Sviare l’attenzione per dominare meglio

Panem et circenses - Bread and games relief - ZooChat

Dove si concentra l’attenzione dell’opinione pubblica sarda? A cosa danno rilievo i mass media? Cosa vogliono che guardino i cittadini e le cittadine dell’isola? E cosa non vogliono che si guardi coloro che dettano loro (ai mass media) l’agenda?

Mi è capitato parecchie volte, su SardegnaMondo, di far riferimento alle partite strategiche e ai problemi strutturali della Sardegna, fornendone un elenco esemplificativo (e non esaustivo). Senza seguire un ordine di rilevanza, possiamo citare: scuola, trasporti, questione energetica, trasporti interni ed esterni, sanità e assistenza sociale, debolezza economica di stampo coloniale, questione linguistica. E tutto questo, nel contesto di una difficile transizione storica, con una pandemia non risolta ancora in corso e un mutamento climatico accelerato di cui cominciamo già a subire gli effetti.

Dentro e intorno a questi ambiti tematici, oltre e prima degli aspetti teorici e politici, c’è la difficoltà per troppe persone ad accedere a diritti di cittadinanza essenziali, ad avere un livello di esistenza individuale, familiare e collettiva non precario, non affidato alla buona sorte, non dipendente dal nome che porti e dalla famiglia in cui hai avuto la sorte di nascere o dalla benevolenza di qualche piccolo o grande potente.

Quanto spazio hanno questi temi, al di là di qualche momentanea emergenza, nell’attenzione che quotidianamente i mass media sollecitano da parte di chi vive nell’isola? E di che tipo è l’informazione che li riguarda? Quanto sappiamo delle cose fondamentali che influenzano e spesso danneggiano la nostra vita?

Quasi mai siamo informati su cosa si agita dietro la facciata dei giochi di potere, della messinscena mediatica. Se qualcosa emerge – vedi il famoso “pranzo di Sardara” – presto cala un silenzio tombale, un velo di opacità impenetrabile.

Non siamo informati nemmeno su scelte e circostanze fondamentali. Per esempio, la questione “metanizzazione”. Chi può dire di saperne qualcosa? Dei rigassificatori e dei depositi che sono già in costruzione nel porto di Oristano e altrove cosa sappiamo? A quale disegno strategico risponde quest’opera? A chi serve?

E cosa sappiamo del tanto decantato, in termini propagandistici, comparto aero-spaziale “sardo”? Certo, ogni tanto qualche notizia compare sui sugli organi di informazione, ma per lo più si tratta di meri copia-incolla di comunicazioni istituzionali o peggio aziendali.

Per capire meglio servono ricostruzioni e analisi meno acritiche. Come quelle di a Foras:

INAUGURATO NEL POLIGONO DI QUIRRA IL BANCO DI PROVA PER I RAZZI SPAZIALI

Il progetto denominato Space Propulsion Test Facility, in sostanza un banco di prova per i motori a carburante liquido che dovranno guidare nello spazio i razzi, è stato inaugurato ieri in località Sa Figu, Comune di Perdasdefogu, all’interno del Poligono Interforze del Salto di Quirra. Il tutto vale 26 milioni di euro. 9 milioni e mezzo arrivano dalle casse del Ministero dello Sviluppo Economico, altri 790 mila euro da quelle – certo non floride – della Regione. Il resto lo mette Avio, società per azioni con sede a Colleferro che ad oggi ha come socio principale Leonardo, l’azienda a controllo pubblico che domina il settore areospaziale-bellico in Italia.
La chiacchiera del destino aerospaziale del Poligono di Quirra circola, fra Ogliastra e Sarrabus, sin dal 1956, quando vennero espropriate le terre per realizzare il poligono più grande d’Europa. Chiacchiere, appunto, perché gli effetti registrato fino ad oggi sono spopolamento, depressione socio-economica e povertà collettiva. E le malattie, quelle per cui nessuno vuole prendersi la responsabilità, ma che ci sono e ammazzano le persone. Non c’è solo la questione ambientale, e i dubbi sull’opportunità di finanziamenti pubblici ad aziende che poi, in sostanza, sono già a controllo pubblico. Ci sono le questioni etiche: sarà tutto civile lo scopo di questi razzi? Qualche anno fa Giacomo Cao, rispondendo ai dubbi sollevati da A Foras ed altri, assicurava che i progetti sui droni non avrebbero avuto alcuna connessione con le ricerche militari. Qualche settimana fa si è scoperto che l’Italia intende armare i droni Predator B: già dal nome qualche domanda ce la si poteva fare, ma tutti assicuravano che sarebbero stati impiegati per operazioni di protezione civile e servizi postali. I razzi Vega per ora non hanno impieghi militari, ma le tecnologie sviluppate per il loro utilizzo potrebbero averli e comunque.
L’altro dubbio è che, in fondo, stabilire qui il bando di prova dei missili ma non la sede dell’azienda nasconda la semplice esternalizzazione di pratiche dannose. Meglio farlo a Colleferro, o in Sardegna, nel bel mezzo del poligono di Quirra? Protetti non solo dal punto di vista militare, ma anche da quello della trasparenza, dato che su quello che accade dentro i poligoni e sui danni delle esercitazioni non è possibile sapere nulla di certo. In America, nella Guyana Francese, da dove partono i razzi europei destinati allo spazio, le proteste contro lo spazioporto sono state negli ultimi anni molto attive.
Avio ha garantito che l’impianto avrà a regime 35 posti di lavoro: briciole. Le fabbriche e i centri di ricerca dell’azienda sono tutti nella penisola, a Colleferro e in Piemonte e Campania. Qui, resterà il fumo dei motori.

