In questi giorni l’attenzione dei mass media isolani e di una parte consistente dei sardi è concentrata sulla questione dei trasporti aerei. La compagnia privata Ryanair dismette alcune rotte da e per la Sardegna e causa uno psicodramma collettivo.
Certamente si tratta di un inconveniente serio. Perdere di punto in bianco più di una ventina di collegamenti non è uno scherzo. Ed è amaro constatare come in Sardegna viaggino più facilmente le bombe delle persone. Tuttavia il livello dell’allarme è non solo probabilmente eccessivo, ma anche fuori fuoco.
Fin qui le analisi, anche quelle più competenti (come questa e questa), si sono rivelate sì critiche ma parziali. Hanno concentrato l’attenzione quasi esclusivamente sul danno economico, soprattutto su quello al settore turistico, o su aspetti tecnici specifici dei trasporti aerei. Il succo di tali considerazioni è che c’è poco da appellarsi al buon cuore di un operatore privato, se non si pongono le condizioni interne, endogene, per l’appettibilità turistica della Sardegna.
Considerazioni ragionevoli, senz’altro. Da tempo, anche in questa sede, si sottolinea l’estrema aleatorietà del settore turistico sardo, tutt’altro che adeguatamente strutturato e ben lontano dal costituire un fattore economico consistente. La sua incidenza sul PIL sardo si aggira da anni intorno al 6-8%: percentuale ridicola, per una terra che si ostina a presentarsi come a vocazione turistica. Ed è innegabile che la base più solida per attirare flussi turistici è che abbiamo qualcosa di valore da offrire, a cominciare da servizi essenziali, cura del territorio e capacità di accoglienza: tutti elementi che bisognerebbe garantire prima di tutto ai residenti.
Ma il punto più rilevante dell’intera questione trasporti riguarda propriamente la negazione di un diritto civile e le sue conseguenze. Quando si parla di trasporti in Sardegna non va mai dimenticato che si parla prima di tutto di una necessità vitale delle persone e delle comunità nel loro insieme, quindi di un bene comune infungibile. Il diritto alla mobilità, la libertà di movimento, la possibilità di avere relazioni sistematiche con l’esterno sono elementi strategici fondamentali sia dal punto di vista puramente esistenziale, sia da quello socio-economico.
Le carenze dei trasporti interni ed esterni in Sardegna configurano una delle voci principali della nostra condizione di debolezza materiale e civile. Non avere una prospettiva strutturale in questo ambito, vivere alla giornata, da un’emergenza all’altra, facendo finta di cercare soluzioni, prevalentemente retoriche e/o cervellotiche, quasi sempre dispendiose, e comunque estemporanee, è gravissimo. Ma non è un caso.
La classe politica sarda, organica al meccanismo della nostra dipendenza, si comporta in questo ambito come in tutti gli altri. Tutti i settori socio-economici, tutte le tematiche di interesse generale sono affrontati secondo la medesima regola: non risolvere nulla. Non è tanto o solo un problema di incapacità. Chiaro, non è che a governare la Sardegna siano mai arrivati i più intelligenti della compagnia. La selezione del personale politico, così come di quello amministrativo, o di quello che dirige gli enti strumentali, e persino di quello intellettuale istituzionale, avviene sulla base della fedeltà e del rispetto delle regole di ingaggio. È un sistema rigido di controllo a cui ci si sottrae solo con estrema difficoltà e per vie ellittiche, spesso banalmente andandosene dalla Sardegna. Ma c’è anche una questione di volontà, di precisa determinazione a fare di tutto fuorché mettere mano davvero alla soluzione dei problemi.
Il contesto politico, massmediatico e culturale italiano in questo senso costituisce un ambiente favorevole. La mediocre classe dirigente sarda ha una sponda formidabile nei suoi mandanti oltremarini, come è inevitabile che sia. Anche per questo la necessità di poter contare su forze politiche non rappresentative di centri di potere extrasardi è evidente e strategica. La pretesa di poter fare qualcosa di buono per la Sardegna sostenendo partiti italiani o alleandosi con essi è un abbaglio, o un puro calcolo di convenienza egoista. Questa non è una valutazione di parte, ma un’evidenza storica e politica lampante.
