Ogni questione specifica, in Sardegna, per grave e rilevante che sia, fatica a essere inquadrata dentro una prospettiva ampia, che ne definisca meglio contorni, cause, possibilità di intervento. È uno dei nostri problemi più grandi, a cui la politica non può né vuole dare risposta.
Transizione energetica contro sviluppo tecnologico. Energia pulita contro Einstein Telescope. Riempire un sito delle Zone Interne di aerogeneratori o farne un polo scientifico internazionale? Sembra questa la posta in gioco a Sos Enatos, territorio di Lula (provincia di Nuoro). Gli amministratori locali hanno le idee chiare: puntano molto sul polo scientifico. I pirati del land grabbing energetico e i loro spalleggiatori, e probabilmente anche qualche proprietario della zona, preferirebbero le pale eoliche. Ma è un conflitto sciocco e perdente in partenza da molti punti di vista.
Chi usa questo schema interpretativo lo fa in mala fede. Oppure ha le idee parecchio confuse. La politica istituzionale, a livello di Regione e di grandi capi partito, fa fatica ad esprimersi, intrappolata nei vincoli delle convenienze contingenti, delle complicità imbarazzanti, dell’incapacità di elaborazione. A livello locale, almeno pubblicamente, il fronte sembra più compatto, ma dentro una visuale piuttosto misera, opportunistica e deresponsabilizzante.
Nessuno, in buona fede, può affermare che non sia necessario puntare sulle fonti rinnovabili e su un ampio e strutturale mutamento di paradigma nella produzione, nella distribuzione e nel consumo di energia. Allo stesso modo, nessuno, in buona fede, può negare che impiantare in Sardegna – nella Sardegna “di dentro”, sempre negletta e tutt’al più curata a dosi di militarizzazione e “giustizia” – un polo scientifico come l’Einstein Telescope, con le sue pertinenze, le sue attività connesse e tutto il suo indotto, sia una disgrazia. Ma dipende molto da come inquadri queste due opzioni.
È qui che manca del tutto la politica, in Sardegna. Sembra sempre che le cose ci arrivino dall’alto e da fuori e noi possiamo o contrastarle o subirle passivamente. Manca del tutto una visuale nostra, una prospettiva storica e una strategia politica dentro le quali collocare le varie scelte specifiche, al di là e al di fuori delle convenienze immediate dei portatori di pacchetti di voti e delle alleanze tra capi fazione.
Anche un progetto bello e avveniristico come l’Einstein Telescope, se finisce per essere la solita soluzione aliena, senza alcun legame fecondo col territorio che lo ospita, si rivelerà l’ennesima imposizione coloniale, in cui la Sardegna e chi la abita sono solo elementi accessori, se non di disturbo.
Una delle tante domande è: cosa ha fatto la politica sarda per fare in modo che questo non sia un destino già scritto? La risposta è facile: nulla. Così come non ha fatto nulla per trasformare la necessità storica della transizione energetica in un piano strategico, bel studiato e convenientemente articolato. Ha solo subito gli attacchi rapaci degli speculatori internazionali e i diktat dei propri referenti politici esterni.
Ma il meccanismo della subalternità non cambia nemmeno nelle altre partite strategiche, dai trasporti alla scuola, dalla sanità ai beni culturali (che non diventano una risorsa collettiva solo trasformandoli in attrazione turistica).
E non è nemmeno una carenza specifica di questa compagine di governo regionale. Sulla cialtroneria della giunta Solinas, nel suo insieme e nei suoi componenti passati e presenti, non posso aggiungere nulla che non abbia già detto e che non sia purtroppo dimostrato dai fatti. Ma chi l’ha preceduta non è stato molto migliore. Anzi, molte magagne attuali hanno la loro radice nella scellerata politica della giunta Pigliaru (entrate, trasporti, sanità pubblica, scuola, politiche culturali, ecc.).
