La sentenza capitale sulla aspirante capitale

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Dice che ci sono rimasti male. Qualcuno aveva davvero sperato che Cagliari potesse essere promossa a “capitale europea della cultura” per il 2019, anno in cui tale ruolo spetterà all’Italia (sempre che esista ancora). La platea dei delusi è eterogenea: chi si aspettava di essere cooptato tra i beneficiari dell’evento, in caso di vittoria; chi ci sperava per motivi di convenienza politica; chi faceva semplicemente il tifo. Tutti rimasti con un palmo di naso, davanti alla designazione di Matera. Matera! Come si permette un’anonima cittadina della sperduta Lucania, quasi una bidda, senza manco una stazione ferroviaria, senza il mare, di fare cotanto affronto a una città come Cagliari?

Le reazioni alla notizia sono state gustose. Da chi l’ha presa con sportività, magari mugugnando un poco, a chi è passato direttamente alle maledizioni, a volte condite di teorie del complotto. Naturalmente ci sono stati quelli che se la sono risa sotto i baffi, magari solo per campanilismo ostile a Cagliari o per puro gusto del dispetto. È venuto fuori che molti l’avevano previsto, che andasse così. Come se contasse qualcosa. Il mondo è pieno di profeti del giorno dopo. Alcuni, più sobriamente, hanno valutato la questione nel merito e hanno provato a spiegare che, per come stavano le cose, tale risultato è del tutto giustificato.

Questo genere di iniziative, che coinvolgono soldi europei e vari interessi, non si svolgono sul piano delle simpatie e delle antipatie, delle valutazioni sentimentali o superficiali. Non era un concorso di bellezza e nemmeno un concorso per copywriter fantasiosi. Erano in ballo diversi progetti e quelli sono stati valutati secondo criteri precisi. Non si può recriminare, su questo punto. Se non sei disposto a perdere, non devi partecipare.

Al tanto che è già stato detto vorrei aggiungere un paio di ulteriori considerazioni, senza pretesa di originalità o di esaustività. Il progetto per come è stato impostato risulta molto debole già a una prima occhiata. A parte la propaganda – abbastanza di cattivo gusto – per l’amministrazione comunale di Cagliari e alcuni suoi sponsor, c’è una autoreferenzialità spaventosa. Manca del tutto la connessione col territorio extra-cittadino e sostanzialmente la Sardegna è assente dal progetto. Non c’è una visione dei Sardi e della Sardegna come soggetto storico che abita lo spazio geografico e politico europeo. Ma anche ciò che concerne nello specifico Cagliari è presentato con una superficialità estrema. Si evoca retoricamente l’antichità dei luoghi e la loro ricchezza culturale, ma si tratta di mere asserzioni apodittiche, buttate là senza argomentazioni, senza una contestualizzazione storica che le renda intellegibili e dunque più credibili come base per un progetto di sviluppo umano. L’asserito coinvolgimento delle forze vive e attive sul territorio, per quel che si sa, è rimasto grosso modo un proposito inevaso.

Noto che il termine “isolamento” compare quattro volte, nel progetto preliminare (l’unico a cui per ora si può accedere). Evocare l’isolamento (di una città portuale al centro del Mediterraneo occidentale) stabilisce già da sé la cifra provinciale e autocolonizzata di questa presentazione. Così come la rinuncia a sfruttare la diversità linguistica e culturale della Sardegna: un errore che ha del clamoroso e dell’autolesionistico. Ma del resto stiamo parlando di una città sarda, dalle forti radici mediterranee, che si offre sul mercato turistico presentandosi come una delle più belle città… italiane. Assente nel progetto anche la nostra storia nel suo insieme, dall’antichità, passando per il Medioevo giudicale, fino alla Rivoluzione sarda e ai movimenti culturali, sociali e politici della nostra contemporaneità. Il patrimonio storico-archeologico è nominato, ma non presentato e raccontato in tutta la sua rilevanza di patrimonio dell’Umanità: manca persino Tuvixeddu e la sua spettacolare necropoli (quello che si è salvato dalla speculazione edilizia). Non si è puntato sul ruolo strategico che la Sardegna potrebbe avere, una volta tanto non in senso geopolitico e militare. Un ruolo di intermediazione culturale, di accoglienza, di scambio, di sperimentazione di nuovi modelli produttivi, demografici, sociali.

