Riassuntone di due anni difficili e una sbirciata sul futuro. Prima parte: il grande complotto

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Magari ci fosse davvero un Grande Complotto in atto! Sarebbe tutto più semplice e persino rassicurante. Invece la faccenda è più complicata e difficile da riassumere in un quadro comprensibile.

Ci sono correnti profonde, nei fatti umani, processi complessi che hanno in sé una sorta di inerzia, come se si trattasse di una massa molto grande sottoposta a potentissime forze traenti e respingenti. Di volta in volta, sembra che le cose stiano andando in una certa direzione, ma non è mai detto quale delle forze in gioco prevarrà. E noi siamo presi in mezzo.

Nemmeno i potenti possono davvero determinare il futuro. Però ci provano. Raramente con una visione che oltrepassi il confine del proprio egoismo personale, di clan, di gruppo sociale. Infatti di solito ne conseguono enormi pasticci. Di cui paga il prezzo un sacco di gente, che magari non c’entra nulla o addirittura avrebbe fatto tutt’altro.

La nostra percezione delle cose si limita di norma alla semplice cronaca. E la cronaca, soprattutto nel contesto culturale italiano (dunque anche nella sua propaggine coloniale sarda), tende ormai a sovrapporsi alla mera propaganda. Non a caso l’Italia, nelle ultime rilevazioni note, risultava ancora piuttosto indietro nella classifica della libertà di stampa a livello mondiale. Naturalmente, l’indice della libertà di stampa è un sintomo di qualcosa di più ampio e strutturale, direi di costitutivo, dell’accrocchio storico chiamato Italia. Il problema è che questo accidente della storia fa parte di un contesto a sua volta critico, tendente al disastroso.

Dentro la tripla crisi socio-economica, climatica-ambientale e pandemica, in cui si dibatte l’intera umanità, la sua porzione (di cittadinanza) italiana ha parecchie cose di cui preoccuparsi. Qualcuno in meno, rispetto a luoghi più sfortunati, qualcuno in più rispetto a luoghi più vicini e direttamente comparabili.

La gestione pandemica è emblematica della mediocrità da farabutti intrinseca dello stato italiano e della sua classe dirigente. La prima regola di qualsiasi governo è da sempre: mai dire la verità al popolo. Possono cambiare (relativamente) le maggioranze, ma questa regola aurea è sempre valida, da che esiste lo stato italiano unitario. Se fino al 1946 c’erano possibili giustificazioni storico-giuridico-culturali (era pur sempre una monarchia, con una costituzione assai debole, senza contare il ventennio fascista), è notevole che questo andazzo sia continuato pari pari anche con la tanto celebrata (a vanvera) costituzione repubblicana.

Un’altra regola tassativa è: non fare mai alcuna scelta in nome e per conto della generalità dei cittadini, ma cerca sempre di intortarne il maggior numero possibile garantendo nel contempo i grumi di interessi di parte e/o corporativi più forti. Ossia, grosso modo, quelli di Confindustria, delle cricche detentrici di banche, del clan Agnelli, dei grandi speculatori nell’edilizia e nelle infrastrutture e di pochi altri; col loro codazzo di valvassori e manovalanza assortita, boiardi di stato, propagandisti, politici.

Poi c’è la regola dell’omertà sistematica. Benché il razzismo tipico dell’establishment italiano centro-settentrionale abbia imposto egemonicamente lo stereotipo dell’omertà mafiosa, tipicamente meridionale, e di quella banditesca sarda, la vera omertà è quella della classe dominante italiana, con i suoi legami di interessi opachi, spesso segreti e dissimulati. Di questo apparato di potere e interessi la politica è strumento e campo di gioco, non certo contraltare. E l’informazione mainstream ne è diretta emanazione.