La questione dei trasporti aerei insomma non può essere slegata da tutte le altre partite strategiche sarde. La giunta Pigliaru, così come quelle precedenti, ha fatto e fa quel che è chiamata a fare: garantire certi assetti di interessi e certi rapporti di forza. Se si presenta un elemento estraneo che li mette in discussione (in questo caso la comparsa di una compagnia low-cost spregiudicata e abile) lo scopo non è tanto quello di tenere in piedi un sistema di trasporto plurale e rispondente alle esigenze dei cittadini e della nostra economia, quanto evitare che vengano danneggiati i centri di interesse e di potere ai quali si risponde. Il diritto alla mobilità dei sardi o gli interessi del settore turistico in tutto questo hanno un peso marginale.
Tant’è vero che da un lato si tolgono i finanziamenti, sia pure indiretti, a Ryanair, ma dall’altro la RAS si guarda bene dal discutere la mole di denaro pubblico impiegato per tenere in piedi il baraccone fatiscente della “(dis)continuità territoriale”. E a nessuno che venga in mente di partire dai bisogni reali, dalle risorse in campo e da una progettazione intelligente per affrontare l’intera faccenda in modo strutturale e lungimirante. Le fantomatiche regole europee che consentirebbero o non consentirebbero questo e quello, a seconda di come gira il vento, sono evidentemente una patetica scusa.
Del resto, come il diritto alla mobilità, così hanno un peso marginale anche i diritti e le necessità dei sardi negli altri ambiti fondamentali, dal settore agroalimentare alla scuola, dal settore culturale, storico-archeologico e demo-antropologico allo sport, dal welfare all’acqua e all’energia. Tutti ambiti in cui c’è un tasso fisiologico di beni comuni da curare, salvaguardare e rendere fruibili, ossia da sottrarre alle rigide leggi del profitto e del mercato e a maggior ragione dalla rapacità di interessi privati esterni.
Sostenere che il problema della Sardegna sia l’insularità fa abbastaza ridere, dato che si tratta di una condizione data a cui rispondere adeguatamente, non di un problema contingente da scoprire di punto in bianco a stagioni alterne. Così come non si possono invocare a discolpa della nostra classe dirigente la nostra presunta, atavica incapacità a risolvere i problemi, o le nostre sbandierate tare genetiche, o qualsiasi altra patetica scappatoia di comodo fornitaci dal nostro mito identitario autocolonizzato.
A cosa serve del resto la politica se non a cercare soluzioni ai problemi di tutti? Temo tuttavia che la risposta che darebbe, in sincerità, la stragrande maggioranza del nostro ceto dirigente è: a sistemare se stessi, i propri familiari e i propri clientes. L’occupazione fondamentale degli esponenti politici e dei loro fiancheggiatori è il gioco del trono, dove però il trono è sì e no una comoda poltrona ben retribuita. Questo ai livelli bassi. Ai livelli alti si tratta di barcamenarsi tra interessi e giochi di potere più grandi, di cui ci si accontenta di essere tributari, senza mai rivendicare non favori e concessioni ma soggettività propria.
Aspettarci che la giunta Pigliaru o chi per essa si occupi del problema del trasporto aereo o di qualsiasi altra cosa all’infuori di questi canoni è una pia illusione. Il disegno complessivo a cui essa sta dando compimento è chiaro: la definitiva debilitazione materiale, culturale e civile della Sardegna. Più per ignoranza e miopia, forse, che per calcolo deliberato. Ma fa poca differenza, purtroppo. Le tendenze in corso parlano chiaro: spopolamento, impoverimento, ignoranza. Quando saremo ridotti, secondo le previsioni, a poche centinaia di migliaia di abitanti, vecchi, poveri e malati, il compito sarà a un passo dall’essere svolto. Da lì in poi sarà gioco facile.
Esistono altre strade? Certamente sì. Non so se siamo ancora in tempo per intraprenderle, ma certo non provarci sarebbe quanto meno poco dignitoso. E alla fine, se si rinuncia alla dignità, non è che rimanga molto altro da ricordare del nostro passaggio sulla terra. Se deve finire in malora, che almeno non si dica che non si è fatto niente per evitarlo. Forze virtuose e sane ce ne sono ancora. E il mondo per fortuna è più complesso e imprevedibile di un algoritmo o di un calcolo differenziale. Le giunte passano, anche quelle dei professori. Vedremo se, a dispetto della sua venerabile età, il nostro popolo saprà tirarsi fuori dai guai con le proprie forze. Di sicuro, su quelle e solo su quelle potrà contare.
