Appropriazioni indebite di un’eredità politica ingombrante

Mi ero ripromesso di non scrivere nulla sulla campagna elettorale già in corso. E tanto meno vorrei parlare di Michela, esattamente come ho evitato di farlo fin qui. Il secondo proposito forse riuscirò a mantenerlo, quasi del tutto. Al primo faccio un’eccezione, ma limitatamente a un aspetto (che però è piuttosto rilevante). Chiedo scusa per il tono più autoreferenziale del solito. Ma diciamo che c’è in ballo (anche) un “fatto personale”.

In questa fase preparatoria della campagna elettorale i vari schieramenti sono impegnati nelle consuete manovre tattiche preliminari. La disgregazione e la mediocrità del quadro politico sardo complica le cose anche agli aggregati politici più robusti, ormai ridotti a comitati elettorali e d’affari opachi, dediti al proprio mantenimento al potere, a spese dei cittadini. Il che vale sia per il centrodestra – oggi a guida sardo-leghista – sia per il centrosinistra a guida PD (grosso modo).

La distanza politica tra i due raggruppamenti è davvero vaga, a dispetto del ritornello, già immesso nel circuito dei media, sulla necessità di “battere le destre”. Sforzo di fantasia notevole, bisogna dire. Mai che chiariscano in nome di cosa e con quali obiettivi sia doveroso “battere le destre” (le destre altrui, sottinteso). La considerazione vale in Sardegna forse più che in Italia. La situazione ricorda dolorosamente quella descritta da Francesco Pais Serra nella sua relazione al governo, del 1896:

Meno che in pochi centri, e anche in una piccola minoranza, conservatori e liberali, democratici e radicali sono parole senza contenuto; […] eppure i partiti sono vivi, tenaci, intransigenti, battaglieri: ma non sono partiti politici, né partiti mossi da interessi generali o locali, sono partiti personali, consorterie nello stretto senso della parola. […]Si mettono alla dipendenza dei maggiori partiti, da cui ricevono in cambio protezione ed aiuto efficace nelle piccole contestazioni locali e soprattutto protezione personale per ottenere favori e per sfuggire alle conseguenze delle violazioni di legge e talvolta di delitti. […]È una specie di graduale vassallaggio, che con peggiori e più tristi conseguenze si è sostituito all’antica soggezione feudale.

Salvo occasionali eccezioni e parentesi poco durature, questo modello rappresenta la cifra precisa della politica nella Sardegna subalterna e dipendente degli ultimi due secoli. Compreso il nostro presente.

Ma non intendo addentrarmi in analisi storico-politiche, che per altro ho già fatto. In questa circostanza voglio soffermarmi su un aspetto al contempo tecnico (comunicativo, retorico) e etico della politica sarda di oggi. Soprattutto di quella che pretende di rappresentare ideali popolari, di sinistra, diritti civili e sociali, progressismo.

Era già capitato in un incontro pubblico tra Renato Soru e Pierfranco Devias, a Nuoro, qualche giorno fa. La cosa si è ripetuta, più intenzionale e strumentale, in occasione del lancio ufficiale della candidatura di Alessandra Todde alla presidenza della RAS per conto dell’alleanza PD-M5S.

Todde, dopo la passerella mediatica di rito, scrive su FaceBook:

Le fa eco subito dopo Diego Loi:

Profondo fastidio e disgusto sono stati le prime reazioni spontanee. Però una cosa salta subito all’occhio: la totale rimozione della vicenda di Francesca Barracciu, lei sì prima donna del centrosinistra (non in assoluto: Michela era già in campo) candidata per la presidenza della RAS. Già questa “dimenticanza” la dice lunga sull’onestà e la credibilità di certe dichiarazioni, dal suono vagamente femminista, rese in questi tempi più che sospetti.

