C’è un nesso tra il fatto che Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni sia pubblicato in arabo e l’esibizione (pare compromessa dalla pioggia) delle “frecce tricolori” a Cagliari? E tutto ciò ha a che fare con il divario sempre più evidente tra i problemi reali dei sardi e il colpevole fatalismo – non si sa se più dovuto a ipocrisia, a dabbenaggine congenita o a dolo – della politica sarda?
Forse un nesso tra tutte queste cose esiste e compone la trama di una realtà storica complessa e articolata, su cui però insiste un ordito approssimativo, maldestro, sbagliato. L’ordito della narrazione di noi stessi da cui dipendono i nostri processi di identificazione e conseguentemente molte nostre scelte e prese di posizione.
La Sardegna esprime già da un pezzo una grande produzione di “senso”, creatività e talenti che si affermano nel mondo, in virtù della ricchezza e originalità culturale che rappresentano. Musica, arte, letteratura, persino scienza: tutti ambiti in cui la Sardegna di fatto è incontestabilmente una realtà storica a sé, è già indipendente e quindi interdipendente. Il ribaltamento di visione attuato da Sergio Atzeni, la sua “rivolta dell’oggetto” realizzata, continua a farsi largo, da quindici anni, tra le mode passeggere e i fenomeni culturali stagionali, per lo più creati e gestiti dall’apparato dei mass media italiani, assolutamente egemonici in Sardegna. E così Passavamo sulla terra leggeri si fa oggetto letterario glocale, portandosi appresso nel mondo tutte le connotazioni emancipative – anche in senso politico – di cui è fecondo.
E i sardi, intanto, che fanno? Stanno col naso in su, magari a costo di prendersi un acquazzone, per assistere allo spettacolo delle Frecce tricolore. Lo stesso tricolore propinatoci in tutte le salse (dalle scuole, alle televisioni, dalle piazze alle pizzerie) in tutti questi mesi, con compulsività che sarebbe certamente patologica, se non dipendesse da un lineare disegno egemonico.
Niente di strano che tra questi due estremi fiorisca il nonsenso. Il nonsenso di una terra che deve affrontare di continuo gli stessi identici problemi da due secoli, di una terra che non trova mai pace, prima di tutto con se stessa, che sia per via delle speculazioni cementifere o per via degli incendi o per via della dolosa negligenza nella cura della nostra storia e del nostro patrimonio archeologico.
Una timida protesta, totalmente subalterna e servile e nient’affatto impegnativa, rivolta al governo italiano a proposito della faccenda dei radar costieri, non salva il consiglio regionale e le forze politiche che vi siedono dalla pesantissima responsabilità di non avere la minima idea e forse la minima volontà di operare per il benessere e gli interessi dei sardi. Di non avere uno straccio di progetto su energia, infrastrutture, trasporti, sanità, scuola e università, lavoro, cultura, ecc.
Così, piuttosto che rovinarsi la carriera e compromettere i propri privilegi, o il proprio quieto vivere, o anche solo sforzare il cervello in un tentativo di comprendere le ragioni dei nostri guai, molto meglio occuparsi delle scie chimiche o di come chiudere bene la porta quando si esce di casa, onde non favorire i topi di appartamento (due servizi realmente passati al tg di Videolina in queste settimane), oppure esaltarsi nella contemplazione ipnotica del tricolore italiano sparato nel cielo da aerei militari, mentre a poche centinaia di chilometri da noi la guerra c’è davvero.
Quando cominceremo ad esercitare seriamente un minimo di senso critico verso i dispositivi egemonici da cui siamo “agiti”, da cui lasciamo conformare la nostra percezione di noi stessi, sarà stato fatto un passo decisivo verso la nostra emancipazione storica collettiva.