Lo sa il vento

Centinaia e centinaia di aerogeneratori occupano il territorio e ben presto anche il mare della Sardegna. La politica istituzionale, fin qui passiva, si risveglia all’improvviso e orchestra, complice l’informazione, una campagna retorica apparentemente ostile a queste operazioni. C’è molto di opaco e di ambiguo in tutto ciò. E intanto i disastri climatici e ambientali incombono, al pari della guerra e dei conflitti per le risorse e l’egemonia geopolitica da cui essa deriva.

Lo sa il vento è il titolo di un libro di inchiesta di Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti sui disastri ambientali e i costi umani delle servitù militari e anche di quelle industriali in Sardegna. Un libro crudo e doloroso, in cui la denuncia segue la ricostruzione giornalistica di vicende pluridecennali, sempre ignorate dalla politica istituzionale, che anzi ne è stata garante e/o complice.

Quella stessa politica istituzionale oggi si risveglia dal suo torpore per occuparsi proprio di vento. In Consiglio regionale, redivivo dopo mesi di inattività, viene presentato un ordine del giorno (ossia, niente di decisivo né di impegnativo) per sollecitare la giunta e in particolare il presidente Solinas a interloquire con più vigore presso il governo centrale allo scopo di alleggerire la Sardegna dalla pressione delle richieste di impianto di parchi eolici, specialmente in mare.

Le richieste sono decine, ma non sono di oggi e non riguardano solo il mare. E non riguardano solo il vento, dato che decine e decine di ettari di terreni agricoli sono state occupate da distese di pannelli fotovoltaici, al di fuori di qualsiasi pianificazione e/o controllo. Una parte del disastro è già stata consumata, insomma, senza che la politica istituzionale se ne sia mai data il minimo pensiero. Solo l’indipendentismo e una parte dell’ambientalismo, negli ultimi decenni, hanno affrontato la questione.

Quando, una quindicina di anni fa, in ambito indipendentista si cominciò a porre il problema delle speculazioni eoliche, la politica di Palazzo e i media facevano orecchie da mercante. Lo stesso ambientalismo, specie quello borghese e normalizzato, ma anche quello più combattivo, plaudiva allo sviluppo delle fonti rinnovabili, trascurandone gli aspetti problematici.

Una dozzina d’anni fa mi capitò di discutere presso il banchetto di Greenpeace, in occasione di una importante fiera “alternativa” trentina, proprio riguardo all’eolico in Sardegna. Per loro era una vera conquista e ne propagandavano le virtù. Io in quell’occasione feci notare che esistevano degli aspetti ulteriori, per lo più sottaciuti: chi e per conto di chi impiantava aerogeneratori? dove? a vantaggio di chi? dentro quale prospettiva economica e sociale? con quali costi reali? Insomma, una serie di quesiti che dovrebbero essere la premessa di tali operazioni. Le persone con cui parlai allora caddero dal pero: non si erano poste il problema. Evidentemente quando si parla di “pensiero unico” a proposito dell’ideologia neoliberista non è uno scherzo. Anche le volenterose e benissimo intenzionate persone di Greenpeace ragionavano in termini di “esternalità”, come un qualsiasi economista di successo, organico ai padroni dell’economia mondiale. Tutto ciò che metterebbe in discussione l’estrazione di valore da qualsiasi risorsa, bene o attività umana non deve entrare nel disegno. Basta non tenerne conto e magicamente l’equazione si risolve. Salvo che poi le conseguenze rimangono tutte sul terreno e ci avremo a che fare in ogni caso.

Ancora di recente si sono sollevate voci di protesta e controproposta a proposito della speculazione energetica che colpisce da anni l’isola. Che la Sardegna produca molta più energia di quella che consuma è un dato acquisito, che però non sembra smuovere la politica né turbare le coscienze della cittadinanza (che di solito non lo sa, questo va precisato). Come sia prodotta questa energia è un altro fattore di cui si discute poco, dato che si tratta di tematiche tabù. Sono questioni strategiche su cui la prima e anche l’ultima parola la detengono i grandi operatori internazionali, più ancora dei governi: corporation, fondi di investimento, banche d’affari, ecc.

La politica, sia quella dipendentista e podataria sarda, sia quella cialtrona e sempre filo-padronale italiana, è mera esecutrice di direttive che arrivano da qualche altrove mai ben definito, opaco, non suscettibile del benché minimo controllo democratico.

