Ha fatto discutere la diatriba tra l’assessorato regionale al turismo e l’azienda produttrice del Grana Padano, per lo slogan scelto dal primo nella campagna promozionale in corso. Più che altro si è sottolineata la gaffe in cui è incorso l’assessore Crisponi accusando l’azienda italiana di plagio ed esponendosi così a una smentita elegante quanto bruciante. Certo, la Sardegna non ci fa una gran figura. L’etichetta da provinciali alle prese con qualcosa di più grande di noi si fa presto a guadagnarla.
La dubbia efficacia di una campagna del genere, del resto, è facilmente comprovata dai numeri fallimentari del turismo sardo degli ultimi tre anni. Inutile spendere soldi pubblici in campagne pubblicitarie in grande stile quando, essendo un’isola, disponiamo di un sistema di trasporto assurdo, costoso, scomodo e totalmente slegato dalle esigenze del territorio a cui è rivolto. Vecchia storia, si dirà. Sarà anche vecchia ma rimane irrisolta e purtroppo sempre attuale. Svegliarsi oggi per esultare di una tardiva sentenza dell’Autorità antitrust italiana, fuori tempo massimo e del tutto insufficiente quanto a risultati concreti, è patetico. Confidare di recuperare quanto perduto come quote di mercato con le annunciate riduzioni delle tariffe della sola Tirrenia è ridicolo. Il turismo è un’industria che non si improvvisa e non si struttura da un mese all’altro. O è un sistema integrato che funziona sul lungo periodo o semplicemente non esiste. Infatti in Sardegna il turismo non esiste.
Tuttavia mi pare significativo anche un altro aspetto delle faccenda, collegato con quello più evidente, ma non evocato nelle cronache e nei commenti. Lo slogan prescelto recita “La Sardegna, tutta un’altra storia”, alludendo alle nostre bellezze, ai profumi, ai sapori e via elencando. Una narrazione che strizza l’occhio al turista occasionale e che si riduce a folklorizzazione commerciale delle nostre risorse. Poco importa che quasi tutto ciò che mangeranno i nostri visitatori arrivi da fuori e che in certe aree dell’isola i profumi non siano esattamente quelli del timo e del mirto, ma quelli del benzene o di altre porcherie generosamente distribuite dai nostri poli industriali o militari. Senza dimenticare lo spettacolo di sacchetti di plastica e immondizie assortite che decorano pressoché tutte le banchine delle nostre strade extraurbane.
L’aspetto più curioso e che secondo me merita maggiore attenzione è proprio quello semantico. Perché dire che la Sardegna è tutta un’altra storia potrebbe essere anche uno slogan appropriato, se solo fosse connesso a qualcosa di concreto, a un valore reale. La Sardegna è veramente un’altra storia, nel senso che è una terra che ha una profonda stratificazione storica e culturale, che ha prodotto civiltà nel corso dei millenni ed ha partecipato comunque a tutte le maggiori correnti della civilizzazione europea e mediterranea. I segni di questa storia “altra” ci sono e sono evidenti. Così come è evidente il retaggio culturale annesso (nella musica, nell’arte, nell’artigianato, nella letteratura, ecc. ecc.).
La nostra ricchezza non è il cemento sparso a piene mani sulle nostre coste o le buffonate folkloristiche allestite per i turisti vip dei Monti di Mola o di qualche resort extraterritoriale del sud dell’isola. Non sono i campi da golf che vogliono costruire su un tratto meraviglioso del nostro territorio come Tentizos, sulla costa di Bosa verso Alghero. Non sono il mare bello (che c’è anche altrove e a minor costo) o la cucina “tipica” (per lo più inventata di sana pianta negli ultimi cinquant’anni e persino più di recente). E non lo sono di sicuro nemmeno i servizi inesistenti, la rete stradale e infrastrutturale interna deficitaria, la scarsa capacità di accoglienza di molte località che si vantano di essere turistiche, la nostra stessa incuria per le nostre città e i nostri paesi. La nostra ricchezza sono il nostro patrimonio storico-archeologico unico al mondo, la nostra lingua sarda (e le altre nostre lingue storiche), l’arte di cui è piena la nostra terra, l’integrità ambientale di vasti tratti di territorio “non turistico”, lo spirito genuino di condivisione e di ospitalità spontanea che anima le nostre comunità, fuori dagli stereotipi etnici e dalle grandi feste comandate da turisti di noi stessi. Eppure non è a questo che lo slogan si riferisce.
Tutto ciò manca nella promozione turistica della Sardegna. Non c’è traccia di una consapevolezza del valore di cui disponiamo, né di una pianificazione che debba costruire un sistema economico e culturale che sfidi le mode contingenti. Perciò dire oggi che la Sardegna è tutta un’altra storia non significa solo copiare uno slogan abbastanza banale, ma anche sottolineare – in negativo – che in realtà siamo qualcosa di molto poco attrattivo rispetto ad aree dell’Europa e del Mediterraneo dove il turismo è davvero una risorsa economica e sociale. Se non sappiamo nulla di noi stessi e non siamo nemmeno coscienti del valore delle nostre cose, come possiamo pensare di attirare la curiosità altrui? E se proprio dobbiamo copiare, impariamo almeno a copiare bene.