Si scrive:

Cagliari offre all’Europa il suo clima, l’ospitalità, la sua storia e le sue tradizioni, e soprattutto scenari incontaminati sui quali tracciare un ricco e felicemente tortuoso percorso culturale, da costruire insieme.

E sembra di aver scritto qualcosa di interessante, di attraente. Si usano termini alla moda, si strizza l’occhio al lessico dell’innovazione, in voga sulle riviste patinate. Si assume la posa smart di chi non ha alcuna vera idea di sé ma ci tiene ad essere ammesso nel giro che conta. E lascerei stare l’enfasi ridicola con cui si torna continuamente sulle questioni urbanistiche. Sembrerebbe che l’unico vero progetto relativo alla città e al suo hinterland sia l’adeguamento della viabilità. Un po’ poco per suscitare gli entusiasmi della commissione giudicatrice.

Cianciare di destagionalizzazione del turismo ormai è una moda e non significa nulla. Del resto, nulla si fa per rendere tale possibilità un obiettivo concreto. Inoltre, ragionare sempre e solo in termini turistici, calibrando su questo settore (nei propositi sbandierati) ogni intervento e ogni progetto, è una stupidaggine che grida vendetta ai nostri numi tutelari, se mai ne avessimo. È a chi vive in Sardegna che si deve garantire uno standard di vita buono (infrastrutture, servizi, salubrità ambientale, istruzione, bellezza) e solo in seconda battuta, da questo stesso fatto, nascerà una maggiore appetibilità del nostro territorio in termini turistici. Nella valutazione del progetto questo era un elemento importante. Che non è stato colto nel suo senso più pieno, evidentemente.

La debolezza intrinseca di questa candidatura, insomma, non sta nel non aver risposto adeguatamente ai criteri di valutazione del concorso (lacuna per altro grave), ma prima di tutto, a monte, nel non aver capito affatto la potenzialità vera di un luogo come Cagliari, in connessione con una terra come la Sardegna, e dunque di non essere stati in grado di tradurla adeguatamente. Questo è un segnale di profonda ignoranza e di insipienza politica direi irrecuperabile. Che l’amministrazione comunale di Cagliari condivide con l’attuale governo regionale e con le forze politiche che dominano la scena sull’isola.

Non faccio mio il rammarico di chi, da un’eventuale vittoria di Cagliari, si aspettava delle ricadute comunque positive. Dubito fortemente che l’occasione sarebbe stata usata per consolidare il nostro patrimonio culturale e renderlo interessante per il resto del mondo. Del resto, abbiamo già una nostra produzione culturale di prim’ordine che supera i confini dell’isola. In campo artistico, in campo musicale, in campo letterario, in ambiti creativi e innovativi diversi, esportiamo talenti e cultura da un pezzo. Ma dove si trova tutta questa ricchezza nella visione che la politica cagliaritana e sarda riversa nella sua azione di governo? Se si volesse davvero fare della cultura un elemento strategico, un volano per la nostra risalita economica e sociale, non si dovrebbe agire in questo senso senza aspettare alcun concorso?

Io ritengo che sia un bene che Cagliari non abbia ricevuto il riconoscimento agognato. Non se lo merita. E non se lo merita la Sardegna. Non per le loro potenzialità, che sono enormi ed enormemente sottovalutate, frustrate, depresse; ma per la pochezza e l’ignoranza dimostrate da chi ci governa e da chi dovrebbe rappresentarci. Se doveva vincere il lavoro di squadra, la progettualità creativa, l’intelligenza collettiva, la proiezione verso il futuro, è sacrosanto che Cagliari non sia la capitale europea della cultura del 2019.

