Subito una premessa, così ci togliamo il pensiero. Evitiamo di fare stupidaggini. Le misure prudenziali e preventive sono necessarie. Portiamo pazienza e cerchiamo di non ammalarci e soprattutto di non far ammalare le persone più a rischio (anziani, immunodepressi, ecc.). Tanto lo so che ciascuno di noi ne conosce, quand’anche non appartenga direttamente a una di queste categorie.
Detto ciò, bisogna anche continuare a seguire l’andamento non tanto del contagio (a quello dovrebbero pensarci gli esperti delle varie discipline coinvolte), quanto delle sue conseguenze socio-economiche, culturali, politiche.
L’Italia al solito è un fantastico “mondo fatato per sognar”, una dimensione sospesa fuori dal tempo e dallo spazio. A seguire i mass media principali, il “modello Italia” non solo è vincente, ma è anche invidiato e possibilmente copiato nel mondo.
Forse dipende dalle virtù taumaturgiche del “bel canto”, arte nazionale, o del potere apotropaico dell’inno “degli Italiani”, o forse è l’ostensione compulsiva del tricolore italico, con i suoi effetti sanificanti, a contrastare l’attacco del virus. Ma deve avere i suoi meriti anche la militarizzazione delle città.
Certo, a guardare i numeri, tutta questa lotta contro il male non appare così efficace come ci raccontano.
Infatti fuori dall’Italia, dove sono appunto invidiosi e ostili, la raccontano diversamente. E nessuno – tranne forse il regno di Spagna, ma non so se sia il caso di vantarsene – sta davvero pensando di imitare le scelte del governo Conte e della classe dirigente italiana nel suo complesso.
Anche in Italia, a dire il vero, le voci critiche non mancano. Per esempio il dottor Andrea Crisanti, che non pare convinto dell’irreprensibilità dell’azione governativa e delle innate capacità italiche di “spezzare le reni” alla Covid-19.
Le parole del dottor Crisanti sono importanti per molti aspetti. A parte la valutazione sull’operato del governo centrale e di quelli locali, solleva un tema fin qui trattato poco e male: quello della diversità delle situazioni tra i diversi territori. Cito dall’articolo:
Ogni territorio inoltre richiede uno specifico trattamento: “Ad esempio la Sardegna ha un problema diverso dalla Lombardia e richiede un approccio totalmente diverso – afferma -. Se non affrontiamo il problema con questo metodo, sarà sempre più difficile uscirne”.
La retorica prevalente, anche nelle critiche di sinistra più argomentate, inserisce la cosiddetta regionalizzazione della sanità pubblica tra le concause dell’inefficace risposta all’epidemia.
Un discorso un po’ di comodo, un luogo comune che riscuote un certo successo acritico, che fa torto alla complessità della situazione.
Lo stato italiano è tutt’altro che omogeneo, sia come conformazione geografica e demografica, sia per molte altre variabili. Il centralismo ottuso che lo caratterizza fin dalla nascita è uno dei suoi elementi storici di debolezza, anche se è stato utile alla sua classe dominante.
Il nazionalismo italiano, sia di destra sia di sinistra, non ha mai fatto i conti con tale questione e non riesce nemmeno a vederla come uno dei problemi più spinosi. Ma è e resta un problema, anche e soprattutto nella presente circostanza di una pandemia il cui sviluppo è così evidentemente diverso da territorio a territorio.
Pensare di trattare tutti i territori allo stesso modo è come pensare che ciò che vale per una porzione della popolazione sia valido per tutti. È un problema strutturale dell’egemonia culturale della classe dominante italiana. Ed è una palese sciocchezza.
Ciò che dice il prof. Crisanti è persino banale, nella sua aderenza alla realtà, eppure è un nodo quasi totalmente rimosso dallo scenario.
La Sardegna, che pure sostiene totalmente la sanità pubblica (e anche quella privata) con i soldi dei contribuenti sardi, ha subito passivamente non solo l’epidemia, ma anche le misure governative adottate per contenerla.
La nostra classe politica storicamente non ha mai maturato una propria visuale autonoma (benché tutti si riempiano la bocca con l’autonomia), né un proprio spazio di azione radicato in Sardegna e alla Sardegna rivolto. Non ce l’ha nel DNA politico. Chi occupa ruoli istituzionali e decisionali di solito viene selezionato proprio in virtù di questa mancanza, non certo per meriti o capacità.
Una tipica condizione coloniale, in questo senso.
Per questo – come già rimarcato – non è nemmeno questione di maggioranza e opposizione. Lo vediamo bene quanto poco conti in Sardegna questa dialettica fittizia, questa mera rappresentazione scenica, in tempi in cui bisogna davvero far politica e assumersi delle responsabilità reali.
Ma c’è anche un aspetto concreto, da tenere presente, legato a quello. La mediocre politica sarda di norma deve rispondere del proprio operato a grumi di interessi particolari, che ne sostengono le possibilità di carriera e ne garantiscono la legittimazione.
I vari sponsor, finanziatori, mediatori, che tengono in pugno le consorterie politiche sarde, non lo fanno gratis. C’è sempre un corrispettivo, degli obiettivi concreti che la politica sarda è tenuta a rispettare.
Chiaro, non sono cose che si dicono apertamente o che i mass media principali indagano e riportano al pubblico, benché spesso si tratti di cose piuttosto note negli ambienti meglio informati e che l’opinione pubblica in larga parte percepisce ugualmente.
