Avrei voluto scrivere ancora di libri, qui, e prima o poi lo farò, ma non posso tacere su una faccenda che mi chiama in causa da diversi punti di vista.
Sto parlando della riverniciata militarista e self-colonized che l’amministrazione comunale di Nuoro ha deciso di dare alla festa del Redentore di questo 2019.
Mi chiama in causa come nuorese, come “addetto ai lavori” (ho partecipato al Redentore in tutte le vesti possibili, negli anni), come osservatore politico e come cittadino.
Per la prima volta, la sfilata degli abiti “tradizionali” in programma tra pochi giorni sarà accompagnata dalla banda della Brigata Sassari.
Naturalmente, se la consideriamo una manifestazione folkloristica, nel senso più degenere del termine, non possiamo stigmatizzare alcunché di trash o di cattivo gusto la riguardi.
Difficile trovare al mondo qualcosa di più trash della banda della Brigata Sassari.
Ma purtroppo la questione non si riduce a questo.
Non c’è nulla di semplicemente volgare e di cattivo gusto quando si chiama in causa il militarismo, lo stereotipo connesso al valore bellico dei sardi e tutta la retorica che sempre accompagna la Brigata Sassari.
Non ripeto in questo caso quello che ho già scritto ripetutamente sul fenomeno: è tutto nero su bianco, in questo spazio e anche altrove. Non è difficile arrivarci.
Per giunta, c’è un’aggravante, in questa vicenda specifica.
L’attuale amministrazione nuorese è stata complice e realizzatrice finale dell’operazione immobiliare riguardante il nuovo polo militare in località Pradu (Prato Sardo).
Ci ha messo risorse sue (si parla di una dozzina di milioni di euro), ha ceduto – in modo discutibile anche dal punto di vista giuridico – dei terreni vincolati da usi civici.
Ha finto di barattare questa regalia indebita con la concessione di altri spazi dismessi dal Ministero della Difesa in città, sbandierando grandi progetti culturali, mai messi in opera.
Soprattutto, ha propagandato una versione delle cose secondo cui la presenza militare in città avrebbe costituito un potente volano economico.
Una panzana che la realtà ha fatto presto a sbugiardare.
Il che, unito alla mediocrità e alla pochezza dimostrate in questi anni, mi ha persuaso da tempo a ritirare l’iniziale apertura di credito che mi ero sentito di esprimere sulla compagine guidata da Andrea Soddu.
Ma questo è il meno.
Il problema è che ancora una volta la politica istituzionale sarda si rende complice di un’operazione di stampo bassamente propagandista, di sapore militaresco e subalterno alla logica coloniale con cui è amministrata la cosa pubblica nell’isola.
Un fatto gravissimo.
Perpetuare la propaganda militarista, il mito dei sardi “bravi soldati”, la retorica del sangue versato per la patria (italiana), l’accettazione del nostro ruolo subalterno e strumentale come tratto costitutivo del nostro stesso stare al mondo, non è una scelta neutra.
È inaccettabile che ancora oggi i nostri amministratori e la nostra classe politica non si rendano conto di quel che significa piegarsi a questa logica.
Ancora più grave se si tratta di scelte consapevoli.
La giunta e l’intera amministrazione nuorese dovranno risponderne politicamente e moralmente.
Per di più, si tratta di una deriva generale.
Il militarismo pervade molti aspetti della nostra vita pubblica, dalle scuole, ai mass media, alle feste tradizionali.
Non sono sicuro che la maggior parte dei sardi sia consapevole di ciò che significa.
Sono invece sicuro che la classe dominante sarda, nelle sue varie articolazioni (in politica, nelle università, nelle conventicole affaristiche, nei mezzi di informazione), sa benissimo che l’appoggio convinto all’apparato militare garantisce vantaggi a cui nessuno, là in mezzo, intende rinunciare.
Sia pure al prezzo di mantenere la Sardegna in una condizione di dipendenza e di passiva accettazione del proprio destino infausto.
A maggior ragione mi sembra giusto spendere qualche parola a sostegno della manifestazione in programma il 12 ottobre prossimo presso il Poligono di Capo Frasca.
Una manifestazione organizzata da tante sigle, tante realtà associative, civiche, culturali e politiche.
Sarà un’occasione per ribadire un grande rifiuto collettivo, democratico e popolare alla militarizzazione dell’isola e al suo destino di servitù permanente.
Verrà un tempo, è auspicabile, in cui non ci dovremo più vergognare delle scelte della nostra classe politica e amministrativa.
Quel tempo, purtroppo, non è oggi. Né a Nuoro, né altrove.