La questione storiografica sarda: Premessa a La Sardegna e i Sardi nel tempo (2015)

Il tema della questione storiografica sarda, come problema di organizzazione del sapere e come fattore della nostra colonizzazione culturale, riemerge di tanto in tanto, carsicamente, nel dibattito pubblico. Spesso trasformandosi in vana contrapposizione polemica. Chi vorrebbe dalla storiografia una vera e propria mitopoiesi nazionale (e nazionalista), basata su un qualche mito delle origini, contesta chi non intravvede alcuna questione irrisolta in tale ambito di studi. Ovviamente si tratta di due posizioni estreme che non solo è impossibile conciliare tra loro (in quanto non hanno alcuna base in comune), ma che a mio avviso non centrano affatto il nocciolo del problema. In proposito, ripropongo qui la Premessa del mio compendio di storia sarda La Sardegna e i Sardi nel tempo (Arkadia, 2015), in cui è riassunta e argomentata la mia posizione in merito.


[Proprietà intellettuale di Arkadia editore, riproduzione riservata]

La presente opera è il frutto di un tentativo molto più facile a dirsi che a farsi: condensare l’intera storia della Sardegna in un’unica trattazione, in modo da tener conto anche del contesto internazionale e dei vari tempi e livelli della storia umana. Ulteriore ambizione è di rendere il risultato di tale lavoro accessibile per diverse tipologie di lettore.

Mettere mano a una materia così vasta e così complessa è un’iniziativa che richiede parecchia incoscienza e, a monte, come minimo, molti anni di studio, di approfondimenti, di letture, di confronti, dubbi, discussioni. I problemi di metodo sono notevoli. La necessità della sintesi si impone e al contempo bisogna fare i conti con quella altrettanto pressante della comprensibilità del discorso. Riguardo ai temi e ai periodi su cui non esiste un pacifico accordo tra studiosi, è necessario scegliere tra le ipotesi, senza lasciare vuoti nel flusso della narrazione ma senza ricorrere alla pura ricostruzione di fantasia. Sono problemi abbastanza comuni per chiunque scriva di storia. Ma non è ancora tutto. Il grande problema di fondo, anche questo di indole generale, è fare in modo che l’applicazione di un proprio punto di vista non scada nella mera produzione (o riproduzione) di una ideologia, o in una trattazione tendenziosa.

Gli storici perlopiù si sforzano di essere rigorosi e distaccati. Si impara ad esserlo, attraverso lo studio, la familiarità con il metodo, l’esempio dei grandi maestri. Ma ciò non significa affatto che gli storici, anche i migliori e più celebrati, non applichino cornici concettuali e punti di vista. Questo è inevitabile. Si tratta di cercare di eliminare le distorsioni più evidenti e di mantenere un rigore “laico” sulla materia trattata, senza cercare di arrivare a conclusioni precostituite, senza scadere nella propaganda surrettizia alle proprie tesi. Non è facile, ma ci si può riuscire.

Naturalmente è importante rendere esplicito il proprio punto di vista generale, e prima di tutto essere coscienti di averne uno.

Quando affrontiamo un tomo dedicato alla Sardegna esso non è mai la rendicontazione neutrale di un meccanico accumulo di informazioni. Se funzionasse in questo modo, due testi storici sulla Sardegna che abbraccino lo stesso arco temporale, da chiunque scritti, sarebbero identici. Chiaramente le cose non stanno così. Non sempre i testi storiografici dedicati alla Sardegna dichiarano il proprio punto di vista o lo sguardo generale applicato, ma è indubitabile che ne abbiano sempre uno. Quasi mai, va detto, si tratta di un punto di vista sardo, in nessuno dei sensi possibili.

Nel caso presente il punto di vista è invece squisitamente sardo. Non nel senso che venga attribuita un particolare valore alla storia dell’isola (quella sarebbe una cornice nazionalista o etnocentrica), bensì nel senso che i fatti e i processi vengono esaminati dentro un orizzonte al cui centro c’è la Sardegna e chi l’ha abitata dalla preistoria a oggi.

Si dirà: è ovvio, dato che si tratta di una “storia della Sardegna”. In realtà non è così ovvio. Di “storie della Sardegna” ce ne sono tante. Una mole di pubblicazioni notevole, se si pensa alle dimensioni demografiche dell’isola e alla sua presunta estraneità alla Storia (quella che si scrive rigorosamente con la “s” maiuscola). Dedicare tanta carta (e oggi tanti bit) a una terra priva di storia, immobile, perennemente uguale a se stessa, in effetti suona come un controsenso. Si vede che da qualche parte c’è un inghippo.

Le tante “storie di Sardegna” esistenti perlopiù sono un assemblaggio di fonti, notizie, ricostruzioni che vedono la Sardegna come un oggetto in mani altrui o in balia di forze e processi esterni e sempre subiti passivamente. Lo sguardo che prevale è quello dell’estraneo, dell’osservatore esterno che deve rendere conto di quel che succedeva su quest’isola lontana a un pubblico che non la conosce. È uno sguardo legittimo e ha anche un senso, se il centro dell’orizzonte di riferimento non è la Sardegna.

