Il dilemma della pace

Il perdurare della guerra in Ucraina e la minaccia di utilizzare ordigni nucleari da parte della Federazione Russa disegnano uno scenario di escalation fuori controllo, a cui non sembra riuscire a rispondere alcuna mobilitazione culturale e politica orientata alla pacificazione e alla democrazia.

La guerra in Ucraina va avanti secondo i suoi ritmi, in gran parte celata alla comprensione delle opinioni pubbliche (nonostante la copertura giornalistica h24 e l’infinito commentarium social). Chi osserva a debita distanza ha la sola libertà di prendere posizione, quasi sempre in termini piuttosto ingenui e orientati dalle personali propensioni. Il dibattito pubblico, che pure dovrebbe essere uno dei lieviti della democrazia, ne risente fino alla sterilità.

Mentre chi decide fa le sue valutazioni e le sue scelte, sostanzialmente al riparo da qualsiasi reale interferenza democratica, non smettono di produrre rumore di fondo le due principali fazioni del tifo, in questa partita a cui possiamo giusto assistere come spettatori. Come in altre circostanze rilevanti, la distribuzione del tifo è predeterminata dalle categorie e dalle cornici imposte egemonicamente dalla politica e dai mass media, con riverberi diretti nei social (che anche in questo caso si dimostrano tutt’altro che alternativi al mainstream). Non si può prendere parte alla discussione se non dentro tali schemi.

In realtà, proprio per questa costrizione innaturale, le due fazioni sono tutt’altro che omogenee al loro interno, dunque capita che persone dichiaratamente e indubbiamente di sinistra, propense alla solidarietà internazionale e alla pace, si trovino fianco a fianco con fasci di varia provenienza o con mestatori nel torbido al soldo di qualche robusto interesse privato. In entrambi gli schieramenti.

Ho già parlato degli equivoci e dei fraintendimenti emersi drammaticamente in questa fase storica, non solo a proposito del conflitto ucraino, ma anche della pandemia di covid-19. Non ci tornerò su.

Noto però che oggi si manifesta con maggiore vigore uno dei nodi della questione, su cui mi sembra opportuno interrogarmi(ci).

Partirei da una citazione significativa, giusto per ragionare su qualcosa di concreto. Riporto testualmente un post pubblicato il 6 ottobre nella pagina Facebook di Emergency:

Ci hanno detto che l’invio delle armi all’Ucraina era necessario per “permettere agli ucraini di resistere all’avanzata russa e arrivare prima al tavolo dei negoziati”. Poi ci hanno detto che bisognava continuare a fornire armi più sofisticate, perché in questo modo la pace si sarebbe fatta più vicina.
Sono passati più di 7 mesi, sono stati inviati miliardi di dollari in aiuti militari e la guerra non è finita, con oltre 15 mila vittime civili tra morti e feriti e oltre un terzo della popolazione Ucraina che ha dovuto abbandonare la propria casa.
In questi giorni, la Russia ha minacciato con sempre maggiore insistenza l’uso dell’arma atomica. Quella che fino a pochi mesi fa sembrava addirittura impensabile è diventata un’opzione possibile, abbattendo l’unico tabù rimasto finora sulla guerra: il divieto dell’uso delle armi nucleari.
Le conseguenze di questa scelta irresponsabile sarebbero gravissime su una parte dell’umanità – altri morti, altri feriti, altri profughi – e sull’intero ordine mondiale.
Nelle stesse ore, in Ucraina è stato promulgato un decreto che vieta di negoziare con Vladimir Putin. Vietare per decreto di negoziare con Putin significa chiudere ogni possibilità alla diplomazia e decidere di fatto che l’unica strada per la risoluzione del conflitto è quella esclusivamente militare. Il nostro e altri governi europei che stanno sostenendo con armi l’Ucraina condividono questa scelta?
Oggi siamo di fronte a un rischio concreto, universale, terribile. Lo credevamo sepolto per sempre nel passato, lo ritroviamo a poche migliaia di chilometri dalle nostre case, in grado di innescare la fine all’esistenza dell’essere umano sulla terra.
Stiamo perdendo il controllo di questa guerra perché l’unico modo di controllare una guerra è non iniziarla.
Chiediamo al nostro governo di sospendere subito l’invio di armi all’Ucraina e di mettere in atto tutte le azioni che possano portare a un immediato cessate il fuoco.

Il testo proposto da Emergency rispecchia una delle posizioni più diffuse nello schieramento che guarda in termini critici al posizionamento geo-politico dell’Italia nel campo occidentale a guida USA: il sostegno concreto, di natura militare, all’Ucraina è motivo di recrudescenza del conflitto e di un suo possibile aggravamento; come tale, da rifiutare.

È una posizione che mi pare in larga misura sincera e animata dalle migliori intenzioni, non solo per quel che riguarda Emergency, la cui storia parla da sé, ma anche in altri soggetti che ne condividono lo spirito. C’è un ampio fronte pacifista, in Italia, che – a dar retta ai sondaggi – riflette un orientamento maggioritario dell’opinione pubblica. E tuttavia ha pochissimo peso politico e non influenza che poco o nulla la comunicazione mainstream sulla guerra. Per lo più tali posizioni sono ignorate nelle loro argomentazioni e stigmatizzate come filo-putiniane.

Personalmente sono persuaso che moltissime posizioni pacifiste sono tutt’altro che simpatizzanti per il regime di Putin. Probabilmente la maggioranza detesta Putin quanto e più di coloro che sono favorevoli all’invio di armi all’Ucraina. Tra questi ultimi si trovano a proprio agio anche rappresentanti di partiti o di centri di potere e di interessi che fino a pochi mesi fa con Putin trattavano amichevolmente, quando non ci facevano affari. Tralascio per brevità la componente fascista del fronte pacifista, che non è pacifista manco per niente, bensì solo opportunista. Putin e il suo regime sono, secondo le notizie disponibili, tra i più grandi finanziatori (se non il più grande) di ogni forma possibile di fascismo e di regime autoritario nell’intero globo terracqueo. Bisogna tenere conto anche di questo dato.

La principale obiezione che si fa al pacifismo in questo caso è la sua vaghezza propositiva, la mancanza di proposte concrete su come arrivare alla auspicata pace.

Effettivamente, anche nell’appello di Emergency sopra citato si nota una certa assenza di articolazione del discorso, che invece mi pare indispensabile, se si vuole evitare il rischio di apparire come sostenitori dell’invasione russa. Intanto precisando che il principale vulnus alla pace lo ha causato proprio il regime putiniano con l’invasione del 24 febbraio scorso. Chiaramente, non si possono omettere le precisazioni sulle responsabilità ucraine nella gestione della situazione in Donbass, prima e dopo il 2014. Responsabilità che ci sono e che dovrebbero a loro volta essere tenute in considerazione da chi si espone con forza a favore dell’Ucraina. C’è però una sostanziale differenza di scala e di gravità tra il comportamento ucraino e russo in tutta la vicenda. Nemmeno questo si può negare.

Qualsiasi discorso orientato alla pacificazione deve tenere presente sia la situazione di fatto come si è sviluppata fino a oggi, sia il diritto dell’Ucraina a pretendere il rispetto dei propri confini riconosciuti internazionalmente. Anche chi sia favorevole a un regime di autodeterminazione per le province contese, compresa la Crimea, non può esimersi dal condannare l’ingerenza, a tratti palese e armata, della Russia in quei territori. I discorsi, spesso disinformati, sulla presunta persecuzione della popolazione russa o russofila in Ucraina, regolarmente confusa con i russofoni ucraini, vanno ricondotti ai principi di rispetto dei diritti umani e delle minoranze in un’ottica di persuasione e, caso mai, di interposizione diplomatica internazionale. Specularmente, andrebbe sempre garantito il rispetto della volontà dei popoli coinvolti, chiaramente fuori dalle restrizioni imposte da uno stato di guerra e da consultazioni organizzate sotto la minaccia delle armi.