Fuori dal Palazzo però la mobilitazione – a vario livello di consistenza ed efficacia – esiste e dura da molti anni. Com’è che oggi anche la politica istituzionale si sveglia e ne discute? E perché in particolare dei parchi eolici a mare e molto meno di quelli esistenti o in allestimento a terra? E sui disastri dell’industria chimica e petrolchimica, niente?

I mass media principali hanno un ruolo in tutto questo, ed è un ruolo inquietante. La copertura data in questi giorni alle prese di posizione contro l’eolico di molte amministrazioni municipali e ora a quella del Consiglio regionale è sospetta. Per capire meglio dove si annidino le magagne niente di meglio che attingere alla fonte.

Prendiamo le dichiarazioni dei consiglieri regionali sull’ordine del giorno di cui sopra. Faccio qualche esempio (preso direttamente dal resoconto ufficiale della seduta del Consiglio regionale):

DERIU ROBERTO (LEU-DEMOS-Possibile). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, noi non siamo per il no a tutto, noi non siamo per le posizioni dei nimbi, noi non siamo per dire che non bisogna costruire niente e mai, ma noi non accettiamo che si compromettano i beni comuni in modo permanente, non accettiamo che non ci sia uno studio indipendente alla base di una scelta strategica che coinvolge tutta la Repubblica in uno sforzo gigantesco, quello di garantire l’indipendenza energetica all’Italia. Allora ci si deve dire per quale motivo, in che misura, la Sardegna debba sostenere uno sforzo gigantesco in presenza di un surplus energetico già prodotto, in presenza di uno sforzo notevole sulle energie alternative compiuto negli ultimi anni, in presenza di tutte le servitù che a vantaggio dell’insieme della Repubblica la Sardegna ha già concesso e vede installate nel suo territorio. […]

E ancora:

CIUSA MICHELE (M5S). Presidente, il tema del cambiamento climatico non è più trascurabile e ci impone un necessario cambiamento del nostro modello di sviluppo, a tutto questo si è aggiunta la drammaticità della guerra con le ingenti conseguenze economiche ed energetiche, che impongono all’Italia di avere il prima possibile una maggiore indipendenza energetica dal gas russo. In questo quadro così complesso e di così difficile ed immediata risoluzione le nostre coste sarde, da sempre meta ambita dei vacanzieri, vengono prese d’assalto da progetti calati dall’alto per l’installazione di pale eoliche in mare, senza nessuna condivisione e senza alcun confronto pubblico con le popolazioni maggiormente interessate da questa azione speculativa. Sappiamo tutti che la transizione energetica verso le fonti rinnovabili è necessaria e va sostenuta, ma sicuramente non si può accettare che essa si trasformi in un mero business a vantaggio di pochi privati, ai danni di tutti i sardi, di tutta la Sardegna. Con le solite modalità poi, prendo tutto ciò che mi serve e scappo via, lasciando in Sardegna solo miseria e macerie. Bisogna dirlo subito in maniera chiara e netta, questo tipo di manovra va rispedito al mittente, perché è sotto gli occhi di tutti i sardi, che in questa vicenda non c’è alcun vantaggio per la nostra terra, nessuno.[…]

O anche:

PISCEDDA VALTER (PD). Grazie Presidente, mi tocca parlare dopo l’onorevole Tunis ed è sempre un problema perché con l’onorevole Tunis ci siamo confrontati anche in altre situazioni. Cioè io capisco l’appello a provare a fare un documento unitario che esca da questo Consiglio e porti all’unisono la nostra posizione. Però, cioè non voglio essere io l’ostacolo, ma la vedo difficile perché il problema è che la pensiamo diversamente e quindi mettere posizioni diverse su un documento è complicato e ovviamente non lo sto dicendo solo a voi, lo dico anche alla mia stessa parte, anche al nostro interno ci sono posizioni diverse. Il fatto è che un tema così delicato non si può risolvere in cinque minuti o in dieci minuti con un documento nostro, ci vorrebbe una bella elaborazione, un bel ragionamento. Perché quello che sta succedendo attorno a noi, cioè vedere i ghiacciai che si staccano, vedere il Po praticamente vuoto, cioè a me che ho una figlia di sei anni non lascia indifferente. Cioè preferirei vedere dalla finestra una pala eolica che non il Po vuoto, preferirei vedere dalla finestra una pala eolica che non il ghiacciaio staccato.[…]

E:

PIGA FAUSTO (FdI). Grazie Presidente. Negli ultimi mesi il caro bollette è una delle nostre maggiori preoccupazioni, un tema di drammatica attualità che sta condizionando la vita di famiglie e di imprese, il caro energia, il carovita, il caro materie prime hanno investito tutta Europa e in Europa l’Italia è il Paese più esposto, l’Italia è il Paese europeo che sta peggio. Oggi in Italia si paga il prezzo di scelte sbagliate nel passato e di scelte non fatte, in Italia nell’ultimo decennio non è stata fatta una politica di approvvigionamento energetico. I Governi hanno puntato moltissimo sul gas estero e poi con la guerra in Ucraina come sempre ci siamo accorti dei problemi quando ormai era troppo tardi. L’Italia doveva svegliarsi prima, ed oggi per provare a recuperare il tempo perduto ecco che il rimedio sembrerebbero le pale eoliche in mare, i cosiddetti impianti offshore che secondo le previsioni dovrebbero essere realizzati al largo delle coste di Romagna, Puglia, Calabria, Sicilia, Lazio, Toscana, Sardegna, la nostra Sardegna. Questo è lo sfondo su cui si sviluppano le paventate ipotesi che vedono le coste della Sardegna invase da pale eoliche, e di fronte a questa scellerata ipotesi bene fa oggi il Consiglio regionale a riunirsi. Oggi noi sappiamo che la competenza delle concessioni eoliche in aree demaniali è dello Stato e che gli spazi di manovra della Regione sono pressoché nulli, paragonabili a semplici passacarte. La Regione oggi è chiamata a esprimere pareri tecnico-amministrativi per giunta non vincolanti per il Governo, e ovviamente questo scenario non è tollerabile, ma non è uno scenario scelto dalla Regione, ma è uno scenario che segue una legge dello Stato. Ecco quindi che il Consiglio regionale oggi deve dire no a pale eoliche ovunque, ma deve dire anche che la Regione non accetta di subire dal Governo scelte calate dall’alto senza interlocuzioni e condivisione con i territori.[…]

Notevole l’intervento di Michele Cossa, di quei Riformatori capofila della cialtronata criminale (per altro unanime anch’essa, come il voto su questo OdG) della “insularità in costituzione”:

COSSA MICHELE (MISTO). Presidente, il problema della transizione energetica e della autonomia e autosufficienza energetica del nostro Paese è un problema reale. L’invasione russa dell’Ucraina ci ha dimostrato che noi non possiamo dipendere da Stati terroristi e questo implica delle scelte a cui la Sardegna non si può sottrarre. La Sardegna fa parte di questo Stato, non è un mondo a parte, e noi dobbiamo concorrere al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Io credo che questo noi dobbiamo tenerlo ben presente. Questo tuttavia non può significare che è concesso tutto e che è ammesso tutto, e non può significare che decisioni così importanti, come quelle della autorizzazione di parchi eolici con impianti che sono alti due volte la Statua della Libertà, per chi ha visto cosa è la Statua della Libertà si rende conto di cosa stiamo parlando, non può essere affidata al Comandante della Capitaneria di Porto di Olbia, la quale scrive ai Comuni invitandoli a eccepire entro 30 giorni se hanno qualcosa da dire su impianti di questo genere. Questo è inaccettabile! Ed è inaccettabile che la Regione non venga minimamente coinvolta su situazioni che hanno un impatto di questo genere.

E infine:

ZEDDA MASSIMO (Progressisti). Grazie Presidente. Il tema è un tema attualissimo, non solo per le vicende drammatiche, tragiche che hanno riguardato turisti, escursionisti nella Marmolada, ma per quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni nella devastazione di questo splendido pianeta che stiamo quotidianamente devastando. Ora, è chiaro che non saranno sufficienti gli interventi nel nord della Sardegna per porre rimedio alle questioni energetiche a livello globale, né tanto meno per porre freno alla devastazione dal punto di vista ambientale che riguarda l’intero pianeta, però è un tema indubbiamente importante in relazione al fatto che ognuno di noi deve fare qualcosa, altrimenti il rischio è fingere di non avere possibilità legate al far qualche cosa in termini di salute dell’ambiente e quindi immaginare che solo ad altri sia lasciato il ruolo e il compito di porre rimedio e freno alle questioni climatiche ambientali. Un primo punto però entrando invece nel dettaglio è quello relativo oggettivamente all’assenza della Regione, in particolar modo del Presidente della Regione, ma non nel dibattito odierno, anche perché ormai siamo abituati, nel senso che mi stupirebbe e sarei stupito, e forse insieme a voi, del contrario, cioè se fosse presente il Presidente della Regione sarebbe un elemento straordinario, eccezionale, visto che non partecipa mai ai dibattiti, però se fosse sistematicamente impegnato in riunioni legate all’energia sarebbe giustificata l’assenza in Consiglio regionale, e invece, sfogliando l’elenco dei verbali delle Conferenze Stato-Regioni, il Presidente della Regione non ha mai partecipato alle Conferenze Stato-Regione, mai. […]

Sono solo alcuni esempi, che riporto testualmente, senza tagliare e selezionare alcunché. Tutti gli interventi sono leggibili nell’apposita sezione del sito istituzionale linkato più sopra.