Sul punto, ha risposto efficacemente Ivana Cucca, di Sardegna chiama Sardegna:

Le due immagini in questione sono queste:

La differenza salta all’occhio. Ma non è una percezione viziata dalla scelta arbitraria delle immagini. Si tratta di una differenza politica ed etica di fondo che nessuna millanteria e nessuna appropriazione indebita riusciranno a scalzare.

Perché il motivo più grave di indignazione è la totale mancanza di scrupoli morali e di banale decenza umana che spinge Todde e/o chi ne cura la comunicazione a tirare in ballo una persona che non c’è più, dunque impossibilitata a replicare, e che per giunta, in tutta la sua militanza politica e culturale, non ha fatto altro che ribadire la sua distanza dal centrosinistra, candidandoglisi contro quando è stato il caso, da indipendentista, democratica radicale e femminista qual è stata. Che per anni ha sempre rifiutato le (sfacciatissime) proposte di adesione e di candidatura da quella parte politica, anche dalle sue porzioni fintamente più presentabili.

Todde nei giorni scorsi ha dichiarato pubblicamente che è necessario evitare le parole chiave “resistenza” e “colonia”. Non so chi la stia consigliando, ma questa è una clamorosa dimostrazione di insipienza politica e di scarsissima conoscenza della Sardegna. È come rivendicare di non avere idea di dove poggino i propri piedi. Non c’è niente di più lontano da Michela Murgia. Non rendersene conto è un’ulteriore dimostrazione di ignoranza e di arroganza.

In nessun modo e da nessun punto di vista Alessandra Todde, il centrosinistra e qualsiasi forza politica che non ripudi apertamente la condizione subalterna e dipendente della Sardegna sono legittimate a rivendicare l’eredità di Michela Murgia e di Sardegna Possibile 2014. Nessuno che abbia vissuto quell’esperienza, che l’abbia animata e che abbia condiviso con Michela quel percorso darà mai il benestare per una cosa del genere. IO non glielo do di sicuro. E ritengo di avere titolo per farlo.

Su cosa sia stata quella campagna, sulle sue motivazioni politiche, il suo svolgimento, i suoi retroscena e i suoi esiti ho scritto un libro, apposta per non dover continuamente ritornare sull’argomento, per non dover rispondere alle stesse domande e obiezioni (a volte malevole o banalmente stupide, va detto) di questi ultimi dieci anni. Non pretendo che Todde e i suoi collaboratori lo acquistino, ma magari qualcuno glielo può prestare. Posto che basti leggere un libro per recuperare una dose minima di decenza politica e di limpidezza etica.

Sono altre le forze e le istanze che possono riconoscersi nel solco di Sardegna Possibile 2014. Non è detto che siano mature e già operative. Ma ci sono. E sono estranee alle nomenklature dei partiti “podatari” e alle varie consorterie coloniali che da troppo tempo si spartiscono il dominio della Sardegna (spesso in conto terzi, ma sempre a proprio vantaggio). Sono le persone giovani, precarie, “resistenti” in più di un senso, le/i militanti per i diritti civili e per la salvaguardia degli equilibri ecologici, le persone che difendono le minoranze, le categorie sociali discriminate e i diritti delle popolazioni oppresse, donne e uomini che non godono di privilegi e non difendono rapporti sociali iniqui e tanto meno la relazione asimmetrica e sbilanciata che lega la Sardegna allo Stato italiano.

Chiaramente non basta dichiararla, questa rivendicazione di eredità: bisogna praticarla. Bisogna essere conseguenti e riprendere i fili e il tracciato di quel progetto, anche con altri nomi, nuove parole d’ordine, nuove scelte tattiche, se e dove necessario.

In ogni caso, signore e signori dei partiti coloniali e dei gruppi di potere parassitari, lasciate stare Michela Murgia! Non vi appartiene. Non era dei vostri, a dispetto del poco che pensate di aver capito di lei. Non abbiamo dimenticato le bassezze che le avete riversato addosso prima, durante e dopo quella campagna elettorale. Non dovreste nemmeno nominarla. Vergognatevi e finitela qui.

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