Detto ciò, resta il problema di come arrivare alla pace, se i due contendenti in campo non la vogliono. Non la vuole la Russia, oggi sulla difensiva, ma domani chissà, e comunque vincolata alle sue stesse scelte imperialiste. Non la vuole l’Ucraina (e soprattutto una parte del governo ucraino), desiderosa di liberare il proprio territorio dall’invasore e di poter esercitare liberamente la propria sovranità anche nella prospettiva di un’adesione all’Unione Europea e soprattutto alla NATO. Prospettiva certamente criticabile, ma che non si può delegittimare in quanto tale.

L’ostilità per l’imperialismo USA e per la NATO non può farci presumere di poter dettare legge, secondo la nostra sensibilità politica, a territori e popolazioni che si trovano in una condizione storica piuttosto diversa dalla nostra. Questo va sempre tenuto presente. Continuare a ripetere che in Ucraina c’è un regime nazista e che, qualsiasi cosa decida di fare il presidente Zelens’kyj, è frutto della sua subalternità al governo USA è non solo una falsità ma dimostra anche una notevole mancanza di rispetto verso una popolazione aggredita e impegnata in una difficilissima guerra di liberazione.

Putin non è un liberatore dei popoli oppressi, così come non sono regimi politicamente accettabili, in un’ottica democratica, emancipativa e solidale, il regime iraniano o quello siriano, pure a loro volta, a seconda delle circostanze, assunti come eroi della lotta mondiale anti-imperialista (anti-USA).

Né è da considerare una misera pedina nelle mani degli Stati Uniti il governo ucraino, per il solo fatto che richieda l’appoggio USA e NATO. Anche la Confederazione della Siria del Nord ha accettato aiuto logistico e militare dagli USA, in una certa fase della sua guerra contro Daesh, ma questo non ne faceva di sicuro uno strumento dell’imperialismo USA in Medio Oriente.

D’altra parte è scorretta anche la reductio ad hitlerum di Putin. Putin non è Hitler, la Russia di oggi non è la Germania del 1939. È inammissibile la sua politica verso l’Ucraina, così come in generale l’imperialismo russo verso i popoli circumvicini. Ma addebitargli obiettivi e ragioni analoghi a quelli di Hitler e del nazismo è banalmente una sciocchezza, per quanto il regime che lui rappresenta (di cui però è solo il vertice, non l’unico protagonista) abbia dei tratti reazionari, anti-democratici e autoritari che lo fanno somigliare al fascismo.

Cosa proporre, dunque, per contrastare la narrazione bellicista e – teniamolo presente – l’affarismo senza scrupoli che alimentano la comunicazione mainstream italiana e internazionale? In realtà, in concreto, ben poco. Possiamo solo ragionare fuori dagli schemi imposti, partendo da dati di fatto conclamati e provando a costruire proposte di percorso diplomatico possibili.

Beninteso, tenendo conto che le trattative tra i due contendenti – a dispetto dei proclami ucraini, che sono un avvertimento a terzi e/o una cortina fumogena propagandistica – sono già in corso (come dimostra il recente scambio di prigionieri). Ben al riparo dai riflettori, chiaramente.

Non possiamo assumere come centrali le obiezioni alla guerra che si basino solo sui problemi pratici – aumento dei prezzi, restrizioni energetiche – a cui, con la scusa della guerra, la speculazione internazionale ci sta costringendo. I problemi esistono, data la dipendenza europea dalle fonti fossili russe (capolavoro di intelligenza e lungimiranza, questo, di cui certamente non possono essere accusati i pacifisti odierni). Ma gli effetti macroscopici sui prezzi al consumo sono in larghissima misura effetto di giochi finanziari, di speculazioni private e di debolezze politiche.

Senza contare che suona particolarmente gretto e meschino, davanti a questioni epocali drammatiche, avere a cuore solo il proprio particulare.

Serve una prospettiva ampia, strategica, europea e mediterranea, ma fuori dagli schemi del confronto geo-politico e del gioco di predominio tra super-potenze. Anzi, è dal rifiuto di questi schemi, con tutte le loro connessioni alle questioni socio-economiche, politiche e ambientali globali, che dovremmo partire.

A questo punto è necessario anche uno sguardo sulla Sardegna, specie alla luce della convocazione della manifestazione del 16 ottobre prossimo a Capo Frasca.

La piattaforma su cui la manifestazione è convocata ha delle consonanze con le dichiarazioni del fronte pacifista italiano, compreso l’appello di Emergency di cui sopra. Eccone il testo:

SARDEGNA IN STATO DI GUERRA: A FORAS RISPONDE CON LA MANIFESTAZIONE DEL 16 OTTOBRE A CAPO FRASCA.
Leggiamo dall’Unione Sarda come nelle ultime settimane, a causa della situazione internazionale, gli apparati militari siano passati a un nuovo livello di mobilitazione: si tratta del warfighting. Come riporta un documento prodotto dallo stato maggiore della difesa «tutte le attività addestrative dovranno essere orientate al Warfighiting, uno stato di allerta che precede quello di guerra. In merito, viene disposto il rinvio di tutte le esercitazioni che non siano specificatamente indirizzate al mantenimento delle capacità operative».
Ovviamente il centro di tutto sono i poligoni sardi. Le attività a Quirra, a Teulada e a Capo Frasca sono state intensificate. Se nella disposizione dello stato maggiore della difesa si legge che devono essere rinviate tutte le esercitazioni “superflue” è evidente che quelle che si stanno tenendo in questi giorni siano indispensabili per l’aria di guerra che si respira in questi giorni.
Anche per questo domenica 16 ottobre alle ore 12 torniamo a manifestare a Capo Frasca, in una piattaforma comune con l’organizzazione corsa “Core in Fronte”, contro la Nato, contro l’uso della Sardegna e della Corsica in funzione della guerra, per un Mediterraneo di pace e per la sovranità popolare nelle nostre isole.
Inoltre tornare a manifestare è ancora più importante dopo che, pochi giorni fa, è arrivata la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per i 5 generali, ex capi di Stato Maggiore, finiti sotto inchiesta per disastro colposo nel poligono di Teulada, appena un anno dopo l’assoluzione dei generali imputati nel processo di Lanusei.
Non possiamo permettere che in Sardegna vengano preparate le guerre che infiammeranno lo scenario internazionale. Non vogliamo essere complici del sangue che verrà versato.

La Sardegna, come sempre, è tutt’altro che estranea alle dinamiche internazionali. Il suo è però un ruolo passivo, come sappiamo. La piattaforma proposta da aForas ha le sue sacrosante ragioni ed è coerente con le parole d’ordine e gli obiettivi delle passate mobilitazioni.

Tuttavia, mi permetto di sollevare un paio di problemi.

Intanto, a mio avviso, manca una presa di posizione ragionata, più articolata e più rispondente alla complessità del momento storico. Va benissimo ribadire la propria ostilità alla NATO e all’imperialismo USA, così come va bene reiterare l’auspicio della pace (in Sardegna e altrove). Mi sarebbe piaciuto, però, che si facesse un accenno all’inaccettabilità dell’invasione russa dell’Ucraina. Non per altro, non vorrei mai che un domani, con la Sardegna indipendente dall’Italia, un’eventuale invasione italiana trovasse per contrappasso anti-militaristi, anti-imperialisti e pacifisti di altri paesi schierati contro la Sardegna. Sarebbe un duro colpo.

Su questo punto nei mesi scorsi ho dovuto rinunciare, con dispiacere ma con motivazioni dichiarate, ad aderire a un manifesto rivolto al mondo della cultura in Sardegna da IndieLIbri. Anche in quel caso i termini della questione, su cui concordavo in generale, erano posti in modo troppo astratto rispetto alla realtà dei fatti in corso. Col risultato di suonare – magari a dispetto delle intenzioni – favorevole dell’invasione russa dell’Ucraina.