Ciao Omar, confidando (con qualche sforzo) che discutere qui sia utile, soprattutto discutere muovendo ora dalle osservazioni che posso muoverti io, mi impegno a scriverti.
Nel quadro generale, generalissimo, la Sardegna precipita con l’Italia tutta in questa crisi economica che chiamiamo, a volte, mondiale, ma che è anzitutto europea e in particolare dell’Europa meridionale, cioè colpisce anzitutto quelle economie “occidentali” meno avanzate, meno solide, più assistite. Abbiamo ancora meravigliose tutele, lo stato sociale, che molti credono diritti intangibili, ma sono già solo sulla carta, sacrificate dalla ineluttabile assenza di finanziamenti, dal dover fare senza risorse aggiuntive, quindi minacciate da necessarie riforme che devono proporsi di negare anche formalmente quanto già viene negato, concretamente, dal portafoglio. In questo quadro, che direi di inevitabile arretramento delle tutele sociali a fronte di una concorrenza ormai irrifiutabile sui mercati mondiali con economie che producono a costi bassissimi perché lo stato sociale non solo non lo devono garantire, ma proprio non lo conoscono, in questo quadro, dicevo, chi è chiamato a governare nel meridione europeo non può che tentare di gestire questo arretramento, mirando al minimo di disordini sociali e alla salvaguardia, comunque, nonostante i ritocchi, del patto sociale.
Per quanto ti dispiaccia considerare la Sardegna insieme al “Mezzogiorno” d’Italia, sul piano degli effetti che risentiamo di questa crisi (oltre che, a monte, sul piano di altre caratteristiche economiche) noi siamo lì.
E, venendo così al nostro particolare, vorrei dirti che mi sembra ingeneroso (massimalista?) sparare sulla ignavia di tutti i politici regionali, indistantamente, come se noi sbagliassimo sempre a votarli, perché teniamo fuori i migliori (complice, certo, la nostra legge elettorale) o perché i migliori nemmeno li sappiamo portare a candidarsi. Ecco, questo sparare contro tutti non ti sembra, a ben vedere, forse, una di quelle generalizzazioni tossiche, da sardi debilitati (magari anche in parte esatta, come in parte possono esserlo allora pure le altre)? Possibile che in consiglio regionale (non oserò proporti di guardare anche nella Giunta) non ci sia nessuno che cerchi di agire negli interessi della Sardegna? E non riconoscerlo, non evidenziarlo e non sostenerlo, non finisce (pure questo) per affossarlo, anche concretamente, insieme a tutti gli altri? Da dove potrebbe saltar fuori, insomma, la salvifica dignità del popolo sardo? Sempre e solo, volta a volta, dal prossimo voto regionale agli indipendentisti uniti?
È un discorso, come vedi, che non guarda affatto al particolare della vicenda Ryan Air da cui ha solo mosso il tuo articolo, perché quanto a quello quel che ho capito da qualcuno che ne capisce illumina anzitutto sul pressapochismo e la superficialità, a catena, a partire dai nostri quadri tecnici più periferici, che non si interfacciano minimamente quanto dovrebbero con le istituzioni europee (continuiamo, d’altronde, a far espatriare i nostri laureati e questi aspetti difficilmente miglioreranno). Come evitare che il cane, mangiatasi tutta la coda, inizi a mordersi (sempre meno dignitosamente) anche il posteriore?
Sono tante questioni, Francesco, non una sola.
Non so, provo a risponderti per punti, non in ordine.
1) La questione indipendentisti sì, indipendentisti no è un falso problema e a me non interessa per niente. Non è questo il piano su cui si può discutere di politica sarda. E non ha alcuna rilevanza pratica, politica e tanto meno storica che le poche e sparute organizzazioni indipendentiste esistenti – la cui ragion d’essere ormai sfugge ai più, persino tra molti indipendentisti – si uniscano oppure no. Lasciamo perdere questa faccenda, dunque. Altra cosa è la questione della nostra autodeterminazione, che però esula dal destino degli indipendentisti e attiene alla sorte della Sardegna e dei sardi nel loro insieme.