In una situazione del genere, possiamo ben capire che un evento così potente come una pandemia non poteva certo essere affrontato nei termini della serietà e della responsabilità, a cui nessuno, lassù, è abituato. Dal pasticcio del piano anti-pandemico (vecchio di 15 anni, mai rinnovato e però nemmeno applicato quando, alle brutte, poteva servire) alle scelte criminali di non stabilire la chiusura delle prime località colpite dal contagio di massa; dalla fantasiosa imposizione, per decreto, di misure demenziali (puoi andare a lavorare assembrandoti su mezzi pubblici strapieni, ma poi devi rinchiuderti a casa, e se esci per andare all’orto o nel bosco ti inseguo coi droni e con gli elicotteri) oppure banalmente rituali e apotropaiche (canta dal balcone, che ti passa, e mi raccomando la mascherina all’aperto anche se non c’è nessuno nel raggio di un chilometro).

Il tutto condito da una diffusione di dati per lo più senza senso, selezionati e manipolati all’occorrenza, scambiando o alternando valori assoluti e percentuali, commisurando grandezze diverse su scale uguali o viceversa, e via dicendo. E mai un’informazione onesta e veritiera che fosse una. Ci hanno provato, alcuni, ma sono sempre stati travolti dall’ondata di piena della propaganda di governo e delle notizie approssimative o banalmente false. Non tramite i famigerati social, ma per lo più sui mass media principali.

Partire con la manipolazione sistematica e le menzogne non aiuta a venir fuori dai guai migliori di come ci siamo entrati. In più, quando inizi con le misure demenziali e con le panzane, poi devi proseguire sulla stessa strada, se non vuoi incorrere in uno smascheramento traumatico, pericolosissimo per la stessa tenuta di tutto l’apparato di potere.

Un anno fa, proprio in questi giorni, ci sbomballavano h24 con la promessa dell'”immunità di gregge”, se ci fossimo tuttə vaccinatə. Chi faceva notare che, con questo tipo di virus, non è corretto promettere l’immunità di gregge, era immantinente tacciato/a di essere no-vax. No-vax: neologismo magico, da usare come un amuleto, come uno scongiuro. E anche come accusa di comodo per svicolare dalle proprie responsabilità, scaricandole verso il basso. Il sistema sanitario è allo sbando, i servizi di cura e di sostegno sociale sono depotenziati? Be’, la colpa è dei no-vax. Come prima era dei podisti o dei vecchietti di paese che andavano a curarsi l’orto durante il cosiddetto lockdown.

Arrivati all’estate 2021, dopo pasticci e ritardi, la campagna vaccinale sembrava finalmente svolgersi in modo efficace, spesso a dispetto della disorganizzazione istituzionale – centrale e periferica – e del disastro comunicativo (avete presente la faccenda del vaccino Astra Zeneca? ecco). Eppure, proprio in questa fase, era aumentato di intensità il mantra mediatico della renitenza al vaccino. L’insistenza su questo punto era talmente esagerata che, paradossalmente, finiva per trasformarsi in una campagna contro la vaccinazione.

L’enfatizzazione e la svraesposizione delle posizioni no-vax più stupide e infondate, come fossero generalizzate e diffuse presso un numero consistente di persone, è un fatto meritevole di attenzione. Su questo terreno si è fatta della disinformazione sistematica e anche del terrorismo psicologico in dosi massicce, con lo scopo evidente di suscitare un vero moral panic. L’operazione non è riuscita del tutto, se non presso il ceto medio istruito e presso i credenti nel governo Draghi. Tuttavia ha avuto un impatto. Farsi delle domande in merito è come minimo lecito.

In realtà, una certa quantità di esitazione o di renitenza vaccinale è considerata fisiologica in tutti gli studi e in tutti i documenti degli enti di ricerca o di gestione sanitaria a livello internazionale; ma questa è appunto una delle cose che andavano tenute nascoste. Con l’effetto di suscitare ancora più sospetti e conseguente esitazione.

La sostituzione del debole governo Conte II col governissimo a guida Mario Draghi è appunto uno dei fattori decisivi di questa intera fase. Governissimo sostenuto dall’intero arco parlamentare (anche dalla finta opposizione dei fascisti di Fratelli d’Italia) e da un larghissimo (dunque sospetto) consenso internazionale.

