La Sardegna è incomprensibile, oltre che incompatibile, nel contesto storico e politico italiano. Le due cose vanno a braccetto.
Da qualsiasi parte si guardi la relazione tra l’isola e la penisola, cercare di farne un tutt’uno richiede un immane sforzo di fantasia. Bisogna impiegare una vagonata di trucchi retorici, di informazioni tendenziose o del tutto false, di paralogismi ingannevoli. E nonostante questo alla prima prova fattuale il castello ideologico crolla miseramente.
Se disponessimo di una classe politica autonoma (non autonomista, magari per finta, come ne abbiamo avuto e ne abbiamo), o di un ambito intellettuale accademico solido e autonomo anch’esso, o di mass media non organici all’apparato di potere dominante, queste aporie insolubili emergerebbero facilmente in tutta a loro consistenza.
Non ne disponiamo, purtroppo. La nostra classe politica è selezionata da grumi di potere corrotto, dipendenti a loro volta da interessi esogeni. La classe intellettuale accademica è del tutto inserita nel sistema di organizzazione del sapere italiano, con tutte le sue magagne e con in più l’aggravante della subalternità culturale, di stampo coloniale. I mass media sono tutto fuorché liberi e indipendenti (al di là del valore soggettivo di chi ci lavora, almeno in certi casi).
Così non rimane che mostrare degli esempi concreti per mettere in evidenza quanto sia complicato per la Sardegna e per i Sardi, da tanti punti di vista, essere italiani.
Prendo un esempio che può sembrare marginale. La voce di wikipedia relativa alla Fusione Perfetta (1847-48).
L’episodio è abbastanza noto. Una parte della borghesia sarda e del funzionariato burocratico locale, desiderosa di trovare nuovi sbocchi di carriera e qualche vantaggio materiale, decide di chiedere al re che la Sardegna non rappresenti più un territorio dotato di prerogative sovrane, potenzialmente autonomo rispetto agli altri possedimenti sabaudi.
Il tutto avviene in maniera irrituale e illegittima, fuori da qualsiasi procedura legale prevista, fuori dalle prassi istituzionali. Nondimeno, il re Carlo Alberto acconsente alla richiesta (nell’autunno del 1847) e successivamente fa inserire questa “revisione costituzionale” ante litteram nel percorso di riorganizzazione dello stato, sfociato di lì a pochi mesi nella concessione dello statuto (albertino, appunto), prima carta costituzionale del regno.
Che si trattasse di un clamoroso errore di valutazione diventerà chiaro quasi subito, tanto che persino alcuni dei suoi promotori dovranno ammettere di averla fatta grossa.
Fin qui niente che non sia ampiamente documentato e anche sufficientemente ricostruito nella storiografia sarda.
Niente di strano dunque nel voler creare una voce enciclopedica appositamente dedicata su wikipedia.
Ma ecco l’intoppo. Come succede con una certa regolarità quando si creano e si compilano voci storiche relative alla Sardegna, prima o poi ci si scontra con un ostacolo difficile da superare.
Wikipedia, nella sua versione in italiano, non si discosta dalle caratteristiche dei testi enciclopedici e didattici italiani. Quelli dove si trovano in continuazione, a proposito della Sardegna, strafalcioni stupefacenti e notizie inventate di sana pianta, per capirci. Anche su wikipedia prevale insomma la visuale nazionalista e unitarista tipica di tutta la storiografia didattica ed enciclopedica italiana.
Come vi si possono inserire eventi, processi e personaggi della storia sarda, specie pre-unitaria? Malamente, come si può constatare.
Nel caso della voce “Fusione perfetta” probabilmente gli estensori potevano fare uno sforzo di maggiore obiettività, di maggiore cura. Si può (e in questo caso si deve) sempre migliorare. Lo dico anche per esperienza (ho compilato io stesso, a suo tempo, alcune voci storiche di wikipedia).
Ma al di là di questi possibili limiti, prima o poi si arriva al nodo. Ecco cosa recita l’avviso che compare in testa alla voce attuale:
La neutralità di questa voce o sezione sull’argomento storia è stata messa in dubbio.
Motivo: Abbiamo una voce che tratta di un riordinamento di un regno composto da circa 7 territori. Viceversa la voce è monopolizzata da quanto avvenne in un solo territorio con ipotetiche valutazioni di un nazionalismo locale, supportate da citazioni di studiosi locali. In particolare ci si riferisce ad un paragrafo che introduce un legame fra il soggetto storico della voce con la questione sarda, senza fornire spiegazioni effettive, introducendo una presunta nazionalità sarda, che sarebbe stata negata dalla fusione perfetta, e al contempo il paragrafo introduce una visione di un indefinito futuro in cui i problemi (non chiariti nella voce) sarebbero risolti con un autogoverno (non definito peraltro). In sostanza si sfrutta una voce per dare il là ad affermazioni e considerazioni politiche soggettive di tipo autonomista estranee al tema della voce e alla neutralità dell’enciclopedia.
Lascerei perdere i rilievi riguardanti la scorretta introduzione di tematiche politiche attuali. Se veri, vanno presi per buoni e la voce corretta, dato che si tratta di un’enciclopedia, non di un sito di discussione politica.
