Il ventesimo anniversario dell’invasione USA (+alleati) dell’Iraq poteva essere un’occasione di riflessione sulla forma delle relazioni internazionali contemporanee, la guerra, la civiltà che stiamo consegnando alle generazioni future. Mi pare invece che si stia riducendo all’ennesimo bombardamento propagandistico. E stiamo di nuovo cascando nella trappola.
Una guerra imperialista, di pura aggressione, decisa per motivi biechi, che ha consegnato un’intera area a vent’anni di distruzioni, conflitti, dolori. Senza nemmeno riuscire ad evitare che l’egemonia statunitense (e occidentale) declinasse. Eppure viene raccontata come un semplice “errore”, se pure non ne viene rivendicata la correttezza.
La cosa ancora più triste è che non si riesce neppure a fare tesoro di quell’evento per ragionare lucidamente sulla guerra di oggi. È il problema di fondo dello sguardo geo-politico: un’aberrazione del pensiero, una mistificazione pericolosissima.
Ma è anche il segnale di una sclerosi delle capacità analitiche, persino da parte di osservatori solitamente solidi e dotati di strumenti interpretativi forti.
Credo che uno dei motivi, lasciando da parte la mala fede e la propaganda più o meno esplicita, sia da ricercare nella difficoltà a emanciparci dalle cornici concettuali ereditate dal secolo scorso.
Faccio un esempio, relativo proprio alla guerra in Ucraina. Si tratta di un libro recente: Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi, 2023. La presentazione dell’edizione italiana è curata da Luciano Canfora, intellettuale che non ha bisogno di molte presentazioni.
Il focus tematico del libro è chiaro fin dal titolo. Le argomentazioni e i documenti presentati a supporto della tesi non sono frutto di mere speculazioni polemiche, ma solide ricostruzioni di fatti e responsabilità. In realtà, niente di nuovissimo. È pacifico che la politica USA e NATO hanno contribuito a fornire al regime russo se non altro precedenti e ragioni per sentirsi minacciato.
Tutto l’impianto del libro, compreso il testo di Canfora, presenta però dei punti estremamente deboli, tra le premesse che si vorrebbero acquisite.
Uno è il solito fraintendimento sulla composizione etnica delle province del Donbass. Si dà per acclarato che si trattasse di una porzione di Ucraina abitata da una popolazione russa o comunque russofona (sovrapponendo indebitamente i due concetti) e per questo russofila. Si tratta di un paralogismo.
La popolazione del Donbass, fino al 2014, come risulta da qualsiasi fonte obiettiva, era ucraina in tutto e per tutto, con limitata presenza russa. In ogni caso, questo dato non ha nulla a che fare con la questione linguistica, dato che *tutte le persone ucraine sono (anche) russofone*. Dal fatto di essere russofoni non discende direttamente l’orientamento filo-russo. Questa faccenda andrebbe tenuta sempre presente, altrimenti si presta troppo facilmente il fianco a errori di valutazione, di cui la propaganda russa ha saputo largamente approfittare.
Ma il punto più debole di tutta la disamina è un altro. Anche in questo caso, come in molti altri, pur ammettendo che l’invasione decisa da Putin e dal suo entourage è ingiustificata, si omette di inserire nel quadro uno dei protagonisti: il popolo ucraino. È come se l’Ucraina a chi la abita non abbiano né possano avere alcuna voce in capitolo, se non come strumento nelle mani delle strategie geo-politiche altrui. La gente ucraina non ha una sua agency, come si dice, non ha una sua soggettività, magari plurale e articolata, da dispiegare sullo scenario del conflitto.
Si può così legittimamente parlare di “guerra per procura”, come se l’Ucraina non avesse propri interessi diretti e inalienabili da mettere sul piatto.
Viene usata la figura del presidente Volodymyr Zelens’kyj come sineddoche di una sorta di stato fantoccio in mano agli USA. Oppure si addossa al governo ucraino una natura golpista (il “golpe del 2014” si legge spesso), da cui discenderebbe la sua delegittimazione. Come se l’Ucraina non fosse stata davvero invasa da uno stato straniero e non dovesse difendersi. O non avesse il diritto di scegliere le proprie alleanze internazionali e il tipo di società a cui tendere.
