsi il minimo problema, annuncia immantinente, con un panegirico celebrativo, la proclamazione del lutto regionale. Nessun tentennamento, nessun distanziamento critico, nessuna attesa di una più meditata riflessione. Bisogna battere il ferro finché è caldo.
Quale ferro? Direi, quello tutto ideologico della necessità di soccorso e investimenti virtuosi dall’esterno per salvarci dalla nostra condizione deficitaria. Imputabile, sembrerebbe, alla nostra stessa natura di emarginati della storia, di minus habentes congeniti (il locos della nota massima – fasulla – pocos, locos y mal unidos).
Non abbiamo risorse e, se per puro caso le abbiamo (tipo sole e vento, per dire), devono essere sfruttate da altri, perché noi non siamo capaci e manco ce le meritiamo. Questo è il Verbo.
Come se non bastasse questo spettacolo imbarazzante, nelle stesse ore, sempre dalla fucina geniale della comunicazione istituzionale della Regione Auto(no)ma, è venuto fuori l’annuncio trionfalistico delle nuove rotte aeree da e per la Sardegna (già fatto dal Presidente Solinas a suo tempo, per altro, ma va be’). Accompagnato da un’immagine che dice molto di più di quanto possano dire pagine e pagine di analisi sociologica: una cartina in cui la Sardegna semplicemente non c’è (è quella in apertura del post).
Siamo messi così, governati da una classe politica di podatari ottusi, furbi ma non intelligenti, espressione di un’oligarchia sociale inetta e ignorante, anche e soprattutto laddove si vuole spacciare per “competente”; prigionieri di stereotipi degradanti che la nostra intellighenzia con-voce-in-capitolo-a-corte non solo non contrasta ma anzi alimenta; deprivati materialmente e culturalmente, mentre il mondo intorno corre a scapicollo verso tempi oscuri.
Non la vedo bene. Spero di sbagliarmi.