Siamo sicuri?

Ieri è successo un incidente sul lavoro. Sono morte tre persone. È successo nella più grande raffineria del Mediterraneo. Il complesso industriale è di proprietà della famiglia milanese dei Moratti. La società cui fa riferimento tale complesso industriale è la SARAS.

La SARAS e i Moratti sbarcano in Sardegna negli anni Sessanta, grazie ai finanziamenti derivanti dalla Legge 588 del 1962, il cosiddetto Piano di Rinascita. La famiglia Moratti contemporaneamente finanziava più o meno direttamente la squadra di calcio del Cagliari, consentendo che essa si affermasse nel panorama sportivo italiano, fino a vincere il campionato di serie A del 1970. Parallelamente, l’altro capitano di industria dedito agli investimenti (con soldi pubblici) in Sardegna, Nino Rovelli, finanziava la squadra di basket del capoluogo sardo, tanto da portarla sino ai play-off del massimo campionato cestistico italiano.

Ma cosa venivano a fare i Moratti e i Rovelli in Sardegna? Perché sembrava vantaggioso impiantare industrie pesanti, chimiche o petrolchimiche, nel contesto di un tessuto produttivo largamente pre-industriale, a vocazione prevalente agro-alimentare e, allora ancora in prospettiva, turistica? E perché tale investimento doveva sembrare vantaggioso anche allo Stato italiano, che lo favoriva e finanziava? Be’, una risposta la si trova nella relazione di maggioranza della Commissione parlamentare di inchiesta presieduta dal senatore Giuseppe Medici, commissione che concluse i suoi lavori nel 1972. Era una commissione dedicata alla criminalità in Sardegna (problema allora piuttosto difficile da gestire, per gli apparati di controllo e repressione dello Stato), le cui conclusioni individuavano nel settore produttivo agro-pastorale e nella cultura ad esso legata la causa prima dei fenomeni di devianza sardi. Causa che quindi era necessario rimuovere (insieme alle sue sovrastrutture e all’universo simbolico che ne scaturiva) per poter risolvere alla radice il problema. Soluzione ideale era quella di imporre sul territorio interessato una cultura diversa, fondata su un sistema produttivo radicalmente alternativo a quello vigente. Da lì nacque il cosiddetto Secondo Piano di Rinascita e venne impiantato il complesso chimico di Ottana (NU).

Ciò che si evince dai risultati della commissione Medici fa luce anche sui motivi che avevano spinto lo Stato a privilegiare l’industralizzazione pesante dell’Isola: la necessità di gestire una situazione sociale, economica, culturale che minacciava di sfuggire al controllo. Ossia, il progresso economico e civile dei sardi non fu mai lo scopo principale di tali operazioni, se non in via indiretta ed eventuale. La depressione culturale, demografica e produttiva in cui versava la Sardegna ancora nel secondo dopo-guerra, nonostante l’estirpazione radicale della malaria a base di dosi massicce di DDT (grazie ai denari della Fondazione Rockfeller, ricordiamolo, non certo per intervento diretto dello Stato italiano) non aveva prodotto alcuna conseguenza positiva. Il comparto turistico era di là da sviluppare, il sistema bancario da diffuso e tendenzialmente di tipo cooperativistico che era (con una tradizione secolare alle spalle) fu trasformato in un sistema monopolistico (fondazione del Banco di Sardegna, banca statale: 1953), il comparto agro-pastorale, dopo una prima intenzione di favorirlo sugli altri settori economici, era stato abbandonato a vantaggio delle industrie pesanti.

Il fallimento totale di tutto l’impianto strategico dei Piani di Rinascita e i loro limiti culturali e ideologici  sono ormai evidenti a tutti, a voler esercitare un minimo di onestà intellettuale e politica. Quel che è rimasto, dopo le chiusure degli impianti di Porto Torres e di Ottana e lo smantellamento in atto del polo industriale del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, è appunto il complesso petrolchimico della SARAS di Sarroch (CA). L’intera popolazione della zona vive di petrolchimico, direttamente o per l’indotto. Posti di lavoro, dunque. Posti di lavoro la cui retribuzione può essere considerata sufficiente solo in una zona dal costo della vita relativamente basso (fino a qualche tempo fa) e senza grandi alternative economiche. Il costo complessivo di questo compromesso è stato a lungo accettato: devastazione ambientale pressoché irrimediabile, salute pubblica a rischio (vedasi affaire centraline “taroccate” di qualche mese fa e i ripetuti incidenti a depuratori e scarichi vari), pericolosità del lavoro. In proposito, da qualche mese, sta circolando semi-clandestinamente un bel documentario autoprodotto, intitolato Oil, di Massimiliano Mazzotta: un’inchiesta puntuale e circostanziata sulla SARAS di Sarroch e quel che succede intorno ad essa. Film a rischio scomparsa, vista la richiesta di sequestro formulata dalla SARAS medesima (il che, se ce ne fossero, dirada i dubbi sulla portata del lavoro documentaristico, evidentemente troppo ben fatto!). L’insostenibilità della situazione, che vede i costi scaricati su popolazione e territorio in base ad un chiaro ed esplicito ricatto occupazionale, a fronte di profitti largamente dirottati lontano dalla Sardegna (parte dei quali reinvestiti in imprese sportive), diventa ogni giorno più evidente. Il territorio ha una vocazione agricola e turistica di grandissimo valore potenziale, ancora inespresso. Le alternative alla morte sul lavoro o alle malattie diffuse per qualche busta paga da 900/1000 euro al mese esistono.

Per quanto ancora la situazione potrà rimanere immutata? Siamo sicuri che il futuro della zona e dell’intera Sardegna sia legato a industrie obsolete, pesantemente inquinanti e pericolose per la popolazione? Siamo sicuri che non sia possibile un altro modo di vivere e di rapportarsi con la terra che ci ospita? Siamo sicuri che valga la pena di accettare la deprivazione economica, culturale e civile generata dai meccanismi distruttivi del capitalismo più bieco? Siamo sicuri che esista ancora una dignità collettiva da difendere e, se sì, che la strada intrapresa sia quella giusta? Siamo sicuri che stiamo restituendo ai nostri figli e nipoti un bene insostituibile che avevamo in prestito da loro e che dovevamo mantenere integro? Siamo sicuri?