Un altro aspetto, che mi sembra sempre più decisivo, è la necessità di connettere finalmente l’azione dimostrativa, la testimonianza e la lotta sul campo a una fase politica più propositiva e più orientata a cambiare davvero l’ordine delle cose presenti. Lo dico soprattutto in riferimento all’ambito politico istituzionale, al risvolto della costruzione del consenso, anche elettorale.

La lotta contro l’occupazione militare e il militarismo in Sardegna va avanti da più di mezzo secolo. Non ha ottenuto molto, salvo una certa, generalizzata presa di coscienza in merito. Forse sarebbe ore di prospettare un salto di qualità. Di ragionare in modo più pragmatico e determinato anche a proposito della costruzione di una rappresentanza istituzionale di queste istanze. Che si legano a tutte le altre forme di subalternità di cui soffre l’isola e alle questioni strutturali che la stanno trascinando verso un inesorabile declino.

Il variegato movimento anti-militarista, pacifista e ostile all’occupazione militare (le tre qualifiche non coincidono necessariamente) dovrebbe trovare il modo e la forza di sostenere eventuali proposte politiche che si impegnino a portarne i temi e gli obiettivi fin dentro le istituzioni, per quanto si possa pensare male della democrazia rappresentativa e della sua declinazione sarda (e se ne può davvero pensare tutto il male possibile).

Mi piacerebbe che, in preparazione e al di là della manifestazione a Capo Frasca del 16 ottobre, il dibattito riprendesse corpo e sostanza su questi nodi, oltre che sulle tematiche più consuete. Ribadendo sempre con forza che la Sardegna non deve essere più una colonia bellica, ma una terra di pace, incontro e solidarietà tra i popoli.

13 Comments

  1. Linko qui un articolo uscito su Jacobin Italia, in cui Ivan Bonnin, ricercatore indipendente e attivista delle Brigate Volontarie per l’Emergenza, chiarisce moltissimi aspetti del conflitto ucraino – visto da sinistra – e del contesto in cui è maturato. Una lettura che definirei *indispensabile* per chiunque, ma soprattutto per la militanza di sinistra e indipendentista in Sardegna.

  2. Antonio Fadda Mele, sul suo profilo Facebook (purtroppo), scrive un commento a questo mio pezzo. Lo riposto integralmente:

    Omar Onnis ha certamente il merito di presentare una posizione critica ben piu’ articolata rispetto alle sguaiate sparate di alcuni membri del fronte anticapitalista sardo. Purtroppo la verita’ e’ che la maggior parte dei suoi adagio cadono nel vuoto e parte della medesima compagine anticapitalista usa facilmente le sue parole a proprio piacimento, talvolta per rinforzare le loro posizioni oltranziste contro quello che per loro e’ il nemico dei nemici, ovvero gli USA, la NATO e l’alleanza atlantica.
    Onnis non nasconde il suo dissenso verso il calcolato rifiuto da parte di varie iniziative antimilitariste sarde di condannare in maniera chiara e inequivoca l’invasione Russa dell’Ucraina. Bisogna dargli credito di questa onesta’ intellettuale. Nonostante cio’ egli sembra propenso per un strada che conduca alla pace attraverso canali diplomatici.
    Ora, a leggere con attenzione l’articolo di Onnis, si rilevano immediatamente alcune criticita’. Onnis auspica la creazione di un movimento che porti le istanze antimilitariste e pacifiste a un ruolo di protagonismo, di contro a quello che indentifica come un atteggiamento sordo alle istanze diplomatiche di pace che si esprime attraverso un silenziamento da parte dei media e dei poteri costituiti e che trova espressione in una sorta di tifo da stadio binario tra supporters dell’uno o altro schieramento. In chiusura di articolo, Onnis invita il movimento antimilitarista sardo, che si prepara a una mobilitazione contro la NATO, a uno sforzo per l’adozione di strategie nuove che portino le istanze antimilitariste in seno alle istituzioni. Egli sembra altresi’ critico dei risultati fin’ora raggiunti in decenni di lotte.
    Innanzitutto balza agli occhi la debolezza pragmatica di queste proposte. Per esempio, l’idea che il protagonismo della diplomazia possa o debba essere affidato al movimentismo e’ tutto da verificare. Un analisi piu’ ampia richiede una disamina della debolezza delle istituzioni internazionali preposte alla risoluzione delle contese tra stati. Questa guerra ha dimostrato ancora una volta quanto le nazioni unite abbiano scarsissima agibilita’ nella risoluzione dei conflitti. Ora se questo e’ il trattamento riservato alle istituzioni internazionali immaginiamo come la Russia userebbe un pacifismo Occidentale divenuto mainstream e avente controllo politico.
    Il problema che Onnis non rileva e’ che il movimentismo antimilitarista e’ costitutivamente internalista, ovvero opera (praticamente, moralmente, intellettualmente) all’interno della sola compagine occidentale. Il suo antagonismo e’ riferito preponderantemente all’Occidente. Cio’ che Onnis non sembra cogliere e’ il fatto che quelle omissioni di responsabilita’ per l’invasione Russa presenti nei manifesti o proclami (che egli rigetta), non sono un mero accadere fortuito e rimovibile. Sono al contrario connaturati a una ideologia, una visione del mondo e un operato dell’antimilitarismo nostrano che porta tale movimento a mettersi in antagonismo costante con l’Occidente. I temi dell’antimilitarismo si mischiano a quelli dell’anticapitalismo generando confusione e demarcando il posizionamento interno di critica all’Occidente. In questa visione binaria i nemici dell’Occidente diventano spesso validi alleati. Ergo, il movimento antimilitarista non e’ affatto “internazionalista” ma e’ casomai “internalista”.
    Cio’ che Onnis omette, e’ che alcune frangie del movimento antimilitarista sardo sono orfane di un altro tipo di internazionalismo: l’internazionalismo di matrice vetero-sovietica con annessa nostalgia per l’internazionalismo operaio. Questa idea e’ ancora operante nella sinistra radicale come soppravvivenza e Onnis non lo nota. Questo internazionalismo e’ anch’esso internalista giocando sull’idea che esista un nemico esterno da distruggere (il mondo Capitalista) per istituire un nuovo ordine “internazionale”. Questo tipo di sentimento conduce verso prevedibili incasellamenti binari tra Occidente Capitalista e resto del mondo. Inutile specificare che queste categorie permangono solo come “soppravivenze” nell’accezione Tyloriana del termine. Sono idee che soppravvivono pur avendo perso la loro originaria funzione. Il resto del mondo e’ oggi preda del capitalismo piu’ selvaggio. Anzi, nelle autocrazie vige una forma di capitalismo di stato brutale ma non e’ con la realta’ che questi posizionamenti ideologici operano. Essi operano piuttosto attraverso narrazioni tramandate culturalmente.
    Un altra prova del fatto che l’antimilitarismo nostrano non sia internazionalista in senso pieno e’ data dal suo ignorare il pacifismo Russo. Come mai gli antimilitaristi e pacifisti nostrani non prendono a cuore la causa del pacifismo Russo che viene quotidianamente represso nella violenza poliziesca? E’ forse una pace diversa quella che cercano i rifugiati Russi? Ecco allora che il sito della Rete Italiana Pace e Disarmo non fa alcuna menzione delle coscrizioni forzate Russe.
    Onnis certamente capisce che l’animilitarismo e pacifismo nostrani hanno una collocazione precisa. Per questo egli parte da Emergency, un organizzazzione che di guerre ne ha viste e che puo’ offrire quel raccordo con principi internazionalisti di radicale pace e disarmo. Se Emergency abbia una agenda politica “anticapitalista” o meno non lo so’, cio’ che so’ e’ che il pacifismo espresso dal movimento anticapitalista nostrano non e’ pienamente internazionalista e non e’ scevro da ideologie e posizionamenti in blocco. Questo va rilevato.
    Per giunta, dato l’accavvallarsi del tema dell’indipendentismo sardo per alcune di queste componenti, va chiarificato in che rapporto le istanze di un vero internazionalismo pacifista (non solo quello zoppo e interno all’Occidente) si accordino con le istanze antimilitariste locali, sarde.
    Onnis, insomma, si trova a cercare di ammansire una indomita bestia, laddove importanti contraddizioni e rataggi ideologici dei movimentisti sembrano non accomodarsi facilmente con le sue raccomandazioni. Onnis pare proprio essere vittima di cherry picking da parte del movimentismo sardo, ovvero l’attitudine a prendere qua’ e la’, ispizzulare si direbbe in sardo, tralasciando cio’ che non piace. A cio’ contribuisce un suo posizionamento che non definirei ambiguo ma certamente estremamente cauto e accomodante su piu’ fronti.
    Onnis insomma perora la causa di un movimentismo pacifista che cerca un appiglio istituzionale e lo fa parlando a un gruppo largamente radicalizzato, frangie del quale rifiutano la dialettica politica rappresentativa e fanno gran vanto di un inveterato rigetto di ogni compromesso politico.
    In conclusione, Onnis sembra essersi dato l’ingrato compito di riportare alla ragione una delle tifoserie alle quali fa cenno nel suo articolo. Personalmente credo che questa sia una battaglia persa e che Onnis come tanti altri e altre brav* intellettual* sardi trovino migliore collocazione altrove. Quella terza posizione tra le due tifoserie non puo’ emergere dal terreno nel quale Onnis la cerca per manifesta immaturita’ politica di molti dei sui partecipanti. Tuttavia egli condivide con loro lo stop alle armi all Ucraina, l’illusione che esista una via negoziabile e presuntamente anche un certo grado di concessioni territoriali alla Russia (non chiaro), cose sulle quali dissento profondamente.

