Falsi conflitti contro dialettica storica reale: un capolavoro egemonico

Identità, appartenenze, lotta di classe, destra e sinistra: concetti difficili ma necessari che scompaiono sotto la narrazione egemonica dei mass media.

Ci sono cose che cambiano e cose che permangono. O che cambiano molto più lentamente. La vecchia lezione della “lunga durata” non finisce mai di essere valida. Applicarla al mondo di oggi sembra impossibile. Siamo ormai abituati alla “liquefazione” dei rapporti interpersonali, lavorativi, ludici.

L’identificazione delle persone avviene su vari livelli e muta al mutare del contesto e delle relazioni che si attivano al momento.

Per questo è più difficile applicare alle dinamiche sociali e politiche attuali lo schema della lotta di classe così come concepito nell’Ottocento della Rivoluzione industriale, della Transizione demografica, del colonialismo.

Oggi va di moda contestare la pertinenza della dicotomia politica destra vs. sinistra, con argomentazioni per lo più campate per aria. Ma non è tutto.

Nel momento in cui si cerca di togliere senso a questa coppia oppositiva si tenta di descrivere il mondo – dunque di incanalarlo – all’interno di altre coppie oppositive. Tutte di comodo, frutto di scelte prettamente ideologiche, quasi mai attinenti ad aspetti strutturali dell’esistenza.

Dobbiamo fare molta attenzione a queste semplificazioni bipolari. Non si tratta solo di modelli elementari, finalizzati a dar conto di fenomeni più complessi. La complessità bisogna assumerla fin dal principio come costitutiva della realtà, o diventa inconcepibile. Si tratta dunque di vere e proprie trappole.

Sappiamo quanto le cornici concettuali, i frame interpretativi, condizionino la conoscenza e la stessa conoscibilità della realtà che vorremmo comprendere tramite loro.

Pertanto, incastrarci dentro una di queste coppie oppositive fittizie condiziona pesantemente le nostre conclusioni, e finisce per condizionare le nostre stesse appartenenze e dunque le nostre azioni.

Ciascuno di noi ha un’appartenenza e un’identificazione complessa. Siamo tante cose insieme. Studenti o lavoratori, giovani o anziani, tifosi sportivi, militanti politici o disinteressati alla politica, religiosi o non religiosi, sardi, europei, occidentali (a fatica), ecc. ecc.

Conciliare tutte le appartenenze è difficile, se si affronta la realtà su una base dicotomica elementare, per di più esogena.

Non è detto che diffidare dei vari complottismi significhi bersi senza fiatare le asserzioni – spesso non meno incontrollate e nient’affatto neutrali – dei debunkers.

Non è detto che essere ostili al sistema di potere che ruota intorno al PD comporti necessariamente l’adesione al M5S.

Rifiutare il razzismo e lo “scontro di civiltà” non significa affatto negare rilevanza al problema delle migrazioni di massa e dell’accoglienza. Caso mai significa accettare di farsene carico, con spirito solidale e propositivo (che è ben diverso dalla stupida etichetta di “buonismo” usata dai razzisti). Il prossimo poveraccio ad avere bisogno di solidarietà potresti essere tu.

Osservare che la politica italiana è per sua natura corrotta e stabilire che la vera faglia sociale sia tra la “casta” e gli “onesti” è un ragionamento alquanto mal fondato. Per non dire una stupidaggine.

Bisogna stare attenti a qualificare come “imbecilli” internettiani quelli che sui social media esprimono idee o posizioni che ci sembrano discutibili. Specie se hai un ruolo intellettuale pubblico. Il primo dubbio in questi casi dovrebbe riguardare se stessi, il proprio apporto alla consapevolezza diffusa, non la pretesa stupidità altrui.

Contestare l’egemonia imperialista USA non significa per forza sostenere Putin e il suo regime autoritario. La massima secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico è foriera di gravi e pericolosi fraintendimenti.

Stigmatizzare l’impoverimento culturale generalizzato non deve portare necessariamente a negare validità alla democrazia e al suffragio universale, come si fa ormai, con troppa noncuranza, in molte discussioni.