Draghi, da buon despota illuminato, non poteva limitarsi a dar seguito a cose decise dal suo troppo esitante predecessore: ne sarebbe andato della legittimità della sua chiamata al potere. Ecco dunque l’invenzione del magico dispositivo-fine-di-mondo: il green pass. Già il fatto di avergli dato un nome inglese era un chiaro segno della sua natura diversiva e ingannevole. Fateci caso: quando vogliono fregarci di solito lo fanno in pseudo-inglese, così li prendiamo più sul serio e ce la beviamo senza troppe storie. Anche sull’adozione del green pass sono state addotte motivazioni per lo più di fantasia e del tutto sprovviste di un minimo di verifica fattuale; ma quando mai questo è stato un problema, in Italia?

A guardare le statistiche, l’introduzione del lasciapassare verde non ha mutato di molto, o non ha mutato affatto, l’andamento delle vaccinazioni. Un po’ di più ha fatto l’imposizione dell’obbligo di lasciapassare (NON di vaccinazione) in alcuni ambiti lavorativi e/o pubblici. Intanto, veniva contestualmente avviata una campagna di demonizzazione dei tamponi, ossia del monitoraggio e del tracciamento del contagio, cioè lo strumento principale per avere un quadro il più possibile preciso e aggiornato della diffusione del virus.

Sono stati spesi molti euro pubblici in campagne pro-vaccini, anche quando la popolazione vaccinabile era stata coperta in percentuali altissime, prossime o superiori all’80% (a sentire i medesimi responsabili dell’operazione).

Sempre sul piano comunicativo, ai gruppi no-vax è stato associato scorrettamente, facendone un tutt’uno, tanto chi manifestava critiche sulla gestione pandemica in generale o sul green pass in particolare, quanto i residuati tossici fascisti pronti a intestarsi qualsiasi protesta diversiva o a inscenarne una (a favore di telecamera). Un pasticcio mediatico incoerente e indigesto, ma sempre utile a confondere le idee e a sostenere il consenso al governo “dei migliori” (i mass media hanno fatto a gara, fin qui, nel dimostrarsi servili e ossequiosi verso colui che considerano il capo indiscusso, presente e futuro, della Nazione).

Nel frattempo è subentrata la prevedibilissima (e prevista) novità della nuova mutazione del virus (la variante “omicron”). Esito sostanzialmente inevitabile, stante la natura del SARS-Cov-2, che si è scelto di accettare, decidendo di non distribuire capillarmente i vaccini disponibili – magari gratis o a prezzo di costo – ai quattro angoli del globo. Le aziende farmaceutiche devono realizzare il business per cui esistono. Hanno sì ricevuto una montagna di soldi pubblici per fabbricare ‘sti benedetti vaccini, ma devono anche poterci guadagnare su. Quindi i vaccini li rivendono, a prezzo maggiorato (è stato calcolato, fino a 27 volte il costo di produzione), agli stessi paesi ricchi che le avevano già lautamente finanziate, e il resto del pianeta che si… arrangi. È il capitalismo, bellezza! Poi, se ci scappa una nuova variante del virus, si potrà sempre realizzare un vaccino apposta e venderlo sempre agli stessi paesi ricchi. E così via all’infinito.

In effetti, qualcuno ha argutamente proposto di ribattezzare la variante “omicron” “variante Pfizer”: sottoscrivo. Come sottoscrivo le cautele che fortunatamente stanno emergendo anche sul versante, comunque occidente-centrico e neo-coloniale, del “vaccinare il mondo e soprattutto l’Africa solo-perché-ci-conviene”.

Sia chiaro, i vaccini sono un’invenzione utile e su molti piani decisiva. Sarebbe stato preferibile non raccontare troppe balle fin dall’inizio e impostare la campagna vaccinale spiegandone bene tutti gli aspetti, senza negare l’evidenza. Prima di tutto ammettendo la fallibilità della scienza (quella vera, senza maiuscola reverenziale e senza pretese di adesioni fideistiche) e il suo normale e corretto procedere per ipotesi, prove, smentite, conferme, correzioni.