    1. Apprezzo la serietà con cui Antonio Fadda Mele affronta i temi da me toccati.
      Non concordo sull’argomentazione che il mio sia un tentativo destinato al fallimento per… mancato bersaglio. Non ho alcuna intenzione di dettare la linea a chicchessia. Propongo ragionamenti, esprimo dubbi, provo a evidenziare problemi. Che questi tocchino prevalentemente l’ambito anti-militarista, pacifista e indipendentista è inevitabile, dato che sono partito da due interventi, quello di Emergency e quello di aForas, ripresi da quel campo lì, oltre che dall’imminenza della manifestazione a Capo Frasca. I discorsi astratti possono essere interessanti, ma bisogna agire dentro il contesto di cui si fa parte. Come persone sarde che si occupano attivamente dei problemi dell’isola non possiamo ignorare la condizione di fatto e gli sviluppi storici della nostra terra. Tra questi, l’imposizione militare e militarista delle servitù militari, con tutta la macchina propagandistica al seguito, sono un fattore storico pesante, ormai di medio periodo: possiamo far finta di no? Che lo stato italiano per decenni abbia messo la Sardegna a disposizione dei propri alleati (a volte anche di non alleati), a partire dalla NATO, è un fatto, non un posizionamento ideologico. Se lo consideriamo un problema, non possiamo derubricarlo a elemento di disturbo o a falsa questione, solo perché interferisce con le vicende storiche attualmente in corso. Caso mai dobbiamo cercare di dotarci di un nostro sguardo sulle medesime, a partire dalla nostra situazione e dal suo pregresso, come sto provano a fare da molto tempo, e anche riguardo alla guerra in Ucraina.
      Ma di tutto questo si può e si deve discutere, senza pretese dogmatiche. E lo dico anche alle compagne e ai compagni con cui ho delle divergenze di vedute su questa faccenda specifica (e magari anche su altre: capita).

      A questo punto apro un inciso e faccio un appunto. Considero una sgradevole scortesia il fatto di aver scritto su Facebook, dove non intervengo, anziché qui. Mi sembra non solo e non tanto poco rispettoso, ma anche un po’ – come dire? – furbo? fatto alla vigliacca? Non so. Non sto attribuendo queste caratteristiche personali ad Antonio Fadda Mele; sto esprimendo un giudizio su questa scelta. Spero che non sia dipesa dalla speranza che su Facebook non avrei visto questo commento e soprattutto che non avrei risposto. Come si vede, rispondere si può sempre, in questo universo matto e interconnesso che è il world wide web.

      Sono invece molto meno conciliante con la conclusione del post di Fadda Mele. Riporto lo stralcio in questione:

      In conclusione, Onnis sembra essersi dato l’ingrato compito di riportare alla ragione una delle tifoserie alle quali fa cenno nel suo articolo. Personalmente credo che questa sia una battaglia persa e che Onnis come tanti altri e altre brav* intellettual* sardi trovino migliore collocazione altrove. Quella terza posizione tra le due tifoserie non puo’ emergere dal terreno nel quale Onnis la cerca per manifesta immaturita’ politica di molti dei sui partecipanti. Tuttavia egli condivide con loro lo stop alle armi all Ucraina, l’illusione che esista una via negoziabile e presuntamente anche un certo grado di concessioni territoriali alla Russia (non chiaro), cose sulle quali dissento profondamente.

      Che io condivida con la più parte del movimento anti-militarista e pacifista lo stop all’invio di armi all’Ucraina non l’ho scritto, perciò non mi può essere attribuito. È una faccenda delicata, in cui la mia posizione in realtà è tutt’altra, al momento. Benché non mi sembri la soluzione preferibile, che l’Ucraina riceva un sostegno internazionale, anche sotto forma di aiuti militari, nella sua difesa contro l’aggressione russa lo considero giusto. Sui modi, i tempi e i limiti di quest’aiuto si può però discutere. Mi pare un tema di discussione anche ai più alti livelli, date le recenti prese di posizione pubbliche della stessa amministrazione USA. Insomma Fadda Mele mi ha attribuito pensieri e parole che non mi appartengono.

      Così come non mi appartiene affatto l’idea di fare concessioni territoriali alla Russia. Quando mai? Una delle condizioni di ogni possibile trattativa di pace è che la Russia si ritiri in toto dai territori annessi dal 2014 in poi. Con tutte le garanzie internazionali per le popolazioni locali, naturalmente. Anche in questo caso, forse in maniera ancora più grave e capziosa, mi si attribuisce una posizione che non mi appartiene. Ecco, queste sono scorrettezze argomentative serie, anche senza prenderle in considerazione come sintomi di disonestà intellettuale (che sarebbe un giudizio ad personam da cui vorrei esimermi).

      1. Aggiungo solo una postilla, più generale.
        Tirare in ballo Filosofia de Logu su specifiche questioni, siano di cronaca, siano culturali, ecc., persino quando sono così rilevanti come la guerra in Ucraina, non ha alcun senso. Filosofia de Logu è quello che dichiara di essere, un gruppo aperto, orizzontale, multidisciplinare, che si dedica alla ricerca e allo studio in vari ambiti, allo scopo precipuo di decolonizzarne le pratiche e i discorsi e di impostare nuove forme di dibattito e di confronto interdisciplinare. Non è un collettivo, tanto meno un’associazione politica. Non ha una “linea” propria, tranne quella stabilita nel suo manifesto e nella dichiarazione d’intenti. Non fa attività sui social. I social vengono usati a scopo informativo e comunicativo. Chiunque partecipi a Filosofia de Logu ha una vita propria, una sua attività lavorativa, un suo giro di relazioni, fa le sue scelte politiche, ha una sua frequentazione personale dei social media. Su questi aspetti, ciascun* risponde per sé, non certo per FdL. Detto una volta per tutte.

