Il razzismo come tratto costitutivo dell’ideologia nazionale italiana

I mass media mainstream italiani, ossia i mezzi di informazione organici all’establishment affaristico/politico che ha dominato fin qui il Paese, danno molto spazio alla cosiddetta emergenza razzismo.

L’agenda setting di tali mass media (cioè il modo in cui essi selezionano e confezionano le notizie da ammannire ai lettori/spettatori/clienti) non è neutro. Non lo è mai, ma nel loro caso ha il vizio di fondo di essere tradizionalmente orientato alla difesa di interessi costituiti e di rigide gerarchie socio-economiche e territoriali.

Tuttavia è vero che la casistica di episodi di intolleranza o di violenza fondati su atteggiamenti xenofobi o apertamente razzisti si arricchisce di giorno in giorno.

Ed è altrettanto vero che i partiti oggi all’opposizione, PD in primis, largamente rappresentati dai mass media principali, abbiano tutto l’interesse ad enfatizzare i tratti più impresentabili dei loro avversari.

Come districarsi dunque tra le diverse spinte propagandistiche? Un po’ di sano scetticismo congiunto a una ripassata di storia può servire alla bisogna.

Su una cosa sono d’accordo con i grillini (o ex grillini, o casaleggini, fate voi): non c’è un’emergenza razzismo improvvisa e tutta contingente dovuta al presente governo gialloverde (color caccola, diciamo).

Non c’è un’emergenza, perché:
1) non è un fenomeno iniziato solo adesso;
2) non costituisce un’eccezione a un andamento altrimenti diverso.

Che gli italiani non siano/fossero razzisti è un luogo comune coltivato a lungo anche a sinistra, allo scopo di mimare una ricomposizione nazionale dopo il trauma della seconda guerra mondiale.

Il trauma era stato la guerra, attenzione, non il fascismo. Il fascismo non fu una malattia acuta e improvvisa che colpiva un organismo di suo perfettamente sano (interpretazione questa cara a Benedetto Croce).

Il fascismo, nello stato italiano, ha rappresentato una perfetta “autobiografia della nazione”.

La “nazione italiana”, per come è stata costituita (perché le nazioni si costruiscono e si impongono, non sono un fatto di natura), aveva in sé fin dalla sua genesi ottocentesca il germe del nazionalismo reazionario.

Aveva in sé anche il disprezzo per le minoranze e la propensione al colonialismo più violento, sia interno sia esterno.

Non si è mai formata in Italia e tanto meno nelle sue colonie interne – come la Sardegna – una vera e propria classe dirigente.

Ideologie spicciole da piccolo-borghesi sempre impauriti, scarsa cultura politica, rapacità da parvenues, vanagloria da maschere della commedia dell’arte hanno sempre concorso a formare l’identità dei portavoce politici della classe dominante italica.

Con pochissime eccezioni, che emergono come casi meno imbarazzanti degli altri solo perché la media è sempre stata ben sotto la sufficienza.

Per di più, persino dopo il ventennio fascista, non si sono mai fatti davvero i conti con queste magagne congenite e lo stesso fascismo è stato superato di slancio con un colpo di spugna sulla lavagna della coscienza collettiva.

Un giorno gran parte degli italiani era fascista, il giorno dopo, per miracolo, antifascista. E tutti – almeno finché la decenza pubblica lo ha richiesto – avevano avuto un cugino o un nonno partigiano.

Da un po’ di tempo, tuttavia, questa narrazione di comodo è stata sostituita da un’altra, ancora più comoda.

In un contorcimento ben degno di Arlecchino e di Brighella, per più di vent’anni si è da un lato utilizzato lo spettro di Berlusconi come avversario legittimante di una classe politica debole, cinica ed eticamente mediocre; da un altro si è proclamata la necessità di una vera riconciliazione nazionale, di una “memoria condivisa”, e via blaterando, allo scopo di ri-legittimare ex fascisti e fascisti mai pentiti.