La dialettica o addirittura il conflitto non è, come pretendono il mainstream mediatico e la classe politica stessa, tra centrodestra sardo-leghista (o in un’altra qualsiasi delle sue incarnazioni momentanee) e il centrosinistra a guida PD. Tra questi due poli fintamente opposti non c’è una diversità di fondo tale da giustificare la preferenza per l’uno o per l’altro. Se mai questa differenza esistesse a livello centrale, a Roma (e io ne dubito), in Sardegna di sicuro non esiste. I meccanismi di potere a cui si ispirano sono perfettamente identici (vedi “pranzo di Sardara” e altri mille esempi). Gli obiettivi coincidono. Le forme di selezione del personale politico-amministrativo combaciano. La distanza dai problemi reali dell’isola e della sua popolazione è la stessa. Anzi, a volte i cosiddetti (sedicenti) progressisti appaiono persino più alieni dei destrorsi nostrani. Tutti però mancano di qualsiasi barlume di visione strategica.
È una carenza strutturale e di lunga data, dovuta tanto alla formazione specifica del personale politico, quanto a circostanze di natura più profonda, discendenti dalla relazione asimmetrica e per forza di cose patologica tra Sardegna e Stato italiano. Situazione a cui non corrisponde un’opposizione politica robusta e propositiva che possa farsi valere dall’esterno di questo apparato di potere malefico. Non disponiamo nemmeno di una opposizione intellettuale e civile adeguata.
Lo dimostra, oltre al resto, la questione dell’autonomia differenziata (di cui ho già trattato su SardegnaMondo e altrove: per esempio qui e qui). Le posizioni sono succubi del discorso dominante tra le forze politiche che si dividono lo scenario parlamentare di Roma. Oppure semplicemente non esiste alcuna presa di posizione. Provate a dare un’occhiata alla dialettica interna al Consiglio regionale: una miseria desolante. Con le opposizioni passive e silenti persino al cospetto degli scandali che stanno investendo il Presidente Solinas e la sua gestione del potere di questi anni.
È facilmente prevedibile che per le prossime elezioni regionali (che, ricordiamolo, sono le uniche, vere elezioni politiche a cui la comunità sarda abbia accesso) saremo chiamati dal PD e dai suoi satelliti opportunistici a schierarci tutti insieme appassionatamente per “battere le destre”. È una tiritera penosa, abusata, vuota, ma non hanno null’altro a cui appellarsi. Non hanno nemmeno la coscienza pulita, se è per quello.
Ci saranno tentativi di maquillage dell’ultim’ora, fatti al momento opportuno (ossia, quando non si rischia di perderci troppo). E, ancora, voltafaccia di comodo, improvvise conversioni, cooptazioni di gente apparentemente presentabile tanto per ripulirsi un po’ l’immagine, nonché le altre, consuete, operazioni pre-elettorali buone a riprendersi il potere senza la necessità di fare davvero nulla di nuovo.
O pensiamo davvero che l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del PD cambierà qualcosa? Se cambierà qualcosa in Italia (e ne dubito), in ogni caso non cambierà nulla in Sardegna, dove quel partito (chiamiamolo così, per comodità) è saldamente in mano alle solite persone.
Se in Sardegna non riuscirà ad imporsi una nuova visione strategica, un mutamento di paradigmi e di metodi, una prospettiva di democratizzazione reale, non ci sarà opzione specifica, scelta particolare, decisione puntuale che possa avere alcun successo. Fossero anche le migliori in astratto. E a chiunque si presenti come alternativa all’apparato di potere dominante non basterà azzeccare l’alleanza giusta per entrare in Consiglio regionale. Sono cose già viste. Finiscono sempre malamente. Su questo bisogna essere estremamente onesti e sinceri.
Prima di tutto, dunque, per la pulizia del dibattito pubblico e per correttezza verso la spaesatissima cittadinanza sarda, eviterei di cadere nelle trappole retoriche allestite da chi preferirebbe non essere mai chiamato a rispondere delle proprie responsabilità. Cerchiamo di affrontare i problemi con nuova capacità analitica e con una prospettiva diversa dalla solita, passiva subalternità verso le dinamiche politiche italiane e l’agenda setting dei grandi gruppi di interesse esterni. Non è una posizione di parte, questa: è una necessità storica.