        1. Grazie per aver riportato il mio post e per la tua risposta. Mi scuso se non ho commentato qua’. La ragione e’ semplice, uso Facebook come il mio blog, per chi ha la pazienza di leggere. Anzi, senza aver alcuna pretesa di paragonarmi al grande Leopardi, direi che Facebook e’ il mio Zibaldone di pensieri. Non vi e’ alcun calcolo nell’aver scelto Facebook, anche perche’ confidavo nel fatto che il post ti sarebbe comunque potuto arrivare dati i comuni canali di scambio. Casomai la scelta denota apprezzamento.

          Venendo alle questioni da te sollevate. Innanzitutto grazie per aver chiarito alcuni punti che nel tuo articolo non erano chiari. Punto primo: le armi all’Ucraina. Nel tuo articolo si legge una tua descrizione di quella che chiami “posizione piu’diffusa nello schieramento” pacifista per la quale -cito- “il sostegno concreto, di natura militare, all’Ucraina è motivo di recrudescenza del conflitto e di un suo possibile aggravamento; come tale, da rifiutare.”

          A questa descrizione, che in quanto descrizione e’ priva di carattere normativo, sembra seguire una tua considerazione avente invece carattere normativo laddove scrivi:

          “È una posizione che mi pare in larga misura sincera e animata dalle migliori intenzioni”

          Il carattere normativo di questa tua espressione evidenziato dai termini “sincero” e “animato dalle migliori intenzioni” ha motivato la mia deduzione di un tuo possibile diniego al supporto militare. Aggiungo che nel prosieguo del tuo articolo non viene fatta chiarezza su quella che ora riconosco come la tua posizione ufficiale per come viene chiarita nella risposta al mio post – cito:

          “Benché non mi sembri la soluzione preferibile, che l’Ucraina riceva un sostegno internazionale, anche sotto forma di aiuti militari, nella sua difesa contro l’aggressione russa lo considero giusto”.

          Mi compiaccio di questo necessario chiarimento. Tuttavia, data la non piena chiarezza della tua argomentazione e l’uso degli elogiativo non ritengo la mia deduzione iniziale inopportuna. Son ben contento di retificarla alla luce del tuo chiarimento.

          Altro tema: le concessioni territoriali alla Russia. Vi e’ a mio avviso ambiguita’ nel passaggio in cui indirizzi possibili linee guida per la pacificazione laddove scrivi:

          “Qualsiasi discorso orientato alla pacificazione deve tenere presente sia la situazione di fatto come si è sviluppata fino a oggi, sia il diritto dell’Ucraina a pretendere il rispetto dei propri confini riconosciuti internazionalmente.”

          Non e’ chiaro cosa intendi per tener conto della “situazione di fatto”. La situazione di fatto e’ che un paese invasore ha conquistato vaste regioni con la forza militare e in violazione del diritto internazionale, annettendo poi le regioni per decreto dopo referendum farsa. Non e’ chiaro in che modo si dovrebbe tener conto di questa situazione di fatto a un eventuale tavolo negoziale specie laddove contrasta con il summenzionato diritto dell’Ucraina a difendere i suoi confini. Data questa non chiarezza della questione io ho scritto che “presuntamente” il tuo passaggio propendeva per possibili concessioni territoriali e tra parentesi ho rimarcato “non chiaro”. Da parte mia non si tratta di “attribuzione capziosa” ma della difficolta’ di leggere tra le righe, data la non chiarezza di alcuni passaggi, e di dover ricorrere a supposizioni o al probabilismo. Di nuovo, grazie per aver chiarito nel tuo successivo commento come la pensi. Io credo pero’ che la Russia non abbia nemmeno validi appigli per l’annessione dei territori pre 2014, ma certamente, questo ha piu’ a che vedere con la “situazione di fatto” alla quale accenni.

          Aggiungo poi che il mio post tocca anche altri temi come quello di un pacifismo deideologizzato che nella realta’ sarda pare proprio di la’ da venire. Ho altresi’ rilevato alcuni temi chiave come la confusione tra anticapitalismo e antimilitarismo/pacifismo. A mio avviso questi temi possono offrire idee di spunto per agire nella realta’ sarda sull’importante questione della militarizzazione dell’isola che ha radici storiche profonde come giustamente fai notare.

          La mia visione si fa presto a delinearla. L’opposizione contro la militarizzazione della Sardegna che condivido con te come tema urgente va fatta liberandosi di quell’inveterato atteggiamento di sfida verso l’Occidente e i suoi valori democratici proprio di alcune frangie della sinistra anticapitalista. Al contrario, e’ proprio dai valori democratici che bisogna partire avendo chiaro che essi non sono perfetti ne scevri da contraddizioni ma certamente perfettibili. E’ da la’ che puo’ nascere il raccordo con le istituzioni a cui fai cenno nel tuo post. Inventare nuove forme di rivendicazione evitando sia la violenza verbale e fisica che lo scontro diretto con le istituzioni. Sembri convenire anche tu che le strategie usate fin’ora non hanno portato grandi risultati. Tagliare le reti di un poligono con dei fumogeni rossi mentre si urla da un megafono quanto e’ imperialista l’America e quanto corrotto sia l’Occidente e’ un deliberato e proverbiale darsi la zappa sui piedi e allontanarsi dall’obiettivo da te indicato di “portare i temi e gli obiettivi fin dentro le istituzioni”. Dobbiamo reinventare la protesta e a tal fine servirebbe ispirarsi ai metodi della non violenza e allora si potrebbe forse parlare di pacifismo, quello vero, non quello azzoppato dall’ideologia. Ma queste son considerazioni in gran parte personali. Cio’ che penso di aver evidenziato a sufficienza nel mio post e’ la collocazione ideologica di frangie che non hanno una matura comprensione di che cosa sia e cosa valga la democrazia Occidentale.

          In conclusione, un cenno al tuo tema concernente Filosofia de Logu. Il fatto che FdL sia un gruppo aperto non esime il gruppo da avere un’agire collettivo e, in quanto tale, una responsabilita’ collettiva, come qualsiasi altro gruppo. Con il vostro originale manifesto, L’Ulisse della Sarda Liberazione, Dichiarazione di Intenti, vi siete dati dei compiti specifici. Ogni paragrafo inizia con forti verbi che rimarcano l’operare collettivo, “intendiamo”, “riteniamo”. Il vostro e’ un liguaggio collettivo di un gruppo o collettivita’ che agisce in maniera unitaria.

          Aggiungo che di questa unitarieta’ di vedute ne ebbi diretta esperienza, laddove, tempo addietro, sottoposi a FdL un piccolo articolo polemico destinato a La Nuova Sardegna (che il giornale rifiuto’ di pubblicare integralmente) in risposta a Marcello Fois. Era un articolo dal taglio polemico che giustamente non trovaste appropriato per gli scopi di “ricerca di livello alto” (Decolonizzare il pensiero e la ricerca in Sardegna) che FdL si propone. Concordai pienamente.

          Tuttavia, la cosa che mi colpi’ fu come anche in quel caso i suggerimenti di revisione arrivarono a firma collettiva. Una mail, con firma, Filosofia De Logu dove si suggerivano revisioni. Ora, e’ importante sottolineare che nel mondo della ricerca il processo di peer review (non che l’articoletto polemico mio meritasse una peer review, ne parlo per esemplificare il mio punto) si attua tra ricercatori, da individuo a individuo, non da collettivita’ a individuo.
          Al contrario, la modalita’ di revisione collettiva di FdL di cui ho avuto diretta esperienza (anche se per un articolo che, lo ammetto, non andava memmeno presentato) testimonia un operare congiunto.

          Il manifesto di FdL e’ scritto in prima persona plurale, le revisioni sono condotte in maniera collettiva a firma FdL, ergo, ne deduco che vi e’ un operare collettivo con finalita’ di intenti, con una missione e una linea collettiva. Nessuno contesta che i singoli membri abbiano una vita privata e rispondano privatamente delle proprie opinioni personali.