Nei fatti, più che nelle dichiarazioni, la politica italiana ha compreso benissimo il ruolo storico assegnatole dai processi in corso dopo il crollo dell’URSS.

Gli stati nazionali ereditati dai due secoli precedenti dovevano assumere il ruolo di gendarmi a guardia degli assetti di classe globali.

Perciò alla retorica della “fine della storia”, della “globalizzazione”, delle “terze vie” (liberiste, anti-popolari e anti-democratiche) dei socialismi occidentali, si è coniugata quella della tecnocrazia sovranazionale, dei “mercati” che gradiscono o non gradiscono questo o quello, del FMI, del WTO, della BCE e dell’UE medesima, ormai organismo esecutivo di queste robuste forze padronali.

E naturalmente si è ripreso a guardare con sospetto, se non con odio, tutte le istanze democratiche che sorgevano dal basso, specie se incardinate in una richiesta di autodeterminazione territoriale.

La sinistra istituzionale italiana, incarnata dagli eredi del PCI, dagli ex craxiani scampati alla mattanza giudiziaria dei primi anni Novanta, dai democristiani di sinistra (c’erano!), è stata prona e anzi partecipe promotrice di questo riassetto politico.

Molte scelte di natura autoritaria, xenofoba, anti-democratica sono state fatte nel corso degli ultimi venticinque anni non solo e non tanto da governi di “centro-destra”, ma da quelli di “centro-sinistra”.

I governi di “centro-sinistra” non hanno mai smantellato nemmeno le misure più destrorse dei loro esecrati (a parole) ma emulati (nei fatti) avversari.

Per restare in tema di xenofobia e razzismo, la continuità tra la legge “Turco-Napolitano”, la “Bossi-Fini” e le recenti decretazioni dell’ex ministro Minniti (PD) è precisa ed evidente.

Che nella lunga vigenza di questo dispositivo escludente e potentemente razzista sia riemersa in Italia una xenofobia di massa non può essere considerato sorprendente.

Gli episodi di stampo razzista e fascista non sono mancati, negli ultimi decenni. Basti pensare a quanto successo nello scorso anno solare, sotto un governo guidato dal PD.

Ciò che è cambiato ultimamente sono state un paio di circostanze.

Intanto già da tempo i mass media principali, quelli stessi che oggi gridano all’emergenza razzismo, hanno legittimato e fatto assurgere al ruolo di controparte un bellimbusto fascista senza particolari pregi, al di là di una certa astuzia e di uno spiccato cinismo, come Matteo Salvini.

Ospitate continue in tutte le trasmissioni di “approfondimento” giornalistico (le virgolette sono obbligate, abbiate pazienza), paginate sui quotidiani, una presenza ossessiva su tutte le riviste popolari di gossip e di varietà.

Ovviamente, per corroborarne la legittimità politica, non si sono lesinate aperture davvero inaccettabili a soggetti ancor meno ambigui nella loro collocazione criminale, come i due partitucoli affaristici di matrice esplicitamente fascista.

Un vero capolavoro di manipolazione dell’opinione pubblica.

Il cui scopo principale non era tanto indebolire le pulsioni di destra, reazionarie e razziste, ma il contrario: irrobustirle e renderle quanto più preoccupanti fosse possibile.

In tal modo l’establishment conservatore italico si procurava un sicuro vantaggio.

Se PD, Forza Italia e altri centri di potere collegati all’establishment e alle sue fazioni avessero vinto, all’opposizione ci sarebbero state delle forze palesemente impresentabili, facili da attaccare e delegittimare.

Se avessero perso, l’improbabile governo che ne sarebbe venuto fuori sarebbe stato ancor più impresentabile e facile da attaccare.

Naturalmente si trattava e si tratta di un calcolo totalmente idiota.

