Le mistificazioni politiche e mediatiche sulla questione palestinese a cui stiamo assistendo in Italia non sono un caso né sono circostanze contingenti. Si legano anzi a processi profondi della storia italiana contemporanea ed emergono anche in altre occasioni.
In Sardegna dovremmo saperlo bene. La natura stessa dello stato italiano, così come si è formato e imposto storicamente, ha tratti fortemente oligarchici, anti-popolari, autoritari e colonialisti. Tratti che non sono mai venuti meno, neanche in epoca repubblicana.
Cartina di tornasole è il perdurante fenomeno del colonialismo interno, col suo apparato di narrazioni egemoniche di natura stereotipata, spesso palesemente razzista, verso il Meridione e le isole.
Le relazioni internazionali e il ruolo geo-politico dello stato italiano fanno il resto. L’establishment economico e politico italiano trae vantaggio dai giochi di alleanza opportunistica a cui l’Italia partecipa, non sempre con ruoli marginali.
Il trattamento riservato alla questione palestinese discende dunque non da posizioni teoriche e/o etiche o da valutazioni di natura storica, ma sempre ed esclusivamente da puri calcoli di convenienza. L’appoggio a Israele è incondizionato, a vario livello. Lo vediamo dal plauso dell’intero arco parlamentare alla pulizia etnica e all’attacco militare contro i Palestinesi e lo vediamo dal modo in cui l’informazione mainstream tratta questi temi.
In Sardegna Israele è una sorta di ospite d’onore nei poligoni militari. È anche un partner di primo piano delle Università specie di quella di Cagliari. Una relazione poco accademica e molto pragmatica, a cui non sono affatto estranei appunto gli interessi militar-industriali, come ampiamente documentato, tra gli altri, dal comitato aForas.
Parteggiare spudoratamente per uno stato colonialista e razzista come Israele non è un problema, se serve a garantire corposi interessi e proficue alleanze. Che ciò avvenga in spregio delle più elementari norme del diritto internazionale e del rispetto dei diritti umani non è un motivo di preoccupazione.
Era Malcom X, se non sbaglio, che ammoniva sull’egemonia di cui dispongono le classi dominanti: vi faranno odiare le vittime e sostenere i carnefici. Nel caso della Palestina questa operazione è in corso da tempo. Sembrano valere poco le analisi più oneste, persino da parte della stampa israeliana democratica (che esiste), o addirittura di esponenti del mondo ebraico internazionale (penso allo storico Ilan Pappe o, in Italia, a Moni Ovadia).
Mi colpisce sempre, tra le altre armi di persuasione delle masse, l’argomentazione secondo cui tutto sommato i Palestinesi meritano di essere rinchiusi nei loro “bantustan”, sottomessi, brutalizzati e, all’occorrenza, bombardati, perché “Hamas lancia razzi contro il territorio israeliano”. (Più precisamente, di solito contro insediamenti illegali di coloni israeliani in territorio palestinese.) Un classico esempio di inversione di causa ed effetto.
La colpa dei Palestinesi, di tutti i Palestinesi in quanto tali, è appunto che siano governati da congreghe di fanatici o di terroristi, come vengono sbrigativamente definiti dai media occidentali (al contrario di altri governi autoritari e violenti, ma amici). Una colpa collettiva, dunque, che addebita all’intera comunità palestinese una situazione di cui essa stessa è prima vittima.
Facendo le debite proporzioni, questa argomentazione mi ricorda quella usata contro ogni possibile discorso di autodeterminazione democratica della Sardegna: come potete pretendere di autogovernarvi se esprimete una classe politica così scalcinata?
Di solito, per altro, chi usa tali argomentazioni sostiene precisamente la classe politica scalcinata di cui sopra. Magari non la fazione al momento al potere, ma quell’altra. Che però fa parte dello stesso gioco truccato, della stessa finzione di comodo. Anche in questa argomentazione, che in realtà è un paralogismo, si invertono causa ed effetto.
Il fatto che in Palestina, nelle aree con un residuo di autonomia, dominino entità di tipo confessionale e mafioso come Hamas o la scalcinata e corrotta Autorità Nazionale Palestinese non è una colpa “dei Palestinesi”, bensì il frutto di una condizione storica che ha prodotto tale stato di cose.
Hamas è stata legittimata e persino sostenuta da Israele medesimo, in funzione anti-OLP e anti-democratica, come dimostrano inchieste e cronache degli ultimi anni. L’Autorità Nazionale Palestinese è costantemente sotto ricatto e del tutto incapace di agire, per via di vincoli di finanziamento e di appoggio internazionale sempre precari. Chi ha selezionato queste classi dirigenti e a quale scopo? A chi rispondono?
