La festa della repubblica che ripudia la guerra

2 giugno, festa della Repubblica. Vagonate di retorica e di dichiarazioni spesso surreali, in una circostanza in cui al governo della medesima repubblica ci sono i nostalgici del regime contro cui la repubblica nacque.

La repubblica italiana si fonda sulla sua costituzione e anche a proposito di questa “norma fondamentale” si sprecano discorsi celebrativi e richiami pretestuosi. Ci tornerò su.

L’Italia è un pastrocchio storico senza molto senso e la sua radice truffaldina, anti-popolare e autoritaria produce continuamente nuovi virgulti velenosi. È un problema strutturale, insomma, che esisterà finché esisterà lo stato italiano. Con buona pace dei “nazionalisti costituzionali” e dei benpensanti (sedicenti) liberali, perennemente impegnati a sostenere qualsiasi deriva destrorsa o persino apertamente fascista.

Vista dalla Sardegna, la festa della repubblica italiana assume un colore cupo. Suona quasi beffarda. Non a caso, da un po’ di anni, il variegato movimento che si batte contro lo sfruttamento militare dell’isola organizza in questa data contro-manifestazioni e momenti di mobilitazione.

Anche oggi, 2 giugno 2023, è in programma una grande manifestazione a Cagliari, chiamata dal collettivo aForas. Hanno aderito decine di associazioni, comitati, partiti. L’immagine a corredo di questo post riproduce la locandina dell’evento.

Le forme di adesione sono diverse, così come le motivazioni. Sbaglierebbe chi pretendesse di ridurre tutta questa mobilitazione a un comune sentire elementare e banale. Trovandoci in un momento particolarmente conflittuale, sia a livello internazionale sia a livello di dibattito locale, è forte il rischio della strumentalizzazione. Così come anche il rischio del sabotaggio e delle infiltrazioni. Speriamo bene.

Tutta da verificare, poi, la risposta degli apparati di sicurezza dello stato. Visti i chiari di luna attuali e la consolidata prassi repressiva contro il movimento che contesta lo sfruttamento militare della Sardegna, è lecito aspettarsi il peggio.

Suona vagamente patetica, oggi, la presa di posizione del CoMiPa, il Comitato Misto Paritetico tra Stato e Regione (che, detto per inciso, di paritetico non ha nulla), l’organo che dovrebbe vigilare sulle modalità di esercizio delle attività militari nell’isola.

Guarda caso, proprio alla vigilia della manifestazione di oggi, il CoMiPa se ne esce con un comunicato dai toni insolitamente decisi. Fuori tempo massimo, però, date le esercitazioni già avvenute e l’impossibilità di bloccare quelle future.

Tutt’a un tratto, il Comitato si accorge che “i protocolli sottoscritti con il governo nazionale sulle servitù militari nell’Isola non hanno ancora avuto piena attuazione”. Ma dai?

Arriva persino a chiedere “integrazioni e correttivi con la costituzione di una cabina di regia e tavoli tecnici operativi con un reale coinvolgimento dei componenti del Comitato paritetico sulle servitù militari per affrontare le questioni relative alla ‘armonizzazione’ delle esigenze della Difesa con quelle dei Cittadini che abitano i territori gravati dalle servitù militari”. Ben svegliati.

Il comunicato recita ancora:

I rappresentanti regionali, inoltre, si dichiarano non soddisfatti dagli annunci di piantumazione di alberi per il ripristino dei luoghi o mere compensazioni di CO2 a seguito dell’imponente ‘Noble Jump 23’ appena conclusasi nel Poligono di Capo Teulada. Esercitazioni a fuoco di tale portata ‘sono in contrasto con le direttive comunitarie sul rispetto dell’Ambiente in zona Sic (Sito di Interesse Comunitario dove sono presenti 21 habitat di specie vegetali e animali e in particolare di uccelli (meglio delineati nel Formulario Natura 2000) e in conflitto con le norme regionali e nazionali. Si attende, infine, la definizione del procedimento di valutazione di incidenza ambientale per il recupero dei residuati di esercitazione della penisola ‘delta’ del poligono permanente di Capo Teulada.

Meglio tardi che mai, potremmo dire. Ma sarebbe una concessione a dir poco generosa. Tutto quello che il Comitato sembra scoprire *oggi* con costernazione è ampiamente noto, documentato e denunciato da anni dal movimento anti-occupazione militare. Molti dei cui attivisti sono tutt’oggi sotto processo per manifestazioni degli anni scorsi. Su tutto questo la politica istituzionale sarda – centrodestra e centrosinistra – non ha mai battuto ciglio. Ed è forte il sospetto che alcune forze politiche oggi all’opposizione in Consiglio regionale intendano usare questo tema solo come banale strumento di polemica contro la giunta Solinas.

