Qualche informazione su fatti e attività di questi giorni.
Sabato scorso ho preso parte al seminario online organizzato dal gruppo Autonomie e Ambiente (costola italiana del gruppo europeo EFA) e dal Forum 2043 (per cui pochi mesi fa avevo scritto questo intervento) dedicato alla Carta di Chivasso. La Carta di Chivasso è un manifesto politico approntato nel dicembre del 1943, dopo i primissimi mesi della Resistenza, nella località piemontese. Un documento pochissimo conosciuto, anche negli ambienti autonomisti e indipendentisti.
Ho scritto un resoconto dell’evento per S’Indipendente, a cui rimando.
Altra notizia. Sabato 25 marzo prossimo prenderò parte alla presentazione a Trento del romanzo dei Wu Ming UFO78 (di cui avevo scritto una recensione qui). La presentazione si terrà presso la libreria Duepunti, alle 18.
È una strana e curiosa faccenda, quella di questo romanzo. L’anno rievocato, il 1978, benché meno raccontato del 1977, è stato davvero pieno di fatti, snodi, traumi collettivi. L’evento più noto è il sequestro e omicidio di Aldo Moro, naturalmente. Ma successe anche molto altro.
In Sardegna fu l’anno dell’emersione di Barbagia Rossa e della recrudescenza dei sequestri di persona (per esempio quello del piccolo Luca Locci a Macomer e quello di Pasqualba Rosas a Nuoro). A Trento fu l’anno dell’incidente alla SLOI.
La SLOI era una fabbrica di piombo tetraetile, un additivo della benzina, estremamente tossico (30 volte più pericoloso dell’iprite). È una storia pazzesca, quella del piombo tetraetile e del suo impiego industriale. Sostanza pericolosissima, non era l’unica possibile opzione per far funzionare in modo efficiente i motori a scoppio, ma era la più economica. Il suo uso si sviluppò in ambito militare, per i motori degli aerei, e passò poi rapidamente all’ambito industriale civile. In epoca fascista divenne una sorta di risorsa strategica e la SLOI di Trento ne fu la sede di fabbricazione principale.
La SLOI superò indenne il fascismo e la seconda guerra mondiale e rimase in attività per tutto il dopoguerra. Era una delle principali industrie di questo settore in Europa. La sua pericolosità però era già ben nota. I casi di intossicazione e di saturnismo negli anni Settanta del secolo scorso erano numerosi e ampiamente denunciati. Ma la SLOI “portava lavoro” (in Sardegna questo mantra è tristemente familiare).
La notte del 14 luglio del 1978 si sviluppò un incendio nello stabilimento trentino. L’allarme fu immediato e sul posto accorsero forze dell’ordine e vigili del fuoco. Questi ultimi si stavano apprestando a contrastare le fiamme con le loro autobotti, quando una provvidenziale telefonata di un ingegnere della fabbrica fermò le operazioni: se l’acqua fosse entrata a contatto con le sostanze presenti nello stabilimento ne sarebbe scaturita un’esplosione di proporzioni inimmaginabili. Non si sa cosa sarebbe rimasto di Trento e delle zone circostanti, in un’evenienza del genere. Questo pericolo fu scongiurato. L’intero stabilimento fu sepolto da una colata di cemento, rinchiudendo in un sarcofago le sue sostanze velenose. Che sono ancora là sotto, separate dalla falda acquifera trentina da una lente di argilla spessa poche decine di centimetri. L’area non è stata mai bonificata.
Proprio di là, oggi, Rete Ferroviaria Italiana intende far passare la nuova linea ferroviaria ad alta capacità, il cosiddetto bypass ferroviario di Trento. Un’opera enorme, inutile, costosissima e pericolosa. Tra le altre cose, dovrebbe essere trivellata con due diverse gallerie la montagna chiamata Marzola, di composizione geologica fragile, piena d’acqua (il nome la dice lunga), su cui poggia una paleofrana in costante, sebbene lentissimo, movimento, a cui è addossata una grande zona residenziale del Comune di Trento.
Lo scavo del nuovo tratto ferroviario, che dovrebbe intervenire nell’area ex SLOI, zona nord della città, è stato progettato senza tener conto di alcuna precauzione relativamente a quello che c’è sotto il sarcofago di cemento. Addirittura RFI rifiuta la sola idea di fare dei rilievi seri e accurati nel terreno per verificare la presenza di sostanze inquinanti (per altro già documentate al di là e al di qua dell’area dei lavori). Le amministrazioni provinciali e comunali (una di centrodestra a guida Lega, l’altra di centrosinistra a guida PD) sono favorevoli alla grande opera, incuranti dei problemi segnalati da associazioni e comitati (la lista delle questioni aperte è molto lunga), ma sbavanti dinanzi alla montagna di denaro promessa da RFI e dagli altri attori interessati (si parla di quasi un miliardo di euro, provenienti dei fondi del PNRR).
L’incidente della SLOI del 1978 produce conseguenze e riverberi ancora oggi, dunque. Così come molti altri nodi non sciolti, ma anzi in molti casi aggrovigliati, in quello stesso anno. Il romanzo dei Wu Ming cade dunque a fagiolo. A Trento non meno che altrove.
Per quanto mi riguarda, ci sarebbero anche altre novità che bollono in pentola, ma ne riparleremo quando il grado di cottura sarà ottimale e potrò procedere all’impiattamento. Restate sintonizzati. E, chi può, si avvicini sabato 25 in via San Martino a Trento.