Più significativo l’appunto principale: “Abbiamo una voce che tratta di un riordinamento di un regno composto da circa 7 territori. Viceversa la voce è monopolizzata da quanto avvenne in un solo territorio con ipotetiche valutazioni di un nazionalismo locale, supportate da citazioni di studiosi locali“.
Il punto di vista di chi, da sardo, si occupa di storia sarda e ne vuole dare conto si concilia malamente o non si concilia affatto con un quadro storico che ha il proprio orizzonte centrato altrove.
Nonostante questa voce riguardi prettamente la Sardegna, una vicenda sarda, con premesse, esiti e protagonisti sardi (al di là dell’azione del re e delle questioni formali relative), tale vicenda in una voce enciclopedica italiana non può essere affrontata ponendo la Sardegna al centro dell’orizzonte di riferimento.
Non è un problema inedito. Basti ricordare l’assurda pretesa degli amministratori wikipedia di definire come personaggi storici italiani tutti i personaggi storici sardi, almeno dall’epoca di Dante in poi.
Con l’esito paradossale che Eleonora d’Arborea diventava una regnante medievale italiana, Sigismondo Arquer un giurista e letterato italiano perseguitato dall’Inquisizione… spagnola, Giovanni Maria Angioy addirittura (si veda la relativa discussione) un “patriota sabaudo”. Non è stato facile correggere almeno le storture più evidenti.
In Italia è sempre largamente egemone l’ideologia risorgimentalista quella così ben ricostruita da Alberto Mario Banti. Si tratta di una costruzione mitologica e mistica che serve a giustificare l’unificazione politica italiana.
Se ne rinvengono riverberi anche nella costituzione repubblicana (“la più bella del mondo”, secondo alcuni esaltati, che godono comunque di buona stampa). Per esempio nell’art. 5.
L’inconciliabilità storiografica della Sardegna con l’Italia si palesa costantemente e in molti modi e contesti. Non stupisce dunque la difficoltà che un progetto di ricerca storico sardo sia finanziato dai consueti canali ministeriali. Canali di finanziamento sempre molto avari con le università isolane.
Probabilmente anche per responsabilità (gravi) di queste ultime, non nascondiamocelo. Ma nel caso della ricerca storica (e in generale delle scienze umane e sociali) il problema è strutturale. Se il criterio è l’interesse nazionale (italiano) di una tematica, di un oggetto di ricerca, difficilmente in quel contesto anche la questione più rilevante della nostra lunga vicenda umana potrà avere spazio.
Le vicende sarde nel contesto italiano saranno sempre etichettate come vicende locali, “regionali”, “dialettali”, per di più periferiche e marginali. La storiografia sarda risente di questa incompatibilità. Ma reagisce prevalentemente adeguandosi.
Così noi abbiamo ricerche delle università sarde sull’esodo istriano del secondo dopoguerra o sulla partecipazione dei sardi alle guerre coloniali italiane, in un’ottica di apporto locale alla più ampia storia italiana.
Mancano invece studi sistematici e compiuti su temi e aspetti della storia sarda vera e propria, anche di rilevanza notevole. La nostra storiografia contemporanea è una sorta di puzzle a cui mancano un sacco di tessere, tanto da rendere difficile indovinarne l’insieme, se non con un certo sforzo di fantasia (ovviamente molto pericoloso, in ambito storico).
Lo stesso si può dire per altre epoche, ma l’epoca contemporanea, essendo quella più direttamente connessa al nostro presente, porta con sé inevitabili connotazioni politiche. Che spaventano. Di qui una certa prudenza, che sconfina spesso nella pavidità, in risposta a una pressione selettiva esterna molto forte.
Tutto ciò ha varie implicazioni.
Da un lato, come argomentato molte volte in questo stesso spazio, le lacune e gli approcci troppo pavidi sulle nostre grandi tematiche storiche e sociali ci privano di un adeguato quadro di conoscenze. Il che ha inevitabili conseguenze culturali, politiche e anche sociali e materiali.
Da un altro lato, tale inconciliabilità storiografica segnala un problema di incompatibilità più profondo e generalizzato.
L’ostinazione a guardare alla Sardegna come a una parte dell’Italia, sia pure periferica e di poco peso, è deleteria dal punto di vista delle scelte pratiche.
Il mancato riconoscimento non della “specialità” (manco fossimo una pietanza esotica), ma della nostra radicale diversità storica e culturale (oltre che geografica) conduce a tralasciare questioni fondamentali e a mal comprenderne (quindi non risolvere) altre.
Lo vediamo costantemente in tutti gli ambiti strategici: trasporti, gestione del patrimonio storico-archeologico-artistico, questione linguistica, scuola, spopolamento, produzioni agro-alimentari, turismo, questione energetica, ecc.
Non recepire la consistenza concreta di tale distanza e di tale incompatibilità è uno dei fattori decisivi della nostra decadenza conclamata.
Anche l’azzuffarsi dietro alla campagna referendaria di questi giorni, senza riuscire almeno a convenire sul comune presupposto della nostra peculiarità, produce inevitabili errori di valutazione. Al netto dell’opportunismo e della mala fede di alcuni, ovviamente.
Si tratta di una questione strategica dirimente. Parlarne e metterla in rilievo non sarà mai di troppo. Anche perché aspettarsi una resipiscenza da parte della nostra intellighezia coloniale e della nostra classe politica proconsolare credo sia troppo ottimista.