Allo stesso modo, in Sardegna, il livello politico locale è così mediocre e spesso imbarazzante proprio in virtù della condizione di dipendenza e subalternità dell’isola. È un effetto, appunto, non una causa. Chi seleziona la classe politica sarda? A quale scopo? In nome di chi e di quali interessi?
Lo so, vorreste rispondere: “eh, ma c’è la democrazia, sono i cittadini che decidono”. Lo fate anche nel caso dei Palestinesi, spesso, figuriamoci nel caso di un luogo come la Sardegna in cui formalmente vige un regime democratico rappresentativo. Ma anche in questo caso è pura mistificazione.
Se sottraessimo la Sardegna alla sua condizione subalterna, al suo ruolo di colonia oltremarina destinata ad usi militari, alla produzione energetica (a favore dell’Italia), alle varie forme di saccheggio e speculazione; se eliminassimo il controllo asfissiante dell’assistenzialismo e del clientelismo, l’emigrazione forzata, lo spopolamento, la mancanza di prospettive e tutto l’apparato di stereotipi e di mitologie identitarie deprimenti che giustificano tale stato di cose, siamo sicuri che la politica sarda sarebbe la stessa?
Se in Palestina non vigesse una pesante e duratura occupazione da parte di un altro popolo e di un altro stato, se non ci fossero apartheid, violenze sistematiche, discriminazioni, vessazioni, povertà e – anche qui e in modo ancora più drammatico – mancanza di prospettive e stereotipi razziali, siamo sicuri che la popolazione, potendo scegliere, si farebbe governare da chi governa adesso? E nello stesso modo?
L’escalation di questi giorni – voluta, a giudicare dalla sequenza degli avvenimenti riportati nelle cronache, dallo stesso Netanyahu, ormai in profonda crisi di consensi – mostrerebbe il vero volto di Israele anche al cittadino europeo più distratto, se il racconto dei fatti non fosse inquinato da narrazioni tendenziose, fallacie argomentative e dosi tossiche di propaganda filo-sionista.
Di Israele, sottolineo, non degli Ebrei o di chissà quale complotto pluto-giudaico-massonico. Le fantasie di complotto e i falsi bersagli sono in fondo strumenti di conferma della propaganda che apparentemente contrastano: lasciamoli da parte. Chi grida all’anti-semitismo ad ogni sia pur velata critica alla politica israeliana fa una bassissima operazione propagandistica, infondata dal punto di vista storico e politico ed esecrabile dal punto di vista morale. Questo va ribadito con forza.
Criminalizzare la vittima è un espediente sempre piuttosto efficace, in definitiva. Sia che si tratti di Palestina, sia che si tratti di questioni interne allo stato italiano (vedi appunto Sardegna, con le decine di militanti attualmente accusati di reati gravi per ragioni apertamente politiche, o vedi il caso – direi “di scuola” ormai – della Val Susa e della lotta NoTAV). Ma la resistenza collettiva contro le varie forme di sopruso, sopraffazione, colonialismo, militarizzazione non è solo legittima, è doverosa. Soprattutto in considerazione della china che stanno prendendo le vicende umane.
A quanto pare, l’effetto dissuasivo della pandemia e delle misure di controllo sociale e politico da essa giustificate sta passando. Non so cosa si inventeranno le classi dominanti nello scenario globale per perpetuare l’attuale modello estrattivista e distruttivo. So però che non possiamo restare passivi e inerti davanti alle operazioni di disinformazione sistematica più palesi, come nel caso della situazione palestinese. E so che dobbiamo mantenere un alto grado di lucidità e una buona qualità dell’analisi.
Nessuno ci regalerà diritti e democrazia, soluzioni ai problemi globali, solidarietà tra i popoli e pace, in alcun luogo e in alcuna circostanza, senza lottare per ottenerli. Dobbiamo saperlo. E, tra tutte le altre cose, dobbiamo lottare anche e prima di tutto per la verità. La verità storica, umana, contraddittoria ma concreta a cui è necessario appellarsi contro ogni mistificazione e ogni manipolazione da parte degli agglomerati di potere padronale e coloniale, ovunque si manifestino.
Va bene, quasi tutto condivisibile e corretto (i recenti sondaggi danno in crescita il partito Likud, la scelta guerrafondaia sembrerebbe pagare), ma io non ho ancora capito cosa si voglia fare a livello politico/organizzativo per liberare la Colonia Autonoma di Sardegna. – Maggio 2021