Il conflitto inevitabile

Tra i tanti documenti del periodo rivoluzionario sardo, l’Achille della sarda liberazione spicca per forma e contenuti. Il titolo 1 si intitola “Analisi della sarda costituzione politica” ed è composto da 21 articoli. Vi si espone l’idea che la relazione tra il sovrano e la nazione sia di natura pattizia e paritetica, con reciproche obbligazioni.

(Scrivevano così, gli estensori: Nazione, con la maiuscola, mostrando di aver acquisito la nuova accezione del termine proveniente dalla Francia rivoluzionaria.)

Il ragionamento si concludeva con la dichiarazione che, laddove il sacro patto tra sovrano e nazione fosse stato “vulnerato”, la relativa sanzione sarebbe dovuta derivare dalla “forza coattiva” della parte lesa.

L’articolo 21 recitava così: “La Nazione Sarda contiene in se stessa delle grandi risorse per potere sviluppare una grande forza coattiva, onde fare rispettare la sua costituzione politica”.

Era una minaccia bella e buona. Gli estensori del testo, elementi della leadership teorica e politica del partito novatore, avevano le idee chiare su cosa fosse necessario fare, in quelle circostanze. Lo dicevano apertamente, assumendosi un rischio enorme. Non esisteva la democrazia, nemmeno rappresentativa, non esistevano molti dei diritti di cittadinanza che diamo per scontati, compresa la libertà di parola. Esporre queste idee significava accettare di poter essere arrestati, processati, condannati per tradimento.

Perché faccio riferimento a questo testo e a quelle circostanze? Perché mi pare che sia sempre troppo poco chiaro, prima di tutto a chi le occupa, il ruolo delle istituzioni sarde e la responsabilità ad esse associata.

Quasi ottant’anni di autonomia regionale non sono bastati a far maturare nella classe politica sarda e nel suo bacino sociale di riferimento la consapevolezza circa la realtà geografica, storica, materiale e culturale della Sardegna.

Naturalmente, molte persone ci hanno guadagnato – personalmente, a livello familiare e di clan – dal proprio ruolo di mediocri intermediari. Il che però non significa che abbiano avuto ragione.

Il problema del conflitto tra Sardegna e Stato italiano non è un tema astratto e nemmeno una postura ideologica. Non discende da posizionamenti di comodo né da ossessioni nazionaliste. È un dato di fatto insuperabile.

Che questo nodo non sia mai al centro dei dibattiti politici e tanto meno delle campagne elettorali dice molto sulla qualità della nostra classe dirigente e forse anche qualcosa sulla incompiutezza, ormai evidente e con risvolti patologici, della democrazia in Sardegna.

L’ennesimo assalto speculativo al territorio sardo non è stato affrontato e nemmeno compreso da chi fa politica in conto terzi e ha l’attitudine podataria come stella polare pragmatica. Gente paracadutata in ruoli per cui non è all’altezza, priva di conoscenza dei luoghi e dei problemi, pretende di governare processi complicati e magari di avere pure dei riconoscimenti.

Lasciando stare quelli in mala fede, che fanno politica solo perché consente di sistemarsi confortevolmente nella vita, a spese dell’erario, anche le persone più presentabili tra quelle elette in consiglio regionale non sembrano avere la minima idea di cosa dovrebbero fare, di quale sia il senso del loro ruolo.

Idem la compagine di governo: la giunta regionale e la presidente Todde (consulenti al seguito compresi). Sembrano alieni caduti dal cielo in un luogo mai conosciuto prima.

Ci sono voluti mesi, ma finalmente ieri la presidente Todde si è resa conto che forse forse la faccenda della speculazione energetica non si risolve con effetti annuncio a proposito di provvedimenti privi di valore giuridico e di qualsiasi forza coercitiva. Parla lei stessa di conflitto con lo stato. Come se fosse una sorpresa sconvolgente.

Certo, immagino sia difficile gestire una situazione di estrema delicatezza, con potenziali risvolti drammatici, sapendo di aver contribuito a causarla. Nessuno in Regione, della maggioranza o della (ipotetica) opposizione, ha la coscienza a posto. Non è un caso se da dieci anni hanno blindato il portone di via Roma per evitare che il loro (non) lavoro sia disturbato da qualche persona eletta fuori dal loro giro e soprattutto fuori controllo. A tal proposito, va evidenziato che, come era fin troppo facile prevedere, della legge elettorale non se ne parla più.