Perché in fondo c’è anche quest’altro equivoco. Dato che noi siamo molto critici sul modello socio-politico imperante in Occidente e sulla proiezione esterna di questo modello (che è sempre imperialista e neo-colonialista), allora è impossibile o comunque inconcepibile che qualche altra popolazione aspiri ad acquisirlo come proprio. Ci dev’essere qualcosa di torbido sotto, se la gente ucraina preferisce la decadente Europa alla Russia. In effetti, è un’argomentazione cara ai reazionari della corte putiniana. Ci farei caso.
Forse la verità è che se l’Occidente fa schifo ed è in una fase di evidente involuzione, il resto del pianeta non è che sia più attraente. Chi legge la guerra in Ucraina come una guerra per procura tra USA e Russia, parteggiando per la Russia, non sono sicuro che sarebbe disposto/a a trasferirsi a vivere nella Federazione russa.
Anche a proposito della guerra in Siria c’erano stati fraintendimenti del genere. Dato che il regime di Assad era inviso agli USA, bisognava parteggiare per Assad. Sorvolando sulla natura autoritaria, repressiva e violenta di quel regime. Addirittura, da qualche parte nella sinistra in salsa italica, si parteggiava per Assad anche contro il Rojava, dato che quest’ultimo a un certo punto aveva stretto un’alleanza tattica con gli USA in funzione anti-ISIS.
Il fatto di essere su posizioni critiche verso l’Occidente, la NATO, la politica estera USA e in generale contro il colonialismo europeo, non può farci dimenticare che l’imperialismo e il colonialismo sono detestabili di per sé, da qualsiasi parte provengano. La sottomissione di altri popoli, la minorizzazione e la discriminazione di intere culture, la riduzione di tutto – territori, popolazioni, biosfera – a banali fattori di produzione, a risorse da sfruttare in nome del profitto privato e/o del puro dominio coloniale sono mali da combattere sempre.
Il vero peccato mortale dell’Europa nel suo insieme è l’aver rinunciato in partenza ad avere un ruolo di mediazione e di pace, una voce in capitolo internazionale autonoma a garanzia dei diritti fondamentali dei popoli e delle persone. L’Europa non può vantare altri meriti, davanti al resto del mondo: almeno questo doveva conquistarselo sul campo. Non lo ha fatto, vittima di quell’obsoleta costruzione giuridico-politica che sono i vecchi stati-nazione di stampo otto-novecentesco. Stati che ora si stanno cacciando in un’altra più grave crisi democratica, come si vede in Francia, o nel regno di Spagna e persino in UK, ma tra poco anche in Italia.
Aumentare la spesa pubblica nel settore della difesa e delle armi, e mantenere un sistema di produzione energetica ancora basato su fonti fossili e grandi concentrazioni oligopolistiche è evidentemente una scelta stupida. Gli stati-nazione così come sono sono inevitabilmente stupidi. Temo che ce ne renderemo pienamente conto quando sarà troppo tardi. Se faremo in tempo.
Su questo, dunque, potremmo indirizzare a buon diritto la nostra indignazione e la nostra lotta politica. Accusare la NATO di… fare la NATO, per di più in una situazione in cui dall’altra parte c’è un aggressore spietato, senza scrupoli, imperialista e reazionario quant’altri mai, è un esercizio di mera rivendicazione identitaria, di tifo, di posizionamento di comodo, ma non è lotta politica. Lo sarebbe se si rifiutasse apertamente l’imperialismo di chiunque e si rifiutasse la guerra di aggressione in quanto tale e, in generale, un modello di relazioni tra popoli basato sulla forza e sul conflitto tra blocchi neo-imperiali.