Intanto perché non tiene conto della volontà popolare, nelle sue diverse articolazioni e declinazioni. Errore tipico di chi ha un’idea esclusivamente elitaria e notabilare della politica e della stessa democrazia.

E poi perché sottovalutava la capacità di reggere la scena degli avversari di comodo con tanta sollecitudine allevati e promossi sul campo.

Ma in fondo non si tratta di un errore esiziale e tutto sommato, sotto sotto, è lecito sospettare che i più furbi della congrega abbiano fatto un altro calcolo ancora.

Che è quello che ci rovina.

Spostare ancora più a destra l’assetto politico, comprimere ancora di più gli spazi democratici, abbassare l’asticella del politicamente inaccettabile fino al livello “scarico fognario”, in fondo fa comodo a tutta la classe dominante italiana (e non solo).

Si tratta della declinazione italica della finta dialettica tra tecnocrazie globali e nazionalismi destrorsi, tra elitarismo padronale sovranazionale e sovranismi fascisti locali.

Fascimo e razzismo non sono mai fenomeni popolari. Questo va sempre sottolineato.

La retorica tanto cara a molti benpensanti di area PD secondo cui il popolo è ignorante, il popolo sbaglia, dunque bisogna abolire il popolo, è una retorica tipicamente reazionaria e – appunto – anti-popolare. Ossia, anti-democratica.

Ma le cose non stanno così, come la storia dovrebbe averci insegnato (un condizionale illusorio, mi rendo conto).

Fascismi e razzismi sono sempre strumenti della conservazione e dei padroni. Di chi possiede e controlla mezzi di produzione, risorse, territori, forza bruta.

Se vengono usati come contraltare di comodo è solo per legittimare comunque un assetto politico anti-popolare.

Sono i piccolo-borghesi impauriti, i padroncini aspiranti business-men, i cialtroni che campano di assistenzialismo e di espedienti ad alimentare il calderone della paura e dell’odio verso i diversi, i poveri, gli stranieri di cui razzismo e fascismo si nutrono. E sempre a favore dei padroni veri.

Quel che sta succedendo oggi in Italia (e in Sardegna) non ha nulla di sorprendente e nemmeno di particolarmente nuovo, a dispetto delle narrazioni interessate e spesso auto-assolutorie.

Caso mai la novità è rappresentata, a) dalla visibilità mediatica offerta a tali episodi (col rischio, dunque, dell’emulazione) e b) dalla legittimazione esplicita a livello governativo (non del tutto nuova nemmeno questa, per altro).

Per chi abbia a cuore la democrazia, una visione alternativa dei rapporti umani (compresi quelli socio-economici), la solidarietà tra popoli e tra territori, cambia poco. Si tratta di opporre una strenua resistenza ovunque e comunque, con tutti i mezzi necessari.

In Sardegna lo sforzo dovrà essere doppio, dato che l’egemonia culturale italiana sta semplicemente incrementando il suo tasso di pericolosità, ma secondo dinamiche ben note di neo-colonialismo e di deprivazione democratica.

Non facciamoci rinchiudere nella trappola di chi ha prodotto la situazione in cui siamo, a proprio vantaggio.

Opporsi risolutamente ai fascio-leghisti e a chiunque regga loro il moccolo (come il partito padronale della Casaleggio e Associati) non impone affatto di ri-cadere nelle braccia dei loro oppositori istituzionali.

Le lotte democratiche, sociali e culturali vanno fatte ovunque, specie dove tutta questa compagine anti-democratica non vorrebbe che le facessimo. E vanno messe in consonanza tra loro, in modo – in questo caso sì – sovranazionale e sovra-locale.

Teniamo accesi i cervelli e aperti gli occhi. Nessun fascismo, nessun autoritarismo prevarrà mai se non avrà il consenso di massa di cui abbisogna. Ogni voce critica, per quanto apparentemente isolata, è indispensabile. Ogni forma di mobilitazione democratica ha un peso.

No pasaran! No ant a colare mai!

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