Che idea ha in proposito la maggioranza della popolazione dell’isola? Possiede informazioni adeguate? Senza rendersi conto di cosa bolla in pentola diventa impossibile agire di conseguenza con un minimo di coerenza, anche solo esercitando consapevolmente il proprio diritto di voto.

Lo stesso vale per molti altri ambiti. Pensiamo ai trasporti interni ed esterni. Certo, fa scalpore la loro condizione penosa, specie alla luce del disastro della continuità territoriale marittima e aerea. Su questo, temo che la maggior parte delle persone sarde siano rassegnate a non poter mai vedere di meglio. Ma è una rassegnazione figlia anche del discorso pubblico in proposito e delle notizie che ne danno i media, una rassegnazione indotta.

La politica sarda è pienamente responsabile del disastro, anche solo in termini di passiva accettazione dell’asimmetria patogena con il resto dello stato italiano. Eppure, basterebbe focalizzarsi un attimo sulla cruda realtà, estrarre dalle lamentazioni sterili un momento di parresia, di verità, perché la situazione appaia in tutta la sua gravità. Faccio un esempio, attualissimo, citando le parole del giornalista Marco Santopadre, dal suo profilo FB (non ve lo linko neanche sotto tortura):

Siamo troppo assuefatti a vivere i disagi come inevitabili, convinti che in fondo non ci sia nulla da fare e che convenga semplicemente vivere di espedienti, trovare modi fantasiosi per aggirare gli ostacoli che la cruda materialità dei problemi ci pone davanti. Ma chiaramente non basta.

Non una delle questioni aperte, elencate sopra, ha la sua radice in un atavico e indistinto destino collettivo. Si tratta di problemi molto concreti e totalmente calati nella nostra storia contemporanea, con cause per lo più politiche.

I sotterfugi e i diversivi usati a piene mani per distrarci dalla realtà sono pervasivi e molto efficaci, proprio perché ci lavorano e li rendono egemonici sia la politica sia i mass media. I quali – politica e mass media – rispondono a una classe dominante poco eterogenea, poco dinamica, attestata su posizioni opportunistiche, che sfrutta a proprio vantaggio il suo ruolo di intermediazione e la facilità di accesso al denaro pubblico. Che prospera nella subalternità e nella dipendenza, da brava classe dominante coloniale.

Anche su questo vanno bandite prudenze pelose e reticenze di comodo. I tratti che assume, per moltissimi aspetti, la realtà sarda contemporanea sono prettamente coloniali. Certo, si parla di coloniale/colonialismo non nella forma ottocentesca, ma in quella più complessa del neo-colonialismo recente.

Chi legge ricorderà la vicenda del Progetto “Eleonora” della SARAS: la grandiosa idea di andare a cercare il gas nel territorio di Arborea, nelle immediate vicinanze di un’area umida protetta, a due passi da abitazioni civili e per di più in un’area a forte vocazione agricola e zootecnica, tutt’altro che “arretrata” o “povera”. Era un bel test. Se La SARAS avesse vinto lì, non avrebbe trovato ostacoli da nessun’altra parte. Quella volta le è andata male, grazie alla mobilitazione “informata” locale e a un certo appoggio politico dell’ambito indipendentista, che fece la sua parte.

Ma è stata l’unica sconfitta della SARAS in quasi sessant’anni di attività. Vi risulta che i mass media sardi e la politica istituzionale abbiano mai osato non dico contestare, ma almeno alzare un ditino sull’attività dell’azienda lombarda? Qualcuno ci ha provato, come il regista Massimiliano Mazzotta o il giornalista Giorgio Meletti. Fuori dal mondo dell’informazione sarda, però, e non senza conseguenze.

Parlo della SARAS perché è l’azienda più potente o una delle più potenti che agiscano sul territorio sardo, traendone profitti. Con quale vantaggio per l’isola? Parliamone.

Ma non c’è solo la SARAS. pensiamo alla Fluorsid del presidente del Cagliari calcio Tommaso Giulini. È di questi giorni la notizia di una sorta di aut aut posto dall’azienda alle autorità competenti, che dovrebbero decidere se la ristrutturazione progettata dalla dirigenza debba o no sottostare allo scrutinio di una Valutazione di Impatto Ambientale.