Il senso di questo ordine del giorno è evidente e al contempo disarmante. Uno strumento puramente retorico che resterà confinato dentro la sede del Consiglio regionale sardo senza alcun impatto concreto che non sia la possibilità di parlarne sui media, fingendo che si tratti di un’importante passaggio politico.

Come si evince dal tenore e dal contenuto degli interventi, in realtà la maggior parte di essi rientra in un gioco delle parti orientato a posizionarsi nell’imminente campagna elettorale, prima per le elezioni del Parlamento poi per quelle del Consiglio regionale. La scelta dei termini e dei toni è puramente tattica e finalizzata a screditare la parte avversaria e ridefinirsi virtuosamente. È significativo che, a seconda delle necessità retoriche, si saccheggino a piene mani temi e contenuti da molti anni appartenenti all’ambito indipendentista e dei movimenti civici, fin qui bellamente ignorati, o al massimo bollati come velleitari. Non è la prima volta.

Sfuggono sempre o vengono opportunamente occultati gli elementi decisivi del problema. Che non è costituito dai parchi eolici a mare, di per sé, bensì dal quadro di relazioni economiche e politiche in cui si iscrivono queste operazioni e dalla prospettiva strategica a cui rispondono.

Piagnucolare che la Sardegna non ha voce in capitolo sul “suo vento” è ridicolo, oltre che del tutto inutile. Intanto perché il vento non è di nessuno. Poi perché nessuna protesta e nessuna pretesa di sovranità suona credibile da parte di una classe politica che esiste solo in funzione della propria accondiscendenza ai dettami di chi la seleziona e le garantisce la sopravvivenza.

Stride in modo evidente l’incoerenza di chi fa della subalternità la propria ragione di esistenza politica, salvo poi eruttare in proclami vanagloriosi di rivendicazione autonomista, identitaria o persino nazionalista. Anche qui i campioni sono i Riformatori, che pretenderebbero il riconoscimento istituzionale della minorità della Sardegna, dichiarano che il loro orizzonte è quello dello stato italiano, ma poi ostentano indignazione per la violazione degli orizzonti marini dell’isola.

Ma al di là delle singole dichiarazioni, manca completamente una visione d’insieme, sia pragmatica sia ideale, a cui fare riferimento per contrastare efficacemente le pretese neo-coloniali in atto.

Negli interventi – in quelli citati e anche in altri – si enfatizza la necessità della transizione energetica e si prendono le distanze dalla “sindrome NIMBY” (argomentazione fallace ma di grande successo mediatico, negli anni scorsi, a vantaggio dell’economia di rapina e delle diseguaglianze sociali e territoriali). Salvo poi contraddire la prima e ricadere pari pari nella seconda. Senza essere in grado di districarsi tra le notevoli contraddizioni che discorsi del genere presentano.

Nessuno, in Consiglio regionale, ha davvero a cuore la sorte della Sardegna. Nessuno perde il sonno per la preoccupazione sui disastri climatici. La retorica sovranista è patetica, oltre che pericolosa, se sciorinata così, a buon mercato e senza timori di doverla mettere in pratica. In più si rivela tutta la propria cialtronaggine, perorando cause perse per ragioni sbagliate e basate su premesse stupide.

Il problema non sono i parchi eolici a mare (che invece sarebbero un’ottima invenzione, specie se realizzati e posizionati con criterio). Non è certamente nemmeno l’energia prodotta dagli aerogeneratori, che è certamente preferibile a quella prodotta bruciando scarti di raffinazione (vedi Salux-SARAS).

Caso mai bisognerebbe farsi quelle domande che facevo io anni fa ai volontari di Greenpeace e applicarle all’attualità. Estendendo il ragionamento.

