La logica del sangue

Trovo ingiustificabile e ormai offensiva la retorica dell’orgoglio militaresco come compensazione della subalternità materiale e spirituale. Trovo insopportabile che, mentre la classe politica sarda si piega a qualsiasi vessazione pur di non giocarsi il proprio ruolo di intermediazione tra interessi esterni e tessuto socio-economico sardo (a vantaggio dei primi, chiaramente), si usi la partenza per la guerra di alcune centinaia di giovani sardi come arma di distrazione di massa e come fonte di identificazione servile (sempre a vantaggio dello status quo).

Non c’è niente di glorioso nel fare la guerra, specialmente questa guerra. Non c’è nulla di cui andare fieri e non c’è nemmeno alcun vanto possibile nel mettersi al servizio di un Patria che è nostra solo nella misura in cui accettiamo il ruolo di propaggine periferica, impoverita, succube e sacrificabile.

L’ennesima partenza per il fronte della Brigata Sassari è una circostanza luttuosa che richiama alla mente altre circostanze luttuose, su cui è stata costruita la nostra condizione strutturale di infelicità. Ed è un’offesa alla dignità dei sardi presentarla come una sorta di riscatto morale indispensabile per poter stare al mondo, per non doverci vergognare di noi stessi.

Non è quella la strada, fratelli e sorelle, non è da lì che verrà alcun riscatto possibile. Lasciamo l’Italia alle sue guerre ridicole (nelle ragioni che le giustificano e nella retorica che le accompagna, non negli effetti sugli esseri umani purtroppo), alla sua cinica ed interessata accondiscendenza verso i suoi padroni. Noi non dobbiamo e non possiamo essere così. Mi piacerebbe che un giorno, molto presto, non lo volessimo nemmeno.