Negare all’Ucraina il diritto di difendersi è profondamente crudele. Chi non vorrebbe difendersi, in quella situazione? Ma sulla solidarietà all’Ucraina non credo che qualsiasi spirito onesto, soprattutto se non obnubilato da ideologie destrorse, reazionarie o bassamente nichiliste, possa avere dubbi. Per quanto antipatico ci sia il presidente di quello stato.
Certo, la questione dell’invio di armamenti non è affatto semplice, come invece insistono a presentarla i fautori della guerra a oltranza e del “noi vs. loro”. Un conto sono gli aiuti umanitari, la solidarietà materiale alla popolazione civile e l’appoggio politico e morale; un altro il rifornimento di ordigni sempre più sofisticati, specie se manca una qualsiasi prospettiva di risoluzione del conflitto.
Qui entra in gioco l’ipocrisia dell’Occidente a guida USA. E qui torna in ballo la corretta rievocazione dell’invasione dell’Iraq. Sfruttare l’aggressione russa per cercare di regolare i conti col regime putiniano e ridisegnare una mappa geo-politica del mondo in cui gli USA mantengano o aumentino la propria egemonia è un obiettivo che non solo non deve interessarci, ma che bisogna contrastare. Tuttavia, non al prezzo di sacrificare l’Ucraina e di darla vinta alla Russia di Putin.
Ma allo stesso modo, il sostegno all’Ucraina e il contrasto alle mire imperialiste di Mosca non deve impedirci di mantenere uno sguardo critico verso l’imperialismo occidentale e la criminosità intrinseca di un’organizzazione militare come la NATO.
C’è una contraddizione in questo ragionamento? Non so. So solo che le vicende storiche tendono a ignorare le categorie semplicistiche con cui ci piace interpretarle.
Penso però che, come contestammo l’invasione USA dell’Iraq nel 2003, allo stesso modo e per ragioni simili dovremmo contestare l’invasione russa dell’Ucraina del 2022. E non dovremmo accettare di schierarci nel gioco truccato dei contrapposti imperialismi. O meglio, dovremmo schierarci contro *tutti* gli imperialismi e i colonialismi, sempre.
Est modus in rebus. C’è una misura che non bisogna superare, anche in questa crisi. Il sostegno e la solidarietà devono tenere conto della distruzione a cui stiamo serenamente condannando un intero paese. I danni materiali, i traumi e le morti che sta subendo l’Ucraina sono reali e inaccettabili. Ho paura invece che i grandi centri di interesse che promuovono la guerra a oltranza abbiano anche questo, tra i propri obiettivi: la devastazione dell’Ucraina. O pensiamo che in questi mesi tra Leopoli e Kyiv siano mancate le visite più o meno formali di inviati di grandi aziende, di fondi di investimento e di governi ad essi legati per contrattare sulla ricostruzione? Con condizioni capestro, chiaramente.
Questa guerra fa gola a tanti, non solo ai signori della guerra (produttori e commercianti di armi). Il rischio perciò è che la popolazione ucraina stia lottando per sottrarsi a un imperialismo e finirà per cadere nelle fauci di un mostro divoratore di mondi come il capitalismo estrattivista e le sue demenziali regole finanziarie. Sempre che i grandi della Terra non trovino un accordo reciprocamente conveniente e non abbandonino il paese alla sua sorte. Chi può escluderlo?
C’è qualcosa di radicalmente sbagliato nel modo in cui è stata trattata fin da subito questa faccenda dalla politica e dai mass media. Così come c’è stato qualcosa di sbagliato nel modo in cui è stata trattata la pandemia e in quello in cui viene trattata comunemente la crisi ambientale.
È difficile mantenere una posizione politicamente ed eticamente lucida, rigorosa, giusta, in questo scenario devastato dalla montante crisi ecologica e sociale e dalla violenza crescente a tutte le latitudini e longitudini. Eppure bisogna provarci. Acuminare gli strumenti critici, rendere il nostro sguardo più limpido è una necessità politica primaria. È difficile, perché bisogna astrarsi dall’inquinamento informativo, ma non possiamo rinunciarvi. Anche dal nostro osservatorio sardo. Soprattutto dal nostro osservatorio sardo, direi.