Ospito volentieri questo pezzo di Pier Franco Devias (Libe.r.u.) sul tema del rapporto tra democrazia, cultura e informazione, a partire dallo spunto offerto da una dichiarazione del leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo.
Pare proprio calzare a pennello questa massima dello scrittore latino Quinto Orazio Flacco per spiegare la questione dei “tribunali del popolo” di cui tanto si è discusso nei giorni scorsi.
Una proposta che, a parer mio, ha due sole interpretazioni di fondo.
La prima è che è stato un colpo da maestro di Grillo per distrarre l’attenzione dal fatto che solo un terzo degli iscritti al M5S ha votato per il nuovo codice etico, fattore di disinteresse molto preoccupante a cui è lecito pensare che i dirigenti del movimento desiderino dare il minor clamore possibile.
La seconda è che semplicemente non ha senso.
Premetto che in termini generali non ho niente in contrario a sottoporre al parere del popolo qualsiasi questione ma – e c’è un ma – a condizione che chi giudica abbia competenza per poterla giudicare. Altrimenti una proposta del genere è solo demagogia.
Mi spiego meglio.
L’Italia è uno dei Paesi del mondo con maggiore diffusione di analfabetismo funzionale, parliamo del 47% degli adulti tra i 16 e i 65 anni.
Le persone analfabete funzionali sono quelle che, in parole povere, sono capaci di leggere ma non riescono a capire pienamente ciò che leggono. Hanno ad esempio grande difficoltà a capire ciò che leggono in un contratto, nelle istruzioni, in libro o in un articolo di giornale ecc.
Se uno mi dice che vuole chiedere, tramite estrazione a sorte, a dei cittadini di giudicare la veridicità degli articoli dei giornali vuol dire che accetta di formare una giuria che per metà è composta da persone che non capiscono ciò che leggono.
Una condizione, peraltro, che le mette facilmente nelle condizioni di essere preda di complottisti e demagoghi che hanno tutto l’interesse di dipingersi come detentori di verità assoluta.
E immaginiamo poi che cosa ne può uscire fuori se l’articolo da giudicare si interessa di medicina, o di finanza o equilibri politici internazionali e se si pretende che giornalisti preparati e colti debbano essere giudicati da una giuria al cui interno c’è gente convinta che l’Islam sia uno stato africano pieno di zingari.
Con questo non intendo assolutamente dire – ci mancherebbe! – che i giornali dicano “la verità” (bel dilemma, poi, sapere che cos’è) ma voglio solo far notare che la proposta di Grillo è di un’inconsistenza disarmante. Ed ancora più disarmante visto che è fatta da una persona la cui intelligenza non è certo messa in dubbio.
Ma oltre al problema dei giudicanti impreparati a giudicare ce n’è un altro ancora più grosso: quello dell’interpretabilità della notizia anche vera.
Vi porto due esempi concreti per spiegare cosa intendo.
Primo articolo. La stampa internazionale mi dice che ieri un ex militare statunitense ha fatto una strage. Dice che sia uno squilibrato mentale in cura per traumi psicologici seguiti alla guerra in Iraq.
Secondo articolo. La stampa sarda mi dice che un ragazzo di 36 anni, alla guida di un’auto e con un eccesso di alcol nel sangue, ha investito e ucciso un ciclista.
Sono notizie “vere”? Sì.
Ma se ad esempio io volessi mettere l’accento su fattori diversi, magari cercando di influenzare per motivi miei l’opinione pubblica, avrei potuto dire ugualmente la verità ma spiegando le stesse notizie in questo modo:
Prima notizia. “Rambo” americano fa strage di innocenti. Nuovo massacro da parte di un bianco cristiano ossessionato dalla violenza.
Seconda notizia. Italiano ubriaco alla guida di un’auto sportiva uccide ragazzo nero. Per la legge può stare a piede libero.
Nessuna delle due notizie date da me, e volontariamente piegate al mio scopo, si può smentire come “falsa” in nessuna delle sue parti.
A questo punto dovrei prendere degli analfabeti funzionali e chiedere di interpretare una notizia che non capiscono ma giudicano vera o falsa in base alle loro opinioni?
Mi sembra evidente che la questione è piuttosto problematica.
Credo allora che la soluzione per contrastare la distorsione dell’informazione risieda sempre nella cultura, che deve essere un’arma nelle mani del popolo.
Negli ultimi decenni la cultura è sempre più trascurata dalla (cattiva) politica, perché le persone con una cultura hanno la capacità di interpretare e capire. Le persone con una cultura sono più difficili da fregare e non aspettano che qualcuno gli dica cosa è la verità: se la vanno a cercare.
Ma sebbene non condivido la soluzione, riconosco che la questione sollevata da Grillo non è da trascurare: oggi c’è effettivamente un grande, enorme problema nel mondo dell’informazione, dalla censura delle notizie scomode fino alla distorsione delle notizie.
Ma, ripeto, se una soluzione c’è, è da ricercarsi nella diffusione della cultura e non improvvisando tribunali estratti a sorte. L’informazione corretta si ha nella risposta competente che si confronta nei circuiti popolari, dai social alla piazza, passando per il bar tra amici fino alla tavola della propria casa, ma anche – perché no? – nei pochi spazi democraticamente messi a disposizione dagli stessi media. Almeno fino a quando saranno disponibili.
Dobbiamo costruire la forza dell’informazione competente e darle libero sviluppo contro lo strapotere dell’informazione faziosa, guidata. E soprattutto ben pagata.
Nel frattempo io, nel mio piccolo, continuo a seguire le mie vecchie regole basilari:
1) quando non ti piace un telegiornale non estrarre persone a sorte per far decidere se dice il vero: smetti di guardarlo.
2) quando non ti piace un giornale è inutile chiedere la testa del direttore: smetti di comprarlo. E’ il peggiore dispetto che gli puoi fare.
3) quando pensi che una cosa sia vera e una cosa sia falsa dillo. Dillo sempre, con tutta la forza che hai. E fregatene se qualcuno, fosse anche la stragrande maggioranza, pretende di importi cosa devi pensare.
Ottime argomentazioni, molto sensate.