Ne dà notizia YouTG.net, non so se sia uscita anche su altri organi di informazione (io non l’ho trovata).

Eppure la questione industriale, legata a quella energetica (infatti una grossa parte della ristrutturazione della Fluorsid riguarda questo aspetto), al problema ambientale e a quello del lavoro, non è esattamente una faccenda secondaria. Quanto ne sappiamo? Quanto sappiamo dei piani della politica sarda al riguardo? Che prospettive propongono le forze politiche dominanti? Temo che siano domande retoriche. Alla politica che si è incistata nel Palazzo, come una sorta di simbionte parassita, interessa di più mantenere sacche clientelari e interi territori sotto il ricatto occupazionale, che trovare soluzioni vere.

La vicenda Fluorsid è da seguire, anche per i suoi risvolti simbolici. Il coinvolgimento del Cagliari calcio in questa partita (non sportiva) non è casuale e non è nemmeno un inedito. La formula panem et circenses lo è ancora meno. Ma sembra funzionare sempre.

Il problema grosso è che, mentre ci si accapiglia sui social e nelle discussioni politiche su mille diversivi, si perdono di vista le questioni più vere e decisive. Questioni su cui non si chiede mai conto alla politica, men che meno sotto elezioni. Anche lì, siamo sempre tuttə ipnotizzatə dalla narrazione mediatica, fino a cadere nella trappola del fintissimo duopolio centrodestra/centrosinistra. Come se da quella parte potesse davvero arrivare qualche novità, un mutamento di prospettiva, o anche solo un incremento sia pur minimo nella qualità dell’azione politica.

Non siamo abituati a guardare e a ragionare sulle cose con libertà di discernimento e coraggio civile. O meglio, una larga fetta della popolazione sarda non lo è. Non per colpa sua.

Ci sono anche segni del contrario, beninteso: nei comitati locali e/o tematici, nelle mobilitazioni sociali non assistenzialistiche, in quelle giovanili e in quelle del femminismo intersezionale, in certi anfratti dell’indipendentismo più o meno organizzato. Vedremo se queste energie sapranno costituire una massa critica democratica e un fronte civile coeso da contrapporre alle forze della conservazione coloniale. È l’unica possibilità politica reale per poter aspirare a qualche cambiamento in meglio, almeno sul piano politico.

Sicuramente non lo è farsi cooptare nelle ammucchiate elettorali dei poli politici maggiori, con l’illusione (a cui si cede o si fa finta di cedere) di poterli “cambiare dall’interno”. Come se non avessimo già visto come va a finire. L’ingenuità, su questo punto, non è più accettabile.

Del resto, non è nemmeno sulle etichette posticce e sui camuffamenti retorici che può basarsi la necessaria svolta democratica nell’isola. Non basta definirsi indipendentisti, autonomisti, sardisti, progressisti, liberali, di sinistra. Si sta da una parte o dall’altra della linea del fronte. E la differenza la fanno soprattutto l’approccio e le proposte sui temi strategici, fuori dall’agenda dettata dalla politica dominante e dai mass media. Lì si gioca la partita e lì bisogna concentrare l’attenzione ed esercitare tutto lo spirito critico di cui disponiamo.

Le fazioni politiche maggiori sono in aperta crisi. Hanno perso ogni residua credibilità e si reggono solo sulla propria capacità di mediare con i centri di interesse più forti e sulle proprie sacche clientelari. Lo dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, anche le recentissime elezioni amministrative in Italia. Vedremo cosa ci dirà la tornata elettorale sarda tra pochi giorni. Non tanto nei risultati specifici (è un test troppo limitato), quanto soprattutto sulla partecipazione dell’elettorato. Anche su questo andrà fatto un ragionamento partendo dai dati di realtà, non di puro calcolo utilitaristico, ma di ordine sociale e democratico. Ne riparleremo.

1 Comment

  1. A conferma del problema generale sollevato in questo post, ecco un esempio di come si possa manipolare non tanto l’informazione (ossia la notizia in sé) quanto l’effetto della notizia su chi la capta, di solito distrattamente.
    Sulla Nuova online, in data 7 ottobre, compare un articolo sugli indennizzi ricevuti indebitamente da alcuni soggetti residenti in aree colpite da occupazione militare. Non è nemmeno una storia inedita.
    L’articolo è accompagnato dalla foto di una manifestazione contro le servitù militari.
    Qual è l’effetto che si vuole trasmettere? Che associazione mentale porta questo accostamento indebito?
    La mobilitazione contro l’occupazione militare ha tra i suoi obiettivi anche quello di smontare il meccanismo perverso dell’assistenzialismo, con i suoi guasti socio-culturali. La politica degli indennizzi è esplicitamente uno dei bersagli del movimento. Perché dunque creare la connessione tra proteste e accesso indebito agli indennizzi medesimi?
    Ecco, ragioniamoci su.

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