La Sardegna non è in una condizione di democrazia reale, né il livello politico risponde davvero alla cittadinanza in termini di rappresentanza e di delega trasparente e responsabile. Sappiamo come funzionano le cose, non è necessario tornarci su.
Se in tempi normali questa condizione è una zavorra pesantissima, in tempi eccezionali diventa una minaccia letale.
L’inadeguatezza, l’impreparazione, la cialtronaggine manifesta di chi governa la Sardegna in questi tempi non è casuale né si discosta di molto dal modello consolidato nei decenni. Non è così peggio di chi ha preceduto l’attuale giunta Solinas.
Tuttavia adesso ci sono loro e le stanno combinando sempre più grosse.
Aver appaltato il governo della Sardegna alla Lega, sia pure con personale politico riciclato dal panorama locale e transumato in modo trasformistico nel PSdAz, comporta anche l’obbligo di difendere certi interessi e certi modelli di appropriazione e di estrazione di valore, specie dalle risorse pubbliche.
La sanità è uno dei settori privilegiati, in queste operazioni. Importare il modello della sanità lombarda, che già a casa sua non sta proprio dando un bell’esempio di efficienza organizzativa (nonostante il sacrificio del personale sul campo), in Sardegna assume direttamente e immediatamente dei connotati coloniali.
Il terreno è stato dissodato e preparato dalla scellerata riforma Pigliaru-Paci-Arru, i cui effetti negativi erano facilmente prevedibili a suo tempo e solo pochi giorni fa hanno anche trovato tragica verifica. Ma non dimentichiamo il lavorio costante delle amministrazioni precedenti, da tempo seguaci entusiaste del verbo clientelar-privatistico. La cricca oggi al potere non fa che approfittarne per saldare i proprio debiti.
Non possiamo stupirci se la giunta Solinas ora coglie l’occasione per dirottare verso la sanità privata ulteriori fondi pubblici. E nemmeno che sia tutt’ora concentrata più sull’aumento delle cubature in riva al mare che sull’aumento delle dotazioni agli ospedali.
Lo spettacolo inverecondo offerto di giorno in giorno dall’assessore Nieddu, aggravato dalla patetica ostensione sul suo bavero della spilletta leghista (quella col personaggio mitologico di Alberto da Giussano), non è un inconveniente imprevedibile.
Insomma, ci siamo capiti. Non credo servano ulteriori approfondimenti.
Nel frattempo, la fabbrica di morte della RWM di Domusnovas non solo non ferma la produzione, come ventilato nei giorni scorsi, ma la raddoppia. Le misure anti-contagio valgono contro i raccoglitori di asparagi e gli escursionisti solitari, o contro i bambini, ma non per gli operai (i più sottoposti al rischio) e soprattutto i padroni (che ci guadagnano su).
O vogliamo parlare dei trasporti? È il caso di soffermarci sull’ennesimo capitolo della (dis)continuità territoriale garantita dal gruppo Tirrenia-Moby di Vincenzo Onorato? Meglio di no.
E potremmo continuare con altri mortificanti esempi della consueta cronaca coloniale. Non lo faccio, perché è sempre doloroso e notevolmente frustrante.
L’unico motivo per cui vale la pena di continuare a parlarne è per sottolineare – ancora una volta – come l’eccezionalità delle circostanze faccia emergere in modo quasi violento l’insostenibilità della nostra condizione subalterna e l’inaccettabilità della pulsione servile e opportunista della nostra politica istituzionale.
Vale la pena di farlo anche per avere degli argomenti solidi, ragionati e basati su evidenze fattuali, contro il tentativo, già nelle cose, di accentuare in termini autoritari il centralismo statale e indebolire e infine azzerare le autonomie.
Esito caro ai nazionalismi reazionari e alla stessa tecnocrazia europea, ma che va nel verso opposto alla necessità di profonda e radicale democratizzazione delle istituzioni pubbliche, secondo un modello confederale e solidale, non solo e non tanto in Italia, ma nell’intera Europa.
E naturalmente vale la pena di farlo per fissare la memoria di quanto succede, in modo da tenerne conto a tempo debito.
Non sappiamo come si evolverà la situazione. Per la Sardegna la sensazione è che il peggio debba ancora venire. Le notizie dal campo che arrivano dai presidi ospedalieri e dagli amministratori locali ci offrono un quadro sconfortante.
Il vergognoso favore della giunta Solinas per le cliniche private è anche una mancanza di rispetto per il personale ospedaliero pubblico, fin qui mandato allo sbaraglio in prima linea, a proprio rischio e pericolo.
La diffusione del virus nei nostri comuni – e non solo nelle case di riposo per anziani, ormai – è spiegabile solo con l’assenza delle misure minime di contenimento e prima ancora di monitoraggio, a dispetto delle indicazioni puntuali di esperti come il prof. Crisanti, di cui sopra, o del prof. Galli.
L’inettitudine della giunta e della stessa opposizione in Consiglio regionale si scarica sulle amministrazioni municipali, che stanno emergendo come il presidio democratico più solido, per le nostre comunità. Ma occorre sostenerle e dotarle di strumenti e risorse.
Insomma, ci sono buone ragioni per alzare il livello di guardia e mantenerci estremamente vigili, senza illusioni, ma anche senza disperare.
Continuiamo a seguire gli sviluppi, in attesa di poter tirare le somme e di trarne le dovute conclusioni politiche.