Scopro quest’iniziativa e mi rendo conto improvvisamente di due cose: 1) è una faccenda di cui varrebbe la pena parlare, più per ciò che rappresenta suo malgrado, che per ciò che vuole rappresentare e 2) non credo di avere la forza di scriverne in modo lucido, sereno e costruttivo.
Mi viene in soccorso Alessandro Mongili, con un post sul suo profilo Facebook. Che non linko manco sotto tortura, abbiate pazienza, ma ricopio testuale:
L’incontro di Sabato 11 Dicembre a Tramatza lo commento qui sotto con “Il Ritorno dei Principi Francesi a Parigi”, Inno della Restaurazione, reso celebre per il suo inserimento al termine della “Bella Addormentata” (Spjàščaja krasàvica) di Pëtr Il’ìč Čajkovskij.
Et voilà, è dal 2009 che viviamo in Sardegna un’epoca di Restaurazione e di chiusura. Mentre intere generazioni hanno abbandonato l’Isola, chi resta e ha voce in capitolo si rinchiude sempre di più nel proprio “connotu”, nella coazione a ripetere tavoli, politbjuro, palchi autorevoli, pubblici silenti. Mi riferisco qui all’incontro su “Nazione” e “Società”, organizzato a Tramatza e al quale parteciperanno a vario titolo Paolo Maninchedda (Partito dei Sardi), Paolo Mureddu (Rossomori storico, già Assessore provinciale di Cagliari nella protostoria), Graziano Milia (Sindaco di QSE e maggiore interprete di Quartu Potere), ma anche il consigliere regionale ArcheoSEL Agus, uno dei più preparati ma costantemente su posizioni antisarde e nazionaliste italiane, Emiliano Deiana, presidente di ANCI Sardegna ma anche scrittore, appassionato di Céline, highly represented in social networks e recentemente associatosi all’on. Romina Mura e all’ex-giovane speranza del PD Matteo Lecis Cocco-Ortu nel lancio di una sgangherata Mozione congressuale, ma-anchista che Veltroni spostati. Insomma, il nostro caro Talleyrand di Bortigiadas, anche vista la musica da me scelta a commento, un eroe della Restaurazione. Poi c’è anche Silvio Lai, che uno dice “ancora s’agatat?”, sia detto simpaticamente e augurandogli lunga e felice vita. Fanno da contorno Vito Biolchini ed Enrico Lobina. Registriamo anche questo. Il mondo è complesso, cosa volete farci?
L’iniziativa è stata contestata in modo veemente da Lucia Chessa, segretaria dei RossoMori, che si è adontata per l’uso a suo dire improprio del simbolo e del nome dei RossoMori, più che dal carattere inaudito dell’incontro. Ma che cosa ci si può attendere da una politica con una visione così ristretta come lei?
Lascio da parte ogni ironia e spiego perché l’incontro è, a mio avviso, inaudito. Prima di tutto, per la sua puzza di muffa, come se si sviluppasse in un mondo diverso e, per certi versi, opposto rispetto a quello in cui vive la gente normale. Un parterre di soli maschi, oggi, crea l’ambientazione giusta per contenuti da Lascito pentapartitico, che si esprimono in Cinque domande, un po’ a imitazione della rappresentanza degli Stamenti alla Corte sabauda, si parva licet. Le domande sono inaudite. La prima, “Quale tasso di resistenza e di impegno residua ancora nella società sarda?” mi fa pentire di voler abbandonare il registro ironico, perché questo uso di “residua” mi fa morire. La mia risposta è breve: nessun tasso, dopo aver vista questa locandina. Nos’eis fatu morri. La seconda, “Come costruire un programma credibile e non elettorale, un repertorio di soluzioni e non di slogan?” E qui voglio proprio sentire cosa ci diranno Graziano Milia e, soprattutto, Silvio Lai. Ho solo da dirvi, ragazzi, quando formulate un quesito, sforzatevi di formularlo in modo chiaro la prossima volta, per favore. La terza, riguarda come far diventare legittimo il progetto/pensiero (sic!) sulla Nazione sarda. La mia domanda è: “quale progetto/pensiero” sulla Nazione sarda? Un riconoscimento formale? L’opinione essenzialista di Cumpostu o del primo indipendentismo, delle sue derive etno-nazionaliste o del suo superamento decoloniale? E poi, ancora credete che basti agitare bandierine magari con l’Albero sradicato e la parola Nazione, anzi Natzione, come una formula magica, per rendersi credibili? E cosa dirà Francesco Agus in proposito, lui che ha votato sempre contro la lingua sarda ed è (legittimamente) fedele alla cosiddetta Costituzione migliore del mondo, e appassionato del Tricolore? La quarta, invece, riguarda, incredibilmente “Come arrivare ad alleanze con gli altri partiti?”. Qui proprio la situazione è grammatica, ragazzi, anzi sintattica. Da parte di chi, infatti, ci si dovrebbe alleare con gli “altri” partiti? Siete già UN partito voi?