Spostando lo sguardo e partendo da un punto di vista sardo le cose assumono un senso diverso. Gli stessi fatti – sui quali spesso c’è poco da dubitare – prendono un colore e dei significati che altrimenti non avrebbero avuto o ne acquisiscono di ulteriori. La storia del Mediterraneo e dell’Europa (compresa quella della sua porzione convenzionalmente chiamata Italia) possono essere lette piuttosto agevolmente dall’osservatorio privilegiato della Sardegna.

Questo perché in realtà la Sardegna, in virtù della sua centralità geografica e della sua rilevanza strategica ed economica nel corso del tempo, è tutto tranne che una terra priva di storia sua propria e tanto meno estranea al flusso delle vicende del mondo circostante.

Corollario specifico del problema generale su esposto, è che le vicende sarde, in qualsiasi modo raccontate, sono prevalentemente inserite dentro il contesto di riferimento italiano, assumendone i tratti distintivi come unici riferimenti possibili (quindi, prima di tutto, la centralità della storia romana, del Medioevo italiano, del Rinascimento italiano, del Risorgimento italiano, ecc.). Anche questa è una scelta, che andrebbe precisata e argomentata.

Non è l’unica possibile. Di sicuro è una scelta che limita molto la nostra visuale sulla storia sarda, dato che ci priva di un arco di orizzonte piuttosto ampio. In questo modo rinunciamo a sapere – e dunque anche a capire – come si svolgesse la vita in Sardegna nelle varie epoche, quali ne fossero le caratteristiche economiche, sociali, culturali e in che relazioni si articolassero al loro interno, nonché quali effetti avesse sulle comunità sarde il contatto con gli elementi materiali e culturali che arrivavano dall’esterno. Si confonde la storia delle élite sarde con la storia dei Sardi nel loro insieme. Si rende misteriosa la formazione molteplice del nostro patrimonio culturale, il suo sviluppo e la sua trasmissione da una generazione all’altra. In molti casi, procedendo in tal modo, si avvalorano artificiosamente stereotipi, elementi mitologici senza fondamento storico, visuali parziali.

La Sardegna è un’isola in mezzo al Mediterraneo occidentale e tutt’intorno, ai quattro punti cardinali (quindi non solo a est), è circondata da un notevole assortimento di terre e popolazioni che hanno interagito tra loro per millenni. Tra loro e con la Sardegna medesima. Nel presente testo le vicende italiane saranno evocate solo quando ve ne sia la stretta necessità e dentro il contesto più ampio della storia europea o in quanto abbiano interagito con la storia propriamente sarda.

Altra questione ancora è quella relativa alla divulgazione storica in Sardegna. Non che non esista, ma essa è largamente insufficiente e si concentra molto su alcune epoche specifiche, a volte trascendendo nell’arbitrio ricostruttivo, nell’ipotetico e nel fantasioso. Tutte cose belle e lecite, a patto di non spacciarle per divulgazione di contenuti acquisiti, usciti indenni dal vaglio critico del metodo scientifico. La debolezza della divulgazione storica sarda, combinata con l’assenza pressoché totale della nostra storia dai corsi di studi regolari, genera il mostro dell’ignoranza di sé dei Sardi, perennemente esposti alla credulità verso mitologie più o meno interessate e quasi mai innocue.

Il presente libro vorrebbe essere un tentativo di risposta a tali problemi. Senza la pretesa di dire l’ultima parola su alcunché, senza nemmeno esprimere alcuna ambizione innovativa sui contenuti, tutti facilmente reperibili, sia pure sotto altre forme, nei molti testi disponibili.

Non ci sarà dunque spazio per teorie avventurose e non sufficientemente accreditate. Mi rendo conto che questo da qualcuno sarà considerato un limite, ma non si può avere tutto nella vita. Non darò spazio  nemmeno alle mie stesse ipotesi eterodosse su questa o quella specifica questione, qualora esistessero. Il motivo è semplice: se si fa divulgazione in modo serio e responsabile, bisogna attenersi il più possibile alle conoscenze acquisite.

Ciò non toglie che dove vi siano discussioni in corso o problemi non risolti se ne tenga conto adeguatamente. In qualche caso sarà data una preferenza a un’ipotesi anziché a un’altra, laddove vi sia sostanziale equilibrio tra opzioni diverse, sufficientemente discusse.

Del resto anche il metodo storico è una disciplina strutturata in termini scientifici. Le ricostruzioni sono sempre perfettibili, purché il lavoro di aggiornamento rispetti regole metodologiche rigorose. Le novità sono sempre dietro l’angolo, specie per una terra come la Sardegna le cui vicende di ogni tempo non sempre sono state illuminate da un’adeguata ed esaustiva opera di ricerca e da una narrazione priva di reticenze o forzature. Tante lacune segnano ancora la conoscenza del nostro passato, anche (e forse soprattutto) di quello meno remoto.

È dunque doveroso, in conclusione di questa premessa, spendere qualche parola per auspicare un rilancio in grande stile della nostra ricerca storica, che faccia tesoro delle acquisizioni metodologiche a livello internazionale e del pieno supporto delle discipline ancillari (archeologia, geografia, demografia, economia, sociologia, linguistica, ecc.). La mera erudizione archivistica non è sufficiente a offrirci una ricostruzione compiuta ed esaustiva della nostra lunga e complicata vicenda collettiva e a consentirci di collocarci adeguatamente nel tempo e nello spazio. Cosa di cui invece c’è stringente bisogno.

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