Cagliari e la Sardegna non devono aspettare riconoscimenti esterni, né devono cercare di farsi belle secondo le aspettative di uno sguardo ospite, dello sguardo osservante dell’Altro. O capiamo di disporre già di una enorme ricchezza e ce ne rendiamo degni, intervenendo subito sui nostri problemi strutturali, oppure non riusciremo ad arrestare la deriva di impoverimento materiale e immateriale che ci sta uccidendo. Se la mancata vittoria a un concorso si tradurrà in un momento di riflessione serio, potrebbe anche venirne qualcosa di buono. Personalmente, dubito che succederà.

AGGIORNAMENTO

È stato reso pubblico il documento completo e definitivo su cui è stata fatta la valutazione finale. Come ripromessomi, aggiungo qualche considerazione, alla luce degli approfondimenti che tale pubblicazione consente.

Nel complesso le critiche rimangono in piedi. Dal testo completo, però, emergono meglio la buona volontà sottesa ad alcune scelte e qualche buona intuizione. Buona volontà e buone intuizioni che però hanno pagato il prezzo della fretta (ricordo che a Matera ci hanno lavorato per sette anni di fila, alla candidatura). Maggiori approfondimenti avrebbero consentito di limare difetti, precisare contorni, elaborare meglio alcuni passaggi.

Mi sembra ancora un errore macroscopico non aver coinvolto l’intera isola dal progetto, privilegiando solo la sua parte meridionale (e neanche tutta). Un errore di natura strategica. Probabilmente ci sono delle motivazioni precise, anche pratiche, per questa scelta, ma rimane un elemento di debolezza, secondo me.

L’approccio alla questione linguistica, anche nella sua veste più elaborata, è molto carente.

In troppi passaggi è evidente lo sforzo di compiacere lo “sguardo osservante” e di conciliare fattori inconciliabili: la nostra diversità storico-culturale con l’appartenenza all’Italia e al suo ambito culturale; o l’enfatizzazione dell’isolamento e della marginalità con la pretesa di centralità e apertura. È anche evidente il tentativo in direzione di una rottura dei paradigmi (intento esplicitamente dichiarato), ma, forse – ripeto – anche per il poco tempo a disposizione, tale sforzo è rimasto senza un esito compiuto. Ecco, l’idea che rimane alla fine è quella di una incompiuta. Quasi bella, ma non abbastanza.

Salta agli occhi la discrepanza tra il livello di questo progetto e la debolezza della classe dirigente (chiamiamola così) sarda, specialmente nella sua componente politica. E non mi riferisco qui in particolare alla giunta comunale di Cagliari o alla attuale giunta regionale. Immaginiamo come sarebbe potuto essere questo percorso se tante delle cose scritte nel progetto fossero state affrontate dalla politica negli anni scorsi. Immaginiamo quanto sarebbe potuto essere più appetibile se alcune carenze strutturali e infrastrutturali (trasporti, viabilità, sistema dell’accoglienza, valorizzazione del patrimonio storico-culturale, istruzione, ecc.) fossero state quanto meno avviate a risoluzione. Si dirà: ma a quel punto la Sardegna sarebbe stata diversa da come è. Infatti. Il che dovrebbe essere il compito della politica, di per sé, non in funzione di un progetto esogeno, sia pur prestigioso.

Ribadisco l’impressione – uscita più forte dalla lettura dell’intero dossier – di molte buone cose da salvare e di diverse acquisizioni da reinvestire. Probabilmente anche imparando ad essere all’altezza degli standard internazionali richiesti. Cosa che possono fare tante persone e tanti soggetti già oggi in Sardegna (o nella nostra diaspora), ma di cui la nostra politica – temo – non è affatto all’altezza. Confido che il dibattito prosegua, possibilmente in termini pacifici e proattivi.