L’ignoranza al potere

Nello stesso momento in cui, trovandosi in estrema difficoltà politica, la giunta regionale sarda sbandiera velleità conflittuali verso il governo italiano, si esime significativamente dal costituirsi parte civile nel processo contro l’associazione a delinquere che lucrava sui grandi appalti pubblici alla Maddalena, per la riunione del G8 del 2009 (quella poi spostata all’Aquila da Berlusconi).

La vicenda è abbastanza nota. La grancassa mediatica propalava allora la fantasmagorica concessione del “governo amico” al neo-presidente sardo, quello che doveva farci tornare a sorridere: organizzare nell’arcipelago gallurese l’incontro del G8 in modo da ristrutturare le aree abbandonate dalla marina statunitense e rivitalizzare così il tessuto economico locale. Il vero scopo, a quanto è emerso dalle indagini, era invece appropriarsi di una mole ingente di denaro pubblico e foraggiare imprese amiche, in un gigantesco vortice di corruzione, concussione, malversazioni, inquinamento e inefficienze assortite.

È la stessa vicenda nel corso della quale il medesimo Cappellacci, al telefono con uno degli inquisiti, lamentò seraficamente che la bellezza della Sardegna è deturpata dall’incomoda presenza dei sardi (che sarebbero il vero problema, dunque, non le porcherie perpetrate ai nostri danni). In definitiva, Cappellacci decide di non mettere se stesso e la Sardegna contro personaggi potenti a cui è in varia misura e a vario titolo legato, anteponendo opache complicità politico-affaristiche all’interesse generale della collettività che rappresenta e governa.

La rinuncia a costituirsi come parte nel processo è un atto gravissimo che da solo basterebbe a condannare politicamente Cappellacci e i suoi sodali, nonché a decretarne l’ignominia perpetua nella memoria collettiva. E magari fosse un caso isolato! Non dimentichiamo che la giunta regionale è riuscita a non costituirsi parte civile anche nel processo di Lanusei sull’inquinamento nel Salto di Quirra (in quel caso per un “provvidenziale” ritardo). Ma l’elenco sarebbe lungo.

Non possiamo però cadere dal pero e indignarci a comando, senza porci il problema del perché siamo ridotti a questo grado di squallore conclamato. La superficie della cronaca spesso nasconde i complessi meccanismi storici che ne stanno alla base, anziché contribuire a svelarli.

Una delle cose più importanti da fare è connettere le informazioni. Persino i mass media sardi, così malandati e piegati al gioco degli interessi di parte, offrono materiale sufficiente a capire come vadano le cose. Basterebbe mettere insieme quest’ultima notizia con quella relativa al processo per peculato cui saranno rinviati diversi consiglieri o ex consiglieri regionali e con le mirabolanti dichiarazioni di Giorgio Oppi della settimana scorsa, per avere un quadro non esaustivo ma decisamente esplicativo di come funzioni la politica sarda e del perché la nostra condizione materiale e morale sia così meschina.

A questo bisognerebbe aggiungere uno sguardo più ampio sulla nostra vicenda collettiva nel corso del tempo, per reperire le cause profonde di fenomeni che non nascono da fattori contingenti o da motivi casuali. Così è inevitabile oggi evocare un autunno di 165 anni fa, precisamente un 29 novembre, allorché da Torino giunse la risposta del re Carlo Alberto, in procinto di promulgare il suo statuto, alla fazione liberale della classe dominante sarda che gli aveva chiesto la sostanziale annessione della Sardegna al Piemonte e agli altri possedimenti della terraferma. La risposta fu positiva, la Sardegna otteneva così la Perfetta Fusione.

La coincidenza delle date è un fatto casuale, senz’altro, ma non è casuale ciò che esse rappresentano, i processi e gli eventi che esse richiamano. Che il governo regionale sardo oggi non si faccia valere in giudizio, come non si è mai fatto valere su nessuna questione in 65 anni di autonomia, a tutela dei diritti collettivi dei sardi, ha a che fare con quella scelta scriteriata fatta nel 1847 da un ristretto manipolo di funzionari e intellettuali desiderosi di affermazione personale e di casta. La rinuncia della classe dominante sarda a farsi classe dirigente nazionale in senso moderno sta alla base tanto della richiesta di Perfetta Fusione, quanto della debolezza e dell’accondiscendenza subalterna sempre mostrate in seguito verso gli apparati di potere italiani.

E dire che la concessione della Fusione ci mise poco a rivelarsi per quello che era: una forma ancor più esplicita di sottomissione della Sardegna agli interessi esterni. Nemmeno i suoi promotori ci guadagnarono granché. Da lì nacque il primo pensiero autonomista dei vari Siotto Pintor, Tuveri, Asproni, Fenu. Posizioni critiche che andavano da quelle più moderate a quelle sostanzialmente indipendentiste. Tra costoro, anche chi ufficialmente proclamava tesi moderatamente autonomiste e federaliste, spesso in privato si lasciava andare a considerazioni ben più radicali (pensiamo a un Asproni). In certi casi la coscienza dell’errore fatto portava a conclusioni radicali, che dovevano essere attenuate con formule retoriche studiate, onde non incappare in misure repressive che certo non andavano per il sottile, attenendo a fattispecie vicine al tradimento e alla sedizione.

Sarebbe già tanto che si ragionasse serenamente e con cognizione di causa di questi fatti e delle loro conseguenze, senza la cappa conformista ed edulcoratrice che ammanta sempre la nostra storiografia ufficiale. Non lo si fa, per evidenti motivi di convenienza. Difficilmente del resto un Asproni o un Fenu accetterebbero di essere chiamati in causa come ispiratori della messinscena politica che è stata l’autonomia regionale sarda. Tanto meno, sospetto, accetterebbero di essere associati a qualsiasi titolo a personaggi come quelli che imperversano oggi nello scenario politico nostrano.

Nondimeno, gli errori compiuti allora si riverberano giocoforza su di noi, nel nostro presente. La storia non procede a salti né dimentica. I fatti, le relazioni, l’assemblaggio dell’immaginario collettivo, le narrazioni dominanti hanno un’inerzia che supera in durata e profondità i singoli individui e le categorie sociali che nel corso del tempo incarnano i processi storici. Il che potrebbe addirittura suonare come una sorta di attenuante per i nostri politici attuali, quelli che oggi decidono per noi, se non fosse che nessuno può essere lasciato indenne dalle conseguenze delle proprie scelte, specie se esse coinvolgono un intero popolo.

Ripensando a quel novembre di 165 anni fa assumono significati più profondi e se possibile più preoccupanti le scelte della politica sarda attuale. Tanto quelle della maggioranza quanto quelle della presunta opposizione, entrambe legate a interessi e centri di potere esterni e variamente ancorate al comodo ruolo di podatari, di esecutori per conto terzi. Ma così come niente accade per caso e nessuno sviluppo storico può prescindere da ciò che lo precede, allo stesso modo è anche vero che non esiste un destino già scritto e che niente ci impone di rassegnarci alla decadenza. Basterebbe già solo essere consapevoli del nostro passato e compiere scelte diverse.