Cultura e produzioni locali dovrebbero essere elementi strategici dell’economia sarda. Non è così, evidentemente. Non per la giunta regionale.
Tra pochi giorni, alla fine di gennaio, si terrà a Olbia la III Conferenza regionale dell’Artigianato sardo. Un evento atteso da una trentina d’anni che parrebbe cadere a fagiolo, in un momento di crisi conclamata del settore ma anche, nonostante tutto, di perdurante dinamismo del medesimo.
L’artigianato, e l’artigianato artistico in particolare, in Sardegna non è un ambito residuale e marginale. Rappresenta una voce produttiva significativa, sia in termini quantitativi sia qualitativi. È, o potrebbe essere, anche una voce del nostro export. Ed è soprattutto, al contrario di altri più celebrati settori, una forma di produzione virtuosa, legata al territorio e alle sue risorse materiali, per lo più connessa alla cultura profonda della nostra gente e dei nostri luoghi.
Non ci sarebbe niente di male, dunque, nell’iniziativa dell’Assessorato al turismo e al commercio (assessore Francesco Morandi). Anzi, sembrerebbe una scelta una volta tanto opportuna.
Fatto sta che invece anche in questa circostanza emergono i limiti di una classe politica che, anche quando è animata da buone intenzioni, non riesce a capire in che mondo vive e non sembra darsene pensiero.
La conferenza sull’artigianato viene sbandierata quotidianamente sui mass media sardi, con una spesa di cui sarebbe interessante conoscere l’ammontare, ma a dispetto di questa pubblicità i diretti interessati – ossia gli artigiani – ne sono stati informati tardivamente e sostanzialmente a cose fatte. In più si è scelto di organizzarla a Olbia e con le spese di soggiorno a carico dei partecipanti.
Certo, è risaputo che gli artigiani sardi sono tutti dei nabbabbi e a nessuno di loro possono pesare tre giorni di vacanza non retribuita, anzi pagata di tasca propria, specie in un’occasione così importante.
Tuttavia poteva magari essere fatto uno sforzo in più per coinvolgere nelle stessa organizzazione dell’evento i suoi primi destinatari, nonché per renderne più facile la partecipazione. Per esempio inviando gli inviti con un congruo anticipo e non due giorni prima. O scegliendo una sede più centrale (che so io: Nuoro? presso il rinnovato Museo etnografico?). Scelte che denunciano la distanza tra un approccio democratico e partecipativo (di cui piace riempirsi la bocca ma non praticarlo) e uno elitario e sostanzialmente autoritario. Non basta a salvare le apparenze sponsorizzare il Cagliari calcio col marchio del defunto ente promotore dell’artigianato, ISOLA; scelta che appare addirittura beffarda, in queste circostanze.
Il problema che emerge anche in questo caso è che alla capacità propagandistica e al mero “effetto annuncio” non corrisponde nulla di sostanziale. In chi governa oggi la Sardegna non c’è magari la furbizia pasticciona (un ossimoro solo apparente) di chi li ha preceduti, ma di sicuro manca totalmente la comprensione di ciò che succede nell’isola, la connessione con le reali dinamiche sociali e culturali in corso e anche la voglia di saperne di più e di fare qualcosa di davvero utile.
Sussiste e si irrobustisce però la voglia di mettere le mani su tutto, di accentare potere e risorse, di creare una oligarchia più coesa e capace di svolgere meglio il ruolo di intermediario tra l’isola e gli interessi esterni che la considerano come un oggetto alla propria mercé. È un disegno a cui stanno lavorando anche altri, al di là del gruppo che fa capo a Francesco Pigliaru e Raffaele Paci (gruppo che non coincide necessariamente con la giunta attualmente in carica), compresi alcuni che si ammantano di retorica sovranista.
Un esempio di questo percorso autoritario è il seguente. Nei giorni scorsi a Nuoro è esplosa la polemica circa la destinazione delle nuove strutture di Pradu (Pratosardo), fin qui destinate ad accogliere un nuovo insediamento militare. La voce che è girata, anche sui mass media, vorrebbe che invece siano in procinto di accogliere migranti o rifugiati. Tanto è bastato per scatenare il delirio collettivo, specialmente sui social media.
Poche voci si sono levate a riportare il focus della questione su un punto decisamente più rilevante, ossia la questione del polo universitario nuorese, la cui sorte era legata, dietro apposita convenzione, alla sorte di quelle strutture e al rilascio, da parte delle autorità militari, dell’area dell’ex Artiglieria, in città. Quello è un tema nodale, ma è rimasto sostanzialmente ignorato dai più.
Del resto si sa che in Regione preferirebbero dar corso al progetto della università unica, a discapito dell’ateneo di Sassari e tanto più delle varie gemmazioni di una e dell’altra sede accademica in giro per l’isola, senza parlare della possibilità di un terzo polo, magari indipendente dal ministero a Roma. Una prospettiva pericolosissima, su cui sarà necessario tornare.
Non solo. A questo si deve aggiungere la notizia che la Regione sta subentrando nella titolarità degli enti culturali nuoresi, sostituendosi alla Provincia e al Comune. Una notizia che può essere interpretata in vari modi.
Il fatto che gli enti culturali nuoresi siano di interesse generale e non solo locale è vero, perciò che la competenza sui medesimi passi al livello più alto può essere comprensibile, specie se ciò comporta la loro sopravvivenza economica. Tuttavia è lecito dmandarsi cosa significhi questo passaggio nel contesto della forsennata attività accentratrice della giunta Pigliaru.
La mentalità e l’ideologia dominanti oggi ai vertici della RAS assommano l’adesione acritica a teorie socio-economiche di stampo thatcheriano, l’ossessione politica per il controllo di tutte le leve del potere, l’ostilità verso le masse – comprese le loro articolazioni e le loro formazioni intermedie – e per le loro istanze autonome, nonché il disprezzo a malapena dissimulato per la cultura dei sardi nelle sue varie manifestazioni.
È un tratto caratteristico di questa compagine di governo, perfettamente coerente col suo ruolo di esecutore materiale di un disegno complessivo di indebolimento e depotenziamento di ogni possibile forza vitale collettiva presente nell’isola. Tutto deve essere sottoposto al coacervo di grandi interessi a cui la nostra classe politica istituzionale risponde per la sua stessa esistenza. La giunta Pigliaru, rispetto a chi l’ha preceduta, è semplicemente più efficace.
Quanto precede dovrebbe dare di che riflettere non solo agli artigiani sardi, non solo alla classe politica e dirigente nuorese (posto che ne esista una), ma a tutti noi. Questi episodi, apparentemente non collegati, sono invece gli enensimi sintomi rivelatori di un atteggiamento molto chiaro. Il pericolo è grande e non va sottovalutato. Ma prima ancora deve essere riconosciuto. Ne va della qualità della nostra già debole democrazia e delle concrete possibilità di vita dei sardi di oggi e di domani.