Non mi sembra. Excusatio non petita? Atto mancato? Chi lo sa… Comuncu, seis ammesturu, piciocus, anzi, ammesturu nella mente, direbbero gli Ultras del Casteddu. Io comunque lo traduco provvisoriamente “Chi ci candida?”, “Chi ci porta i voti per tornare in Consiglio?”. Spero di aver capito, ma forse esagero, sono sicuro che pensavate al Blocco sociale di riferimento. E infatti, la Sesta domanda è il tripudio del ritorno agli Anni Novanta e ci fa pensare che il candidato presidente che i giovini Tramatza Boys hanno in mente sia Federico Palomba. Udite: “Come attrarre il voto dei liberal che hanno votato a destra?”. No ragazzi, avete presente il 2008 e la lunga crisi economica? Sapete che in Sardegna ci sono 100.000 persone con il Reddito di cittadinanza e grandissima povertà, disagio, anche psichico, alienazione culturale, violenza, alcoolismo, disperazione? E poi, chi sarebbero i Liberal? Quelli che hanno affossato il DDL Zan, come spettro di riferimento? Il prenditorame vario che sottopaga i lavoratori e vive di contributi pubblici? Spiegatecelo. Nessuna idea di uguaglianza e di giustizia, nessuna sul disagio, niente su come rappresentare finalmente almeno una parte di chi non vota più, e conta i soldi per pagare gli aumenti in bolletta e fare la spesa in supermercati sempre più cheap.
Naturalmente, mi sbaglio e l’incontro andrà benissimo. E ci mancherebbe. Dov’è il pranzo?
Questo pezzo, per come la vedo io, si candida autorevolmente a editoriale del mese, se non del semestre. Salvo – se posso permettermi e con tutto il rispetto – per l’argumentum ad personam contro Lucia Chessa, segretaria nazionale del partito Rossomori (non invitata all’incontro). Sono suscettibili di critica le sue scelte politiche e le sue azioni pubbliche, chiaramente; un po’ meno l’estensione – soggettiva, sempre variabile e in ogni caso difficile da giudicare – della sua “visione”. Ma è un’opinione mia (opinabile, appunto) ed è anche un accidente minimo in un discorso per il resto del tutto centrato.
Che dire, dunque? Forse solo: grazie! Giusto con una buona dose di satira si possono ormai affrontare queste riproposizioni stucchevoli dell’elitarismo anti-popolare e auto-centrato tipico della politica sarda.
Della politica di Palazzo, beninteso. Di politica ce n’è altra in giro, per fortuna. Roba viva, complicata, diffusa, feconda, ma non rappresentata nelle massime istituzioni e nei vari centri di potere più o meno formalizzati. Quella politica (il “tasso di resistenza e di impegno”) sulla cui residua esistenza ci si vorrebbe interrogare in questo alto consesso. Ci si interroga proprio perché non se ne sa nulla, evidentemente. Sfugge alla vista di chi considera la politica solo in termini di rapporti di potere, manovre opache, tatticismi, controllo delle informazioni, clientelismo, fedeltà personali o di clan, paternalismo maschilista.
Sì, anche maschilista. Perché non può non saltare subito all’occhio – e non solo perché oggi è il 25 novembre – la composizione esclusivamente maschile della pur ampia gamma di relatori. Può essere un caso, per carità. Capita. In questa circostanza, tuttavia, sussiste un fastidio di fondo, difficile da ignorare.
La politica di Palazzo, in Sardegna, è prevalentemente maschile e maschilista. Le vicende della doppia preferenza di genere e il suo uso – dopo la prima bocciatura e la successiva approvazione – a vantaggio della componente maschile delle liste elettorali ne sono chiara testimonianza.
Nel caso dell’adunata di Tramatza, se vogliamo, questo è solo uno degli elementi problematici. Magari fosse l’unico. La critica satirica di Alessandro Mongili coglie bene non solo la scarsissima cifra politica di questo tipo di incontri, ma anche la loro ridicola pretenziosità.
Forse una delle cose decisive da fare, in queste circostanze, sarebbe non prestarsi a legittimarle, non fornire alcuna copertura morale o teorica. Vogliono riproporsi come attori a pieno titolo della scena politica? Che lo facciano tra di loro e con i loro metodi, ma senza alcuna pretesa di rappresentare alcunché all’infuori della loro personale ambizione.
È importante precisare di cosa non c’è bisogno, in Sardegna, oltre che di cosa c’è bisogno. Ed essere conseguenti con le analisi e le valutazioni che si fanno. Lamentare la cattiva qualità della politica sarda e poi accettare di farle da sponda o da… sapone non è esattamente un esercizio di coerenza e non depone a favore della credibilità di chi si presta – in buona fede o per calcolo – a queste manovre.
Non è solo o tanto un problema di persone. È un problema di metodo, di obiettivi, di prospettive politiche. C’è bisogno di politica, in Sardegna, ma di una politica diversa, più legata alla vita vera delle nostre comunità, ai loro problemi concreti. Una politica rappresentativa non di consorterie ristrette alla perenne ricerca di affermazione, ma rappresentativa di forze sociali reali, di istanze generali, strategiche, emancipative, proiettate dentro un orizzonte che non coincide con le tetre mura del Consiglio regionale o con le pareti di un ufficio in Viale Trento a Cagliari.
Tirare in ballo la Nazione Sarda (mi raccomando le maiuscole!) è un labilissimo strato di vernice, in questo come in altri casi analoghi, un travestimento maldestro. Ma non ingenuo, questo mai. Tanto meno innocente. Davvero a qualcuno può bastare per prendere sul serio queste iniziative? Forse è una domanda retorica e la risposta implicita purtroppo è “sì”.
Ben vengano le voci contrarie e gli esercizi di sana critica democratica, dunque, specie laddove manca un’informazione all’altezza della situazione e anche l’attenzione dei social media è spesso troppo volubile, superficiale e facile preda di feticci e diversivi.
Non basterà una botta di satira a risolvere il problema, ma se non altro ci allevia un poco la giornata. E magari ci costringe a non sottovalutare queste vicende, sia pur minime, e a rifletterci su, in un’ottica di miglioramento.