          Tuttavia, il paradosso tra responsabilita’ individuale e collettiva non e’ risolto dall’affermare che FdL e’ un gruppo aperto che lascia spazio ai suoi membri di esprimersi per conto proprio. Infatti, se FdL appone firme “FdL” collettive parlando a nome di tutti i membri del gruppo, ovvero rappresentanod la volonta’ generale del gruppo, o parlando in prima persona plurale, ne deriva che la responsabilita’ di quel parlare collettivo e’ equamente divisa tra i sui membri, sempre. Il caso contrario porta a un paradosso dove si ha una firma collettiva dalla quale non e’ possibile risalire a una eventuale responsabilita’ dei membri particolari. Sarebbe il confondersi della responsabilita’ individuale in seno alla collettivita’, ergo sarebbe, la deresponsabilizzazione. Il che’ mi sembra iniquo e anche un po’ paraculo, detto in simpatia. 🙂

          In parole povere, ritengo che qualsiasi gruppo abbia una responsabilita’ collettiva che da ultimo si spartisce tra gli individui e da un punto di vista giuridico non esiste una responsabilita’ collettiva separata dalla responsabilita’ individuale. Questo paradosso e’ risolvibile nel momento in cui un gruppo si dota di un organizzazione democratica al suo interno come per esempio certe modalita’ di voto per quanto concerne decisioni collettive. Uno puo’ essere il criterio del voto a maggioranza per esprimere la volonta’ collettiva. E’ un principio che a ben vedere richiede una grande maturita’ democratica. La democrazia e’ anche saper rispettare l’opinione della maggioranza. Non credo che se FdL avesse espresso un comunicato di condanna della guerra i suoi membri che odiano accanitamente l’Ucraina si sarebbero fatti da parte. E se lo facevano, chiedo, non mostravano forse la pasta non democratica della quale son fatti? Se FdL propende piu’ che altro per l’unanimita’ (brutta parola), per esprimere una posizione e evitare la non presa di posizione, allora e’ comunque possibile acclarare le posizioni e diversita’ di vedute. Ma forse, il problema di FdL e’ che non tutti i membri condannano l’invasione Russa e questo come ho scritto gia’ non fa sorpresa per chi chiama il leader Ucraino “burattino” in mano agli USA. Non lo sappiamo e non lo sappremo fino a quando FdL non si esprimera’. Le nostre continueranno a essere illazioni che squarciano il silenzio.

          In poche parole, l’idea che il silenzio di FdL sulla guerra in Ucraina sia legittimato dall’agire soggettivo/individuale dei suoi membri e’ contraddetta nelle parole e nei fatti da un agire collettivo costante. La verita’ e’ che la guerra ha squarciato l’unitarieta’ d’azione di FdL ragion per cui si e’ scelto di glissare sulla questione proprio perche’ non si poteva raggiungere un criterio di unanimita’ sulla questione. Questa realta’ testimonia piu’ la carenza di un organizzazione decisionale interna chiara che esprima principi che retiffichino l’opinione collettiva in maniera democratica, come ho gia’ detto sopra. E’ piu’ un sintomo di una carenza che una scelta deliberata.

          Cio’ che mi sento di dire e’ che l’operato di FdL ha sempre testimoniato una visione di insieme che per giunta i membri non si son mai fatti remore a esprimere collettivamente. La guerra Russa ha sconquassato le acque ma non e’ con il principio di unanimita’ che si puo’ operare moralmente in certi contesti. Anzi, l’unanimita’ di vedute e’ persino pericolosa e decisamente antidemocratica. Davanti a un evento storico di portata epocale come la guerra Russa ai danni dell’Ucraina, credo fermamente che FdL debba esprimersi in maniera netta e rinnovo, nel mio piccolo, la richiesta di una condanna ferma per l’operato del paese invasore che ha causato questa guerra insensata.

          Grazie ancora per la risposta!
          PS: Il mio post verra’ copiato nella pagina Facebook 😉

        2. Troppa carne al fuoco, Antonio!
          Già solo sul concetto di democrazia, che tu sembri assumere in un’unica possibile accezione (senza precisarne i contorni), potremmo discutere a lungo, e magari anche in forme e termini interessanti (per noi, non so per chi dovesse leggere). Non è possibile farlo qui.
          Io penso che sia del tutto legittimo che chi ha posizioni critiche e anche ostili verso il capitalismo e la democrazia rappresentativa di stampo liberale abbia piena agibilità politica e sia libero di manifestare il proprio pensiero in tutte le forme necessarie, assumendosene la responsabilità.

          Attenzione a non generare equivoci che poi servono ad argomentare obiezioni mal fondate: il movimento ostile all’occupazione militare della Sardegna e alle sue drammatiche conseguenze è variegato, plurale, non gerarchico. È composto da organizzazioni storiche, da pacifisti, da anti-militaristi, da ambientalisti, da comitati territoriali, da familiari delle vittime militari, da indipendentisti, da singole persone interessate e altri ancora. Ridurre tutto a un soggetto collettivo dai connotati specifici, su cui riversare accuse e conclusioni definitive, suona un po’ come una “argomentazione del fantoccio”, o fallacia dello spaventapasseri che dir si voglia.
          Nessuno ha mai proibito a chi professi posizioni politiche ulteriori, diverse da quelle di solito presenti nel movimento, di esserci e partecipare con le proprie parole e le proprie proposte. Forse più che giudicare dall’esterno e da lontano, sarebbe prima utile partecipare direttamente, almeno alle discussioni preliminari e preparatorie, che di norna precedono ogni manifestazione.
          Ma non mi dilungo oltre, su questo.

          Circa Filosofia de Logu, devo dirti che trovo fallaci le tue conclusioni sui vari punti sollevati e comunque poco corretta la scelta di muovere accuse alla grossa, sgradevoli per forma e per contenuto, per giunta in uno spazio di suo tossico e disfunzionale com’è Facebook. L’uso di Facebook come strumento di dibattito è assurdo, a mio avviso, ed è un nodo che dentro FdL non abbiamo ancora sciolto. Proprio perché non siamo un collettivo, non abbiamo alcuna struttura formalizzata e tanto meno gerarchica. A mio modo di vedere è una fortuna e una forza.

          Su questo, in ogni caso, voglio essere chiaro: non puoi attribuire nulla a FdL che non sia fatto e dichiarato da FdL come tale. Se non possiamo definirci un collettivo (e chi ha esperienza di collettivi capisce bene cosa significhi), a maggior ragione non possiamo essere considerati un collettivo politico, se non in un senso molto ampio (ossia, in quanto ci rivolgiamo alla polis, alla comunità). Al nostro interno dissentiamo su molte cose, a volte inerenti il nostro lavoro comune, a volte del tutto esterne. Nel primo caso, di solito vale la regola del “consenso”: se non si trova un accordo tra tutt*, non si procede. Nel secondo, non esiste alcun vincolo che impedisca a ciascun* di noi di esprimersi come vuole, nei suoi spazi e nella sua rete di relazioni. Ciò che ciascun* esprime a titolo personale, vale per chi lo esprime e in nessun modo possibile per FdL nel suo insieme.

  3. Omar, tu scrivi “Chiaramente, non si possono omettere le precisazioni sulle responsabilità ucraine nella gestione della situazione in Donbass, prima e dopo il 2014.”
    Ma se prima del 2014 al governo c’era yanukovich, il governo ucraino insediatosi a fine febbraio quali errori avrebbe fatto?
    Noi indipendentisti sardi lo sappiamo benissimo che gli organi dello stato reagiscono in maniera piuttosto repressiva non appena anche solo si pensa di fare un atto che preveda l’uso della forza (cioè se entrassimo con la forza in un ufficio pubblico e ci sedessimo a terra senza fare male a nessuno, la polizia interverrebbe e sarebbero mazzate e traumi cranici). Se facessimo come gli ucraini del Donbas, che da un giorno all’altro assaltano i palazzi e uccidono svariati amministratori pubblici, altro che operazione antiterrorismo. Poi penso che nessuno considerasse l’Ucraina una democrazia perfetta, anzi, però tirare in ballo la gestione del Donbas come gravissima colpa di cui si è macchiato il governo (anzi, i governi, visto che al contrario della Russia quelli ucraini sono cambiati) rende la stragrande maggioranza dei movimenti pacifista complice di Putin e strumento della sua propaganda. Tu questa cosa non la fai assolutamente, neanche per sbaglio, sia chiaro, ma l’uso strumentale, falso e ignobile che il movimento pacifista fa di questo conflitto è da sottolineare.

