È difficile quantificare oggi dove finisca l’ignoranza e dove cominci la stupidità nella maggior parte di noi. E forse non è nemmeno il problema principale. Ossia: a volte ci illudiamo che per il solo fatto di conoscere i risvolti e le cause di certi fenomeni, automaticamente reagiremo razionalmente per superare il problema o correggere gli effetti dannosi di una scelta fatta in precedenza.
Dare per scontata la razionalità come motore fondamentale delle scelte umane è un errore grossolano, benché su di esso si basino imponenti costruzioni teoriche, specie in campo economico (e infatti… ).
Cito l’ambito economico, perché è un esempio clamoroso di credenze para o pseudo-scientifiche che condizionano pesantemente la vita materiale di tutti, senza che se ne mettano opportunamente in discussione i fondamenti.
Eppure è risaputo che l’economia moderna tutto è tranne che una scienza. È un apparato dogmatico pesantemente imbevuto di ideologia, una massa di costrutti mal collegati in termini matematici da equazioni esteticamente gradevoli ma senza connessione con la realtà, una disciplina esoterica dallo status epistemologico incerto, se non proprio deficitario.
Nonostante ciò, ci domina e ci condiziona. Un po’ come l’alchimia ai primordi dell’Età moderna o le teorie tolemaiche. Anzi, a ben guardare quelle discipline avevano un impianto euristico più serio.
Pensiamoci quando osserviamo le cose andare a rotoli intorno a noi. Riflettiamo quando ci propongono una ricetta vincente un po’ troppo costosa. Chi ce la propone? Di solito chi ha contribuito a metterci nei pasticci. Quali sono le soluzioni che ne discendono? Quelle in cui sei tu a pagare ed altri a godere i frutti del tuo sacrificio.
I conti non tornano, eppure per lo più ci si crede acriticamente. È concepibile che ancora oggi ci si affidi a incantesimi e pozioni magiche come quelle dei Chicago Boys e dei loro emuli in giro per il mondo e al governo un po’ dappertutto? Sì, è possibile e sta succedendo sotto il nostro naso.
Così come – venendo a noi – può sorprendere che i sardi continuino a sopportare passivamente – alla faccia della “costante resistenziale”: altra panzana tossica – qualsiasi brutalità venga loro inflitta, con la mente svagata e gli occhi compulsivamente rivolti verso est, alla ricerca di salvezza e di senso.
Siamo italiani, siamo italiani, siamo italiani, si ripetono molti di noi in modo ossessivo. Per convincere se stessi di contare qualcosa, di avere uno spazio, sia pur minimo, nell’unico ambito politico a cui siamo stati abituati a pensare come nostro. Il che è chiaramente assurdo, dato che siamo in mezzo al Mediterraneo occidentale e con l’Italia abbiamo ben poco a che fare, da ogni possibile punto di vista.
Eppure, grazie all’interiorizzazione di precetti egemonici, ci troviamo intrappolati in una dimensione sospesa in cui l’evidenza del male e la palese ingiustizia della sua persistenza genera in noi prima di tutto un complesso di colpa. Ma non un complesso produttivo, che scuote le coscienze e produce risveglio. No, niente di tutto ciò. Il nostro complesso di colpa genera passività e inazione.
È come se fossimo dei bambini un po’ tardi, perennemente avvinti da una minorità da cui non riusciamo a liberarci. Cerchiamo assistenza, anziché prenderci le nostre responsabilità. Questo è uno dei nostri veri mali. Altro che stupidaggini tipo pocos locos y mal unidos o scempiaggini para-antropologiche su sindromi ataviche e inferiorità congenita della nostra mala razza.
Noi preferiamo lamentarci e aspettare che la soluzione ce la offra qualcun altro. La nostra pigrizia spirituale è così profonda che, quando ci propongono una ricetta palesemente idiota o persino dannosa, la accettiamo comunque, giusto per non prenderci la briga di fare da noi.
Anche qui come nel primo caso si tratta di rompere i paradigmi dentro cui classifichiamo il mondo e a cui riferiamo le nostre azioni. Bisogna abbandonare la prospettiva dominante, cambiare lo sguardo, applicare un’altra griglia interpretativa al mondo.
Per noi sardi è doppiamente urgente, perché alla prigionia dentro il recinto egemonico del pensiero unico si somma nel nostro caso un’ulteriore barriera fatta di ignoranza di noi stessi e di narrazioni tossiche, di cattive abitudini e di rassegnazione.
Più che aspettare che le cose cambino da sé bisogna farle cambiare. Non ti piace la politica dei nostri esimi rappresentanti nelle istituzioni? Scegline altri o ancora meglio proponiti tu. Dice: eh, ma come si fa, è impossibile. Ma quando mai? Siamo abituati ad una condizione di sopravvivenza a buon mercato, comoda, indolente. Questa è la cruda verità.
Ce la caviamo con poco, sempre. Chi ce lo fa fare a impegnarci sul serio? Altre popolazioni, storicamente, hanno dovuto affrontare ben altri ostacoli (climatici, ambientali) e si sono forgiate nella responsabilità di se stesse. Noi no. Noi – da parecchio e con giusto qualche sporadico momento di resipiscenza – sempre pronti a svendere noi stessi per un piatto di lenticchie. Be’, la notizia è che le lenticchie sono finite. E se pure ne fossero rimaste, non sarebbero destinate a noi.
Rovesciamo il tavolo da gioco (truccato), usciamo dalla gabbia, liberiamoci. La dipendenza (mentale, culturale, economica, politica) è comoda e confortevole se tutto sommato sono garantite le condizioni minime di sopravvivenza.
Ma le cose stanno cambiando rapidamente e noi siamo fermi. Non serve a nulla lamentarsi e poi fare le stesse cose di sempre. Non ci salverà alcun governo italiano e nemmeno la classe politica che oggi regge le sorti sarde per conto terzi.
Questo dovrebbe essere chiaro. Ma la soluzione non è affidarsi alla speranza e nemmeno spaccare tutto. La ricetta è prendersi la briga di fare le cose e di farle da noi, mandando cortesemente a… casa gli inetti e i furbi, mettendoci insieme, lavorando a partire dalle nostre comunità per rendere il posto dove viviamo più bello e più pulito, imparando a rendere conto a tutti gli altri delle nostre azioni che su tutti gli altri hanno delle conseguenze. Assumendoci la responsabilità di noi stessi.
Oppure, se crediamo ancora nelle fiabe malate che continuano a propinarci, smettiamola di inveire e lagnarci. Non se ne può più. Ci toccherà comunque quello che ci saremo meritati.