Sono proprio le stesse forze politiche – col PD in testa, ovviamente – che si beano del proprio “nazionalismo costituzionale”, specie quando c’è da rivendicare la propria fedeltà alla Repubblica italiana contro le istanze di autodeterminazione democratica e di rivendicazione di diritti fondamentali che agitano l’isola.

Ma in Sardegna anche il famoso art. 11 della costituzione ha il sapore della beffa. Lo richiamo per intero, giusto per avere presente di cosa si tratta:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

È evidente che questo articolo, da un pezzo, è solo una vuota dichiarazione di circostanza, senza alcun referente reale nella politica dello stato. La cosa che sa di beffa nei confronti della Sardegna è che tra i popoli la cui libertà è offesa dalla guerra, anche in tempo di pace, c’è sicuramente quello sardo.

La questione “servitù militari” è forse finalmente entrata nel senso comune di tante persone che abitano in Sardegna, ma non se ne conoscono davvero la natura, i vari aspetti, le dimensioni. Su questo, rimando a un grande lavoro di approfondimento e sintesi fatto in proposito da ANS (Assemblea Natzionale Sarda): lo si può leggere qui.

In Italia la questione è ancora meno nota e dibattuta. È inevitabile. Fa specie, ma non sorprende, che anche le forze di sinistra (vera, o sedicente che sia) su questa faccenda facciano orecchie da mercante e troppo spesso glissino, in nome di una centralismo e di un nazionalismo che non sono solo patrimonio costitutivo della destra, purtroppo.

In questi giorni, poi, la stessa Unione Europea, con un atto che ha dei risvolti a dir poco inquietanti, ha stabilito di destinare persino una parte dei fondi stanziati col PNRR alla produzione di armamenti. La guerra in Ucraina, in questo senso, è un comodo pretesto per normalizzare surrettiziamente l’orientamento militarista e bellicista caro a una parte consistente delle classi dirigenti e all’apparato militar-industriale occidentale.

Sia chiaro, l’Ucraina merita il sostegno internazionale, in quanto stato aggredito, per giunta in termini apertamente imperialisti e colonialisti. Questo va oltre il soggettivo apprezzamento verso la persona del suo presidente Volodymyr Zelens’kyj e le valutazioni su altri aspetti del conflitto o sulle sue cause. Non va nemmeno sovrapposto meccanicamente alla valutazione che si dà della politica estera USA e sull’azione della NATO; i cui interventi, anche laddove si ammantano di intenti pacificatori o protettori della “democrazia” (vedi Kosovo in questi giorni e altri scenari qua e là), rispondono sempre a strategie imperialiste e a interessi tutt’altro che limpidi e universali.

La solidarietà e persino l’aiuto materiale all’Ucraina sono leciti e non contraddicono affatto la contrarietà verso l’escalation bellica, la corsa agli armamenti e le crescente conflittualità geo-politica. Non possono però andare a detrimento della democrazia, dei diritti, della possibilità di una convivenza pacifica e solidale tra i popoli. Usarli in questo modo è una scelta criminale, cui non possiamo essere costrett* ad aderire con ricatti morali e richiami di stampo sciovinista.

Tenere disgiunte le questioni è un compito difficile e va contro le narrazioni dominanti. Oggi imperversa il solito bipolarismo semplificatorio: o di qua o di là. O sei a favore delle misure governative anti-covid, anche delle più demenziali e/o pericolose, o sei no-vax; o stai con l’Ucraina e quindi con la guerra e la corsa agli armamenti, o stai contro la NATO “a prescindere” e quindi con Putin.

Ultimamente si è arrivati a contrapporre la denuncia delle responsabilità politiche ed economiche sul dissesto idrogeologico (vedi disastro in Romagna) alla presa di coscienza sui cambiamenti climatici: un’acrobazia argomentativa notevole! Ma che importa? Siamo nell’epoca delle dicotomie rigide e strumentali e al contempo della perenne emergenza. Una combinazione drammatica. Saper fare i distinguo necessari e mantenere un’intelligenza vigile e un discernimento critico operante è una necessità vitale, in una prospettiva democratica e emancipativa.

Lo è tanto più in Sardegna, in cui tutti questi temi si intrecciano in modo complesso con la deficitaria realtà locale. Di cui lo sfruttamento militare è una parte consistente e inaccettabile.

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