Questi sono alcuni degli esempi possibili. In ciascuno di essi è assunta come costitutiva e “reale” la banalizzazione di fenomeni complessi dentro tali dicotomie schematiche. In nessuno di essi ha diritto di cittadinanza la nostra natura molteplice e stratificata, ciò che fa di noi quello che siamo.

Ciò che fa di noi quello che siamo sono le relazioni in cui siamo immersi, di cui siamo nodi. Dimenticarcelo è pericoloso. Pensare che non valga per tutti, produce false rappresentazioni della realtà.

Il nostro status socio-economico, la nostra sfera affettiva, la nostra appartenenza culturale, il nostro legame con i luoghi, i nostri gusti profondi: sono questi i fattori decisivi di quella che possiamo definire approssimativamente la nostra identità.

L’identità dunque non esiste di per sé, ma solo come intreccio di relazioni. Bisogna stare molto attenti a quali relazioni si reputano importanti. Non possiamo affidare ad altri la decisione di cosa sia a dar forma al nostro posto nel mondo.

E bisogna anche diffidare dell’individualismo. Chi pretende che abbia senso solo il rapporto diretto ed esclusivo tra individuo e mondo, senza la mediazione di tutte le forme di relazione che invece costituiscono la nostra individualità, probabilmente sta cercando di fregarci.

Per questo è indispensabile riconoscere che esistono distinzioni e appartenenze necessarie, attinenti alla realtà concreta, e distinzioni e appartenenze fittizie, fatte per distoglierci da quella stessa realtà.

Sotto la cappa ideologica e il bombardamento di informazioni parziali, tendenziose o del tutto false, comunque manipolatorie, esiste un nucleo solido di verità a cui dobbiamo sempre attingere.

Non si tratta di una verità assoluta e trascendente, sempre valida e inossidabile. È una verità umana, storica, solida ma soggetta alle leggi della mutazione universale, con maggiore o minore lentezza a seconda di quanto sia profonda e radicata.

Mentre le coppie oppositive di comodo si rivelano fragili, ad un esame attento e consapevole, altre distinzioni sono sempre valide e feconde, a parità di condizioni.

Finché esisteranno ricchi e poveri, oppressori e oppressi, avrà senso il discorso dell’eguaglianza e della libertà. Finché esisteranno sfruttati e sfruttatori, avrà senso il discorso del riscatto sociale. Finché il pianeta sarà in pericolo di diventare inabitabile a causa del pessimo uso che facciamo delle sue risorse, avrà senso il discorso ecologico.

Liquidare come obsolete le categorie politiche di destra e sinistra è una pretesa ideologica pericolosa, in un mondo in cui le diseguaglianze crescono, il rapporto di forza tra oppressi e oppressori si radicalizza, le élite mondiali si arrabattano per preservare il proprio status a discapito del resto dell’umanità e della biosfera.

La lotta di classe non ha perso senso, al contrario di quanto pretende l’ideologia dominante, fatta propria anche dai nuovi, sedicenti movimenti popolari (o populisti). Caso mai ha cambiato forma.

E lo stesso discorso dell’autodeterminazione – che non riguarda solo la Sardegna, come spero sia chiaro, ma riguarda certamente *anche* la Sardegna – ha a che fare molto più con questioni storiche concrete, con le nostre relazioni basilari, che con discorsi magari seducenti ma più sfuggenti.

Capisco che sia più facile disquisire della difesa dell’identità (in senso culturale), della nazione, dell’orgoglio delle origini o di altre mitologie più o meno pertinenti. Ma non sono affatto sicuro che questa sia la strada più congeniale per una possibile emancipazione collettiva.

Non nego che siano questioni che hanno un loro peso, ma non esistono di per sé. Sono a loro volta determinate da fattori più concreti e storicamente accertabili ed è a quelli che bisogna mirare per capire le cose e per poterle cambiare.

Stiamo attenti, dunque, alle cornici concettuali dentro cui inseriamo i discorsi politici. Non accettiamo quelle imposte dal potere (politico e/o mediatico) senza una sana dose di scetticismo.

Creare falsi bersagli, additare comodi capri espiatori è sempre stata l’arma vincente delle classi dominanti. A proprio vantaggio e a discapito della maggioranza della popolazione.

Questo vale a tutti i livelli, dalla Sardegna all’intero pianeta.

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