C’è molta retorica ostile alle fonti rinnovabili, ultimamente. Invece il problema è il modello di produzione e distribuzione energetica dominante: totalmente privatizzato, organizzato in nome del profitto, gestito indipendentemente da qualsiasi piano energetico pubblico, orchestrato a livello internazionale fuori da qualsiasi scrutinio democratico e con le famose “esternalità” ben celate (leggi costi di produzione, installazione, distribuzione e poi di smaltimento, di norma addossati alla collettività).

Le fonti rinnovabili stanno diventando il petrolio dei prossimi decenni. Con l’aberrante differenza che il petrolio e il gas sono materie prime situate, scarse, esauribili (oltre che inquinanti e foriere di conflitti e tragedie varie), mentre le energie rinnovabili sono per loro natura tendenzialmente diffuse, abbondanti, virtualmente inesauribili, non suscettibili di scatenare guerre per la loro appropriazione.

Fare delle fonti rinnovabili solo l’ennesimo asset in mano ai potenti privati che dominano l’economia capitalista globale è una stupidaggine colossale. È questo che andrebbe prima di tutto criticato e combattuto. Dopo di che sarebbe lecito pianificare un modello di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione dell’energia che sia finalmente pubblico, democratico, poco costoso (perché non rivolto alla remunerazione del capitale investito, ossia a produrre profitti), a impatto limitato o nullo sull’ambiente.

Ciò significherebbe erodere in modo drastico e permanente il reddito e il potere di alcune centinaia, ma poniamo pure migliaia, di individui su scala mondiale? Ce ne faremmo rapidamente una ragione. Ma è precisamente questo esito ciò che si vuole evitare.

Discutere di energia eolica fuori da una visuale ampia, strategica e democratica porta all’insana conseguenza di irrobustire ancora e chissà per quanto da un lato il partito delle fonti fossili, da un altro, e non necessariamente in alternativa, quello dell’approccio estrattivo, padronale e anti-democratico al problema dell’energia e dei cambiamenti climatici.

In questo senso, anche il discorso della sovranità andrebbe ricalibrato. Non è questione di chi siano il vento o il territorio utilizzati, ma di come intendiamo collaborare, tra comunità umane, per uscire dalla dipendenza, dai conflitti, dalla penuria che colpisce molta parte dell’umanità, facendone pagare il prezzo non alla maggioranza della medesima ma alla esigua minoranza che oggi domina il pianeta e lo sta portando al disastro.

Se il vento che soffia in Sardegna e intorno a essa potesse servire anche ad altre popolazioni non sarebbe un problema. Nessuno ci perderebbe. A patto che le cose siano organizzate e gestite in modo da non penalizzare tanti a favore di pochi e fuori da qualsiasi relazione asimmetrica di dipendenza e subalternità.

La tecnologia può essere una gran cosa, se finalizzata in questo modo, e non come strumento di dominio oligarchico. Basti pensare ai progressi nel campo dell’accumulo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Oggi si parla molto di idrogeno, come elemento decisivo di questa partita. Benissimo. A patto che non diventi l’ennesima causa di sperequazione tra chi detiene il controllo delle risorse e il potere di gestirle, in nome del proprio tornaconto privato, e le grandi masse umane in balia degli eventi e prive di voce in capitolo.

Alla fine il problema è politico, oltre che teorico e tecnologico. Il dibattito andrebbe spostato su questo livello, non mantenuto due o tre passi indietro, come fa la scalcinata classe politica isolana, dandosi anche un tono da paladina della nazione (sarda).

La politica di Palazzo, in Sardegna, è solo un costo che per di più moltiplica altri costi. Non è in questione la democrazia rappresentativa (anche se non sarebbe male discuterne), bensì *questa* politica rappresentativa. Ci troviamo in una drammatica transizione storica, che richiederebbe un surplus di energie intellettive, di capacità politiche e di generosità. Non la stiamo affrontando bene. Ma l’unica preoccupazione di chi si occupa di politica in Sardegna è come mantenere il proprio ruolo privilegiato o conquistarne uno. Si muovono pedine e si fa molta pretattica, si moltiplicano gli interventi a proposito di alleanze più o meno plausibili in vista delle prossime tornate elettorali, si cercano protezioni altolocate tra i centri di potere esterni a cui si rende conto o a cui ci si vorrebbe affiliare. È uno spettacolo penoso, dentro il quale si colloca anche questa tristissima fiction dell’ordine del giorno sulle speculazioni energetiche.

Bisognerebbe tener conto di tutto questo, quando si leggono notizie in merito, e non ricadere nella solita coazione a ripetere (gli errori) che ha prodotto il desolante panorama politico di cui siamo – purtroppo – semplici testimoni.

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