Non si sa che fare dell’ex carcere di Buoncammino. Ovviamente gli appetiti su un bene immobile del genere, 15mila metri quadri in piena città e in posizione panoramica, sono tanti, da quelli dello stato centrale, a quelli dei notabili casteddai, sempre ingordi di buoni affari a spese della collettività, fino a quelli dei centri di investimento internazionali.
Qualcuno lancia l’idea di un albergo extralusso. Un bene pubblico e di interesse collettivo verrebbe così alienato e ridotto a soddisfare un profitto privato. Qualcun altro invece ha proposto di farne un museo. Ecco, questa seconda proposta mi sembra la più saggia e lungimirante. Trasformare quel simbolo nefasto in un luogo di cultura, di racconto della nostra storia, sarebbe la giusta riformulazione di uno spazio fin qui destinato alla sofferenza e alla segregazione.
Buoncammino è un luogo speciale. Dalla sommità del colle si può spaziare con lo sguardo sia verso il Golfo di Cagliari, sia verso l’interno, verso i Campidani, il Sulcis e le propaggini del Gerrei e del Sarrabus. Il complesso dell’ex penitenziario è ubicato nei pressi del Castello e di diversi dipartimenti universitari. L’anfiteatro romano è là sotto, a pochi passi. Farne un museo dedicato alla civiltà dei Sardi sarebbe l’ideale.
Niente vetrina da archistar, magari, come era il pretenzioso Betile voluto da Renato Soru, ma una struttura moderna e funzionale, aperta verso la Sardegna e verso il mondo allo stesso tempo. Un museo in cui collocare non solo reperti archeologici, ma testimonianze diverse della nostra lunghissima e complicata storia, comprese quelle di natura demoantropologica e artistica (musica, arte, letteratura, cultura popolare, patrimonio linguistico). Un percorso illustrativo di cosa sia stata la Sardegna nel tempo e di cosa sia e possa essere.
Una introduzione per chi avesse voglia di saperne di più, anche, con un collegamento diretto alle tante strutture museali locali, a cui rimandare per approfondire la conoscenza di realtà culturali specifiche. Sono cose che si possono fare, senza grandi sforzi di fantasia. Se proprio ci mancassero le competenze, si potrebbe ricorrere senza paura a competenze esterne, a livello internazionale. Non bisogna essere etnocentrici in queste faccende.
Tuttavia, temo che una destinazione del genere sia l’ultimo dei propositi di chi governa la Sardegna. È un timore alimentato sia dalla consapevolezza di quali siano i veri interessi costituiti a cui risponde la politica sarda istituzionale, sia dalla conoscenza della mentalità specifica dei vari Pigliaru, Paci e compagnia professorale. Da un lato la rapacità speculatrice di chi ha denaro a posizioni di forza da far valere, dall’altro la ristrettezza culturale di chi concepisce il bene pubblico solo in funzione di quello privato, e la politica come mera gestione amministrativa. La “costante dipendentista” ci metterà del suo, poi. Chissà quali insormontabili difficoltà legali verranno accampate pur di non entrare in conflitto con il governo “amico” o con i generosi investitori stranieri! Al Fondo sovrano del Qatar magari avanza qualche spicciolo.
Questo tipo di situazioni è precisamente quello che mette alla prova la nostra politica. Molto più che le sceneggiate a favore di telecamera al seguito dell’inviato governativo di turno. Sappiamo che al di là degli annunci e della limitata libertà di decidere qualche misura contingente, buona forse a tamponare malumori troppo evidenti e poco telegenici, nessuno sarà mai messo a governare la Sardegna in nome e per conto dei Sardi. Non finché a dettare le regole e ad applicarle a proprio piacimento saranno partiti e centri di potere esterni all’isola o le loro succursali locali.
Il trattamento che riserviamo al nostro patrimonio culturale, storico, ambientale, urbanistico è la prima spia della nostra condizione di subalternità. Dai tempi in cui si abbattevano antiche mura, torri, castelli, palazzi, fino al saccheggio edilizio contemporaneo. Cagliari insegna. La lezione di Tuvixeddu non pare sia servita. Il destino di un’area come quella di Molentargius è un’altra amara lezione non recepita.
Spiace dirlo, ma in questo caso, a dispetto del toponimo benaugurante, prevale di gran lunga il pessimismo della ragione.
Ho sempre pensato a Bonucaminu come il luogo ideale per riportare in Castello il centro politico della Sardegna. Se Palazzo Viceregio dovrebbe essere un posto come minimo della Regione, così a Buoncammino potrebbe sorgere il parlamento sardo, quello vero, grazie al fatto che appunto si trova in un luogo magico, visibile e ovunque e di fronte alle montagne, al mare, alla pianura.
L’hotel di lusso, cosa di cui Cagliari avrebbe bisogno, lo facciano al posto dell’orribile edificio del Consiglio regionale. Dopo averlo abbattuto, naturalmente.
Esiste poi un compound fatto di antiche caserme, alcune case occupate, altre sede di un reparto mobile della polizia, un altro edificio ancora, ex-tribunale militare, dopo la sua dismissione occupato dalla prefettura invece che riconsegnato al demanio regionale, come imporrebbe lo Statuto sardo. Infine, la c.d. biblioteca militare, dall’altra parte del Viale. E’ un luogo in cui avrebbe un senso, prima di tutto simbolico, insediare edifici pubblici che abbiano un senso per la storia e la politica sarde.
Proposta affascinante. Del resto esiste una quantità di immobili ormai dismessi o in via di dismissione che andrebbe recuperata ad usi pubblici. Anche l’idea di eliminare quell’obbrobrio dell’attuale palazzo del consiglio regionale mi affascina molto.