2) La politica sarda fa schifo perché è selezionata e tenuta lì in quanto fa schifo. Tu dici: possibile che tra tutte le forze che stanno in consiglio regionale non si salvi nessuno? Ma è una domanda mal posta. Che ci siano alcuni singoli che si salvano, soggettivamente, non ha alcuna importanza. Il problema è che oggettivamente il nostro consiglio regionale non rappresenta interessi generali dei sardi e nemmeno interessi di classe, di settore, gli interessi di qualche esteso gruppo sociale. Questo sarebbe normale e fisiologico, ma a noi manca. Chi siede oggi in consiglio regionale ha come unico scopo la propria autoperpetuazione e a tal scopo deve necessariamente garantire, a chi ha il potere di metterli lì, la più ferrea fedeltà. Stiamo parlando di assetti di potere e di interessi del tutto specifici, parziali, quasi sempre in contraddizione con interessi più generali. La mediocrità della classe politica sarda non è un esito casuale e non ha nemmeno a che fare con una pretesa tara atavica dei sardi nel loro complesso, bensì è un effetto storico di cause a loro volta storiche, concrete, piuttosto ben individuabili.
Cos’è che si dovrebbe appoggiare di buono di quanto fatto finora dal consiglio e dalla giunta regionale? Ti assicuro che seguo con attenzione la politica sarda e sinceramente fino ad oggi non c’è stato un solo tema, un solo ambito che sia stato toccato in modo serio, disinteressato, lungimirante, nell’interesse dei sardi. Nemmeno uno. Energia, industria, trasporti, scuola, spettacolo, amministrazione locale, territorio e sua salvaguardia, spopolamento… Su tutto questo la politica ha detto molto e fatto anche qualcosa, ma sempre in modo o improvvisato, o balbettante, o pasticciato o dannoso. Guardo con curiosità al lavoro dell’assessore alla sanità, che mi sembra uno dei pochi che soggettivamente si salvino, ma anche lì vedo che non si parte mai dal rispondere al quesito principale, che è la salute delle persone. Si parla di tagli agli sprechi (da quanti anni se ne parla?), di razionalizzazioni, di adeguamento delle strutture allo spopolamento in corso, ma non viene minimamente affrontato il problema alla sua radice. E le manovre dei soliti marpioni della sanità sarda (i nomi sono abbastanza noti) proseguono. Dimmi tu se questo quadro non è a dir poco sconfortante.
3) La Sardegna fa parte del meridione dell’Europa, non certo o solo di quello d’Italia. E l’Italia tutta fa parte di questo meridione europeo. L’andamento della crisi globale ha il suo peso, ma sarebbe sciocco non riconoscere il peso che le decisioni politiche a livello locale hanno avuto e hanno ancora sulla distribuzione del peso di questa crisi. L’Europa è succube del modello tardo-capitalista e troppo tributaria alla politica estera USA, non c’è chi non lo veda. Ma naturalmente non ovunque gli effetti sono i medesimi. Perché? Perché in alcuni posti esiste una vera classe dirigente e nel tempo sono state allestite strutture socio-politiche e basi economche forti, sane, in grado di rispondere virtuosamente alle forze storiche in gioco. L’Italia non è tra questi luoghi. L’Italia purtroppo è un agglomerato disordinato di territori, spazi, culture, forme di relazione economica, ecc. tenuta insieme malamente, grazie alla solita, stantia ideologia patriottarda, da una classe dominante miope e rapace, nonché da concentrazioni di interessi esterni che, per i propri fini, hanno bisogno che esista lo stato italiano così com’è. La Sardegna è una porzione marginale e tributaria di questo accrocchio storico, senza peso né soggettività. Che cosa ne abbiamo guadagnato è sotto gli occhi di tutti.
Io non so cosa altro si possa fare in questo momento se non resistere, mantenere vivo il senso critico, avere sempre davanti la differenza tra il giusto e l’ingiusto, salvaguardare la propria dignità, diffondere anticorpi civili, fare uno sforzo di riappropriazione di una dimensione storica collettiva diversa, più sana, meno autocolonizzata, più responsabile, tenere in vita le reti di relazioni vitali e feconde di cui disponiamo. Per ora è così. Nel frattempo spero maturino forze economiche, sociali e civili in grado di dare le risposte di cui avremo bisogno entro la prossima generazione, non di più, o la vedo davvero brutta.