    Infine, perché mai il paragone tra Putin e Hitler non va bene? Hitler ha invaso la Cecoslovacchia e la Polonia con lo stesso pretesto usato da Putin, la difesa e il ritorno a casa di una minoranza etnica oppressa.

    Saluti da zazen 😉

    1. Caro Zazen, concordo con te che usare le azioni violente di una minoranza nazionalista, banderista e in certi casi apertamente neo-nazista per etichettare come “nazista” qualsiasi governo ucraino (ma soprattutto quelli post Maidan) o addirittura l’intero popolo ucraino sia un’operazione di banale quanto bieca propaganda. Infatti questo è un punto su cui continuo a dissentire con molte compagne e compagni, sia in ambito indipendentista, sia a sinistra o nel pacifismo (non prendo nella minima considerazione fascisti, guerrafondai prezzolati e altri elementi di disturbo, chiaramente).

      Che ci siano stati momenti di conflitto duro, nel Donbass, con violenze efferate da una parte e dall’altra, lo dicono le cronache (penso, tra le altre vicende, a quella del giornalista italiano Andy Rocchelli, giusto perché in qualche modo è arrivata fino alle distratte e spesso ignorantissime cronache italiche). E, del resto, per quanto a bassa intensità, quella era già guerra.

      Ma per capire meglio l’intera questione non posso che rimandare a fonti non strettamente giornalistiche e possibilmente non italiane; articoli di storici dell’Europa Orientale e altre personalità che abbiano una conoscenza diretta e non episodica di quei territori e delle loro popolazioni.
      Già l’intervista uscita su Jacobin Italia, che ho linkato qua sopra in un commento precedente, apre squarci di comprensione molto più ampi rispetto al solito pattume da tifoserie che ammorba sia i mass media sia i social. Ed è una lettura che continuo a consigliare soprattutto a chi guarda la vicenda da sinistra e pensa di avere in mano tutti gli elementi per giudicare, quasi sempre senza averne manco uno.

      Ci sono gravi responsabilità della classe dirigente ucraina fin dai tempi dell’indipendenza (1991). Certo, anche per via dell’ostinata e invadente ingerenza russa, questo va sempre tenuto in conto. Ma l’Ucraina, negli anni, e mi pare soprattutto nell’ultimo decennio, ha mostrato anche di avere una società civile sviluppata, articolata, aperta. La generazione dei ventenni di oggi è più libera dalle pastoie dell’eredità sovietica e anche del nazionalismo più reazionario. In questo conflitto si è accelerato moltissimo il processo di nation building, il che significa che l’Ucraina oggi è una “comunità immaginata” molto più forte di quanto non fosse prima. È un processo da rispettare. Lo dico a chi si ostina a contrapporre un presunto nazionalismo para fascista di massa alla virtù di una pretesa “Resistenza” del Donbass.

      Non parliamo poi dei fraintendimenti sulla questione linguistica. Anche qui i governi ucraini hanno ondeggiato parecchio tra scelte diverse, non sempre rivolte a una conciliazione e a un pieno riconoscimento dei diritti delle minoranze, ma questo non ha molto a che fare con la costante e stupida confusione che si fa, specie in Italia (dunque anche in Sardegna) tra russofonia e russofilia. Come dire che qualsiasi persona sarda che parla in italiano è per forza di cose nazionalista italiana. Ce ne sono, per carità, ma quante? Le due categorie non sono sovrapponibili, per mille ragioni.

      Io dal movimento pacifista internazionale così come da quello sardo – e ci metto insieme anti-militaristi, indipendentisti e tutti gli altri che si riconoscono nella piattaforma di convocazione della mobilitazione del 16 ottobre – mi aspetterei almeno una cosa: che insieme alla richiesta del disarmo dell’Ucraina, e anzi in via preliminare, pretendano il ritiro della Russia fuori dai confini dell’Ucraina come internazionalmente riconosciuti. Da questa condizione deve partire ogni ipotesi di pacificazione e di azione diplomatica. Nelle quali continuo a sperare, proprio perché detesto la guerra in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello affaristico. Come detesto però il non riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli, che deve valere per il popolo ucraino non meno che per quello scozzese, catalano, corso o sardo. E poco conta che il primo abbia già raggiunto una condizione di indipendenza, dato che è proprio questa ad essere minacciata. per giunta con argomentazioni irricevibili e a tratti disgustose da parte del governo e dell’establishment russi.

      Quanto al paragone Putin-Hitler, lo respingo perché anche questo è puramente propagandistico e non aiuta a riportare il dibattito su un terreno di accettabile rispondenza alla realtà concreta. Hitler aveva l’obiettivo di sottomettere interi popoli e interi stati, di egemonizzare l’Europa e, in alleanza con altre potenze, di spartirsi il dominio sul pianeta. Imponendo per altro al sua ideologia criminale. Le sue prime conquiste, consentite dalla politica dell’appeasement di Francia e soprattutto Gran Bretagna, non erano il suo obiettivo principale, ma le prove generali di ulteriori espansioni. Non ipotetiche, ma pianificate e per molti versi dichiarate. La politica del regime putiniano è imperialista e reazionaria, ma non minaccia uno spazio storico-geografico ulteriore rispetto a quello che certo establishment russo considera il proprio “spazio vitale”, il proprio “cortile di casa” (terminologia che uso io, mutuandola dalla geo-politica tedesca e statunitense). Non ha nemmeno la verve tecnologica e demografica che spingeva la Germania degli anni Trenta verso il suo folle disegno egemonico. Certo, consentire a un governo imperialista e reazionario di fare il bello e il cattivo tempo ai danni di altri stati e di altri popoli non va mai bene. Non dovrebbe andare mai bene, per nessuno. Sappiamo che non è questa la regola della politica internazionale (basti vedere la tolleranza verso la Turchia di Erdogan o Israele o i regimi arabi). In ogni caso, è giusta una reazione forte dell’Europa ai piani di Putin.

      Il problema è che questa risposta non c’è stata. L’Europa è andata a traino degli USA, un po’ obtorto collo, quando non è successo che ogni classe dirigente statale abbia fatto i cavoli propri (mi sa che la regola dominante è questa). Il fatto che i governi abbiano sposato o comunque accettato la sola strada della guerra come unica forma di risoluzione del conflitto ora ci conduce a una situazione estremamente pericolosa. Su questo i pacifisti hanno ragione. Ne avrebbero ancora di più se riconoscessero, realisticamente, che l’Ucraina ha il diritto di difendersi e che la Russia difficilmente capirà altre ragioni che non abbiano a che fare coi rapporti di forza. È un bel dilemma etico e politico. Mi fa specie che venga preso così alla leggera da tante persone altrimenti del tutto ragionevoli.

      Le ragioni del pacifismo non sono etichettabili come mera sudditanza alla propaganda putiniana. Per il semplice fatto che non è vero. Poi, certo, esistono anche forme di interferenza e di propaganda sostenute e finanziate dal governo russo. Bisognerebbe saper distinguere, però, senza scadere nel tifo calcistico, come stiamo vedendo in questi mesi. Da una parte e dall’altra. Non è un bello spettacolo, quando in ballo ci sono la vita di milioni di persone e il destino di una grossa parte d’Europa (ma per certi versi dell’Europa intera).