Sarebbe bello che alle parole seguissero fatti conseguenti. Dice: cosa si può fare? la rivoluzione? A parte che, alle brutte, non la escluderei come opzione, in realtà di cose da fare, e pure d’urgenza, ce ne sarebbero.

Per esempio, Tonino Dessì, che cito perché persona molto ben informata su questi temi nonché su procedure e questioni giuridiche, dice quanto segue:

Insomma, non è che dobbiamo subire per forza il destino cinico e baro. Invece la politica sarda sembra sempre quella menzionata da Fabrizio De André nella sua Don Raffae’, quella che “si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.

Mettiamola così. La dignità ve la siete giocata da un pezzo e costernarsi e indignarsi non serve a nulla (oltre a non essere più credibile). Impegnarsi invece potrebbe essere utile, una volta tanto.

L’assalto speculativo alla Sardegna non c’entra nulla con la transizione energetica e con le necessarie risposte ai mutamenti climatici e ai disastri ambientali. Se ci fate caso, di queste cose nessuno parla davvero in modo serio, competente, strategico. Ha invece tutte le caratteristiche di una pratica coloniale in grande stile. Per giunta, si somma alle mai risolte questioni dell’occupazione militare e alle possibili nuove aggressioni al territorio e alle risorse dell’isola (vedi faccenda delle terre rare). E non parliamo di tutto il resto (trasporti, infrastrutture, patrimonio storico-archeologico, questione linguistica, scuola, spopolamento, disagio socio-economico).

Sui gravami militari c’è stato anche quest’anno, a Cagliari, il 2 giugno alternativo organizzato da A Foras, a cui hanno preso parte diverse centinaia di persone di varia estrazione. Una manifestazione pacifica e colorata, con diverse presenze giovani, che però alla fine sapeva di rituale, non tanto di una vera azione di lotta.

Sia chiaro, i rituali sono importanti. Io c’ero e quando potrò ci sarò sempre. Con qualche compagna e compagno ci siamo detti, non senza una punta di amarezza, che alla fine ci si ritrova sempre tra le stesse persone. Il che è vero fino a un certo punto, e comunque pazienza: sempre meglio di niente.

Ma il problema resta ed è enorme, a dispetto dell’undertatement con cui lo ha trattato la presidente Todde. La sua dichiarazione sulle servitù militari sostenibili è talmente ridicola che non merita nemmeno di essere commentata.

Anche qui, come nel caso dell’assalto speculativo energetico, maggioranza e opposizione giocano un ruolo da commedianti. Non sono state selezionate per affrontare davvero i problemi. Tanto meno per risolverli. Eppure il ruolo che ricoprono non è fittizio, è reale. La responsabilità che si sono prese, nel loro insieme e nelle loro componenti individuali, è concreta.

Tale responsabilità comporta che si facciano carico, ciascuna per la parte che le compete, dell’inevitabile e ineludibile conflitto con lo Stato centrale. Se mostreranno coraggio, troveranno più sostegno di quanto ne abbiano raccolto alle urne (dove quasi metà dell’elettorato ha rinunciato ad esprimersi). Forse perderanno qualche appoggio di peso oltre Tirreno, forse qualche grande portatore di interesse ci resterà male, ma è un nostro problema?

Ci sono loro, in quei ruoli. Il carico di rappresentare gli interessi collettivi della Sardegna è tutto loro. Se non si rendono conto che le circostanze sono particolari, che il momento storico è delicatissimo e non agiscono di conseguenza, dovranno assumersi la responsabilità di quanto succederà di qui in avanti.

Nel frattempo, sarà bene non abbassare la guardia e rendere sempre più solida l’opposizione extra-consiliare. Non solo mobilitazioni locali e dedicate a un solo problema per volta, ma anche finalmente una visione politica complessiva, un quadro generale e una strategia in cui inserire le lotte settoriali.

In questo senso, le manifestazioni vanno bene, ma non bastano. E non bastano certo più le ossessioni metafisiche dell’indipendentismo fine a se stesso. L’imminente tornata elettorale – locale e insieme europea – ci dirà qualcosa su cosa aspettarci nel prossimo futuro. La situazione secondo me si complicherà ulteriormente. La Sardegna o trova il modo di esprimere una propria soggettività storica, o soccomberà malamente. Il primo interlocutore, a cui non possiamo più permetterci di fare sconti, è lo Stato italiano. Servirà uno scontro a grande livello? Bisogna essere pronti, coscienti delle possibilità e delle conseguenze.

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