Per dire, perché negare che si tratta di vaccini sperimentali? Lo sono, ma andava chiarito in che senso. La paura sul vaccino a base di RNA messaggero è ingiustificata, se discende da sospetti circa il “che cosa c’è dentro?” o da ipotesi di inoculazioni di nano-chip o altre scemenze del genere, così come anche dai dubbi sulla natura improvvisata e inedita di questi farmaci.

In realtà l’uso farmacologico di RNA messaggero è stato teorizzato già alcuni lustri fa e da alcuni anni è una risorsa preziosa nel contrasto dello HIV (per saperne di più consiglio la visione di questa ottima puntata di Presa Diretta). L’aspetto sperimentale dei vaccini basati su di esso risiede nel fatto che sono stati abbreviati i tempi di rilascio del vaccino, senza aver effettuato l’intero ciclo di verifiche a medio termine che di solito ne concludono l’iter di approvazione. L’incognita fondamentale è la durata della copertura garantita dal vaccino, più che suoi eventuali effetti indesiderati. Ma non dobbiamo dimenticare la condizione di estrema emergenza in cui tutto questo è avvenuto.

Non sarebbe stato meglio fare un discorso onesto e chiaro, su questa faccenda? Dare per scontato che la maggior parte della cittadinanza sia deficiente o autolesionista non è una base molto solida per nessuna democrazia. Per di più, così facendo, non si elimina affatto la diffidenza ma caso mai la si alimenta.

Moltissime persone che pure si sono vaccinate seguendo scrupolosamente procedure e protocolli, non l’hanno fatto per cieca fiducia nel governo o nelle case farmaceutiche, ma solo in base a un calcolo empirico, inevitabilmente approssimativo, sul rapporto costi/benefici. Sarebbe stato lo stesso anche se la campagna promozionale della vaccinazione di massa fosse stata fatta in altri termini. Anzi, forse ci sarebbe stata qualche esitazione in meno.

Resta integro, in ogni caso, il “nucleo di verità” relativo alla natura capitalista della produzione e della distribuzione dei vaccini, ai suoi limiti e ai suoi pericoli. Punto decisamente più solido e conflittuale delle baggianate più fantasiose a cui si dà voce e spazio sui media, ma largamente eluso e opacizzato anche grazie alle fantasie di complotto. Che, partendo da un sospetto generalizzato e mal argomentato contro Big Pharma, assunta come entità quasi trascendente, a-storica, finiscono per indebolire quello che invece poteva essere un versante critico importante.

L’insistenza con cui i vaccini (nei paesi ricchi) sono stati presentati come la soluzione finale e decisiva del problema, ben sapendo – perché si sapeva – che non sarebbe andata così, è un errore (o un inganno) palese. L’imposizione di uno strumento coercitivo e discriminante come il green pass non ha certo aiutato, specie quando è emersa l’ovvia circostanza che il virus continua a circolare e si prospettano nuove misure restrittive.

La combinazione tra promessa infranta di immunità di gregge, pasticci col lasciapassare verde e nuove restrizioni all’orizzonte sta già presentando il conto. Tra poco sarà imposto il tampone (a pagamento, non sia mai) anche a vaccinati e a detentori del super-mega-ultra green pass, e magari una quarta dose di vaccino dopo un paio di mesi dalla terza (che già sarà prescritta in anticipo rispetto alla copertura dichiarata della seconda dose); anche se comincia a serpeggiare qualche dubbio.

In Italia, l’ossessivo presenzialismo mediatico di viro-star più o meno accreditate, con cadute di stile ben oltre la soglia del cringe, non aiuta certo a rassicurare una cittadinanza disorientata e devastata psicologicamente da due anni di contraddizioni, sensazionalismi fobici e uso massiccio, da parte del governo e dei media, del doppio legame. A occhio e croce, prima, durante e dopo l’elezione in Parlamento del nuovo presidente della repubblica (evento a quanto pare decisivo), ne vedremo delle belle.

[continua]

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