  4. Caro Omar,

    grazie per la risposta, mi rendo conto che non mi sono spiegato bene. Ho letto e apprezzato l’intervista che hai linkato e proprio su quella verteva la mia domanda. Là si critica l’operazione antiterrorismo del governo ucraino DOPO che i separatisti, armati e diretti dai russi, hanno imbracciato le armi e ucciso diversi amministratori pubblici. L’operazione antiterrorismo che ne è conseguita da parte del governo ucraino sarà sicuramente criticabile e la destra più becera e in alcuni casi nazista (non tutti come molti finti pacifisti vorrebbero fare intendere) ne ha sicuramente approfittato. Ma altri Stati, anche democraticissimi, avrebbero reagito a questa violenza in maniera molto diversa?
    E PRIMA, considerando che fino al 21 febbraio 2014 c’era Yanukovich, in cosa consisteva la repressione delle popolazioni del Donbass? Avevano già chiesto l’indipendenza eleggendo rappresentanti apertamente indipendentisti?

    Riguardo a Hitler, le sue richieste verso Polonia e Cecoslovacchia erano analoghe a quelle di Putin e altrettanto pretestuose. La sua mistificazione della realtà per ottenere quello che voleva altrettanto, con tanto di propaganda alle spalle. Fino a quando non ha esagerato con la Polonia in occidente aveva anche ammiratori. Se gli avessero fatto prendere la Polonia si sarebbe fermato, così come Putin si è fermato dopo la Georgia. Comunque ok, su questo dissentiamo e pace.

    Mi interessa veramente molto di più il discorso sul Donbass, perché là la fallacia logica della propaganda putiniana e di gran parte del finto pacifismo è eclatante.

    Per quanto riguarda l’occidente bellicista che non ha fatto nulla per la pace, anche su questo non concordo per niente. Macron e Scholz erano sconvolti e hanno provato di tutto (essendo molto compromessi, soprattutto la Germania, con la Russia), ma siamo sinceri, Putin e i suoi hanno mentito ripetutamente. Se avesse messo un ultimatum serio dicendo “se non agite attacco” dici che nessuno si sarebbe mosso per fare il possibile per evitare questo?
    Ha negato fino all’ultimo di voler attaccare per poi farlo. Questa è volontà di trattare? Di salvare vite? Di non spargere sangue?
    Quello che ha fatto oggi è ricerca di una trattativa?

    1. Non ho mai parlato di persecuzioni etniche nel Donbass prima del 2014. Ho parlato di errori e scelte discutibili delle amministrazioni ucraine. Ma pensavo soprattutto alla difficile transizione democratica, al potere degli oligarchi, alle questioni rimaste in sospeso dal momento dell’indipendenza e mai affrontate compiutamente. Tutta roba abbondantemente superata dai fatti del 2014 e successivi, e tanto più dal 24 febbraio 2022 in poi.

      Sul resto, non ho particolari repliche da esprimere. Su Putin, politicamente, penso tutto il male possibile e il suo regime mi fa orrore. Che non ci si possa fidare non solo e non tanto di lui, quanto di una parte consistente del suo entourage, è ormai evidente. Ma la diplomazia e le trattative possono avvenire in molti modi diversi e a vari livelli. A me sembra che molta parte dell’Europa, come del resto scrivi anche tu, abbia piuttosto pensato a garantirsi i propri affari, ANCHE con Putin, se era ritenuto conveniente. A cominciare dalla Germania, che ha esercitato la sua egemonia in Europa, con metodi a volte estremamente diretti, se non brutali, anche in virtù di vantaggi garantiti dall’accesso a buon mercato al gas russo. Schroeder nel consiglio di amministrazione di Gazprom non ci è arrivato per sbaglio. E non so dove sarebbe finita Angela Merkel se non fosse scoppiato tutto questo putiferio. Per dire che se le responsabilità della Russia sono enormi e conclamate, di gente davvero intonsa, tra i governi del Vecchio Continente (e lasciamo perdere il resto del pianeta), ce n’è poca o niente.

  5. Omar, penso che Antonio Fadda Mele abbia centrato un punto importante:

    1. L’opposizione all’occupazione militare in Sardegna e’ un argomento a cui molte persone di diverse collocazioni socio-economiche e politiche sono sensibili.

    2. Sollevare questo argomento e creare anche un largo consenso sarebbe anche il modo di introdurre i temi dell’autodeterminazione: l’occupazione del territorio sardo metterebbe in luce i problemi della mancata partecipazione dei cittadini sardi alle decisioni importanti sul loro territorio.

    3. Nonostante questo, il movimento anti-militarista rimane sempre sparuto, e il problema e’ proprio che e’ stato manipolato da associazioni che gli hanno dato una chiara matrice anti-occidentale (diciamo cosi’ per semplificare) e anti-capitalistica. Mentre molte persone potrebbero essere sensibili ai temi dell’anti-militarismo e della mancata partecipazione alle decisioni importanti sul territorio, molte meno persone sono disposte a marciare sotto le bandiere dell’anti-capitalismo e dell’anti-occidentalismo (di nuovo, per semplificare: sono ben cosciente di quanto complicato sia ascrivere valori come democrazia ecc. all’ “Occidente”).

    4. L’aggressione Russa in Ucraina ha portato molti nodi al pettine, dimostrando come molte di queste associazioni anti-militariste seguono un programma che, in definitiva, ha poco di anti-imperialista o pro-democrazia. La loro visione e’ limitatamente bipolare: L’Imperialismo cattivo e da combattere e’ quello USA; chiunque contrasti l’imperialismo USA e il capitalismo, puo’ essere mio amico. Come dice Fadda Mele, le posizioni ambigue e mal-informate non son un caso, ma sono l’inevitabile conseguenza di una visione ristretta e miope, una visione che persegue fini che non sono necessariamente quelli della democrazia, partecipazione, anti-imperialismo. L’esempio di Fadda Mele e’ molto calzante: sembra che questi movimenti anti-militaristi abbiano poco interesse per i crescenti movimenti pacifisti in Russia.

    5. In definitiva il problema e’ che e’ difficile da certe premesse caratterizzate da miopia arrivare alle conclusioni giuste.

    1. Oliver, sono obiezioni legittime, che però vanno fatte a chi assume certe posizioni. Io personalmente, come è facile evincere da quello che scrivo (e per fortuna scripta manent) faccio fatica a collocarmi sotto le bandiere di qualsiasi tifoseria. Professo posizioni molto critiche verso il capitalismo e verso la politica “occidentale” a egemonia USA (con tutti i distinguo del caso), ma questo non mi impedisce di avere uno sguardo non dogmatico e non “campista” su quello che succede nel mondo. La geo-politica è un modo di vedere le vicende umane che mi piace pochissimo, sia per ragioni di metodo, sia di connotazioni e implicazioni politiche (ma anche questo l’ho scritto e detto molte volte). Inoltre penso che dovremmo cominciare a dotarci di categorie nuove e cornici concettuali più aderenti alla complessa realtà storica in cui siamo immersi.
      Insomma, concordo che ci siano dei problemi da risolvere. Non li si risolve con le scomuniche reciproche e con gli arroccamenti dogmatici (a parte il rifiuto categorico e dirimente di considerare interlocutori legittimi fascisti e criminali analoghi). Capisco che in periodi di crisi la fede e l’appartenenza identitaria diano qualche conforto, Ma non servono a nulla, in concreto.
      Auspico che si possa discutere e che anche su questioni difficili come quelle che il nostro presente ci costringe ad affrontare non dimentichiamo la nostra finitezza e la nostra fallibilità umana.
      Concordo sull’osservazione che, se non ci si intende sulle premesse, non si può trovare alcun accordo e, se le premesse sono fallaci, saranno fallaci anche le conclusioni.
      Questa risposta la scrivo a te, ma naturalmente non è rivolta a te in particolare.

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