Beni pubblici, diritti collettivi e buona politica

La nomina di Chicco Porcu (PD, di quale corrente non saprei) a capo dell’ARST (uno degli enti regionali più importanti e strategici) è ordinariamente scandalosa.

Ordinariamente, perché non propone nulla di nuovo sul fronte della gestione della cosa pubblica da parte della politica istituzionale.

È perfettamente normale che le bande e le cordate che spolpano assatanate la carcassa del patrimonio pubblico non si facciano troppi scrupoli, in questo genere di operazioni, specie in periodo pre-elettorale.

Bisogna dare contentini a possibili variabili impazzite, bisogna sistemare vice-capi banda e reggicoda vari in modo che garantiscano la loro fedeltà. Bisogna disinnescare possibili conflitti. Bisogna occupare posti che torneranno tatticamente utili quando ci sarà da raggranellare qualche centinaio di voti in più.

È una decisione comunque scandalosa, perché consiste unicamente in una ricollocazione in un posto di grande responsabilità di personale politico non altrimenti sistemato, a discapito di competenza, trasparenza, senso civico, visione politica.

Il problema andrebbe risolto alla radice.

È noto che l’amministrazione pubblica dei beni e dei servizi di interesse generale è più efficiente di quella privata. Su questo esiste molta reticenza, ma gli studi in materia sono concordi nel segnalare come non esista interesse o bene collettivo che possa essere efficacemente gestito e/o offerto da privati.

Il che è persino ovvio, dato che i privati hanno come scopo quello di massimizzare i profitti, cioè un obiettivo quasi mai compatibile con una corretta gestione in nome e per conto di interessi generali.

I beni e i servizi pubblici devono essere gestiti e/o offerti sulla base di una logica totalmente diversa da quella che sottende al processo capitalista. Nella loro natura non è prevista la necessità di profitto e di estrazione di valore dal capitale e dal lavoro.

C’è invece l’esigenza di soddisfare bisogni collettivi e di garantire un accesso universale a beni e servizi reputati fondamentali in un regime politico che voglia essere davvero – e non solo proclamarsi – democratico.

Tutta la retorica sugli sprechi dell’amministrazione pubblica, sulla corruzione, sulle inefficienze, ecc. è in larga misura appunto solo retorica. Nel tempo ha costruito un feticcio ideologico che ormai ha preso piede nelle coscienze dei più, ma non per questo è più veritiero.

Si sa invece che la corruzione è altissima e sistematica anche laddove prevalgono gli interessi privati. Basti pensare a quello che succede regolarmente a livello internazionale, con le grandi multinazionali che fanno a gara a chi corrompe di più. E a livello altissimo, di governi e di interi stati.

È una delle forme del neo-colonialismo, del resto. Non è che ci sia da cadere dal pero. Il nostro maggiore benessere rispetto alla gran parte della restante umanità si regge anche su queste pratiche disdicevoli (ohibò!).

Insomma, è del tutto possibile gestire proficuamente beni, servizi, enti e reti infrastrutturali a livello pubblico, garantendone qualità e quantità.

Il problema si affronterebbe alla radice non privatizzando e sottoponendo beni comuni e diritti di cittadinanza alla mera logica del profitto privato, bensì assicurando qualità e trasparenza nella scelta del personale e dei dirigenti delle varie entità pubbliche.

Risultato che non si potrà mai ottenere se la nomina dei vertici di enti, aziende e uffici rimane in capo ai partiti dominanti e alle loro fazioni.

Oltre alla politica intesa in senso alto, ai grandi orizzonti ideali, agli impegnativi obiettivi storici, bisognerebbe dedicare un po’ di forze e di attenzione anche a questo fronte più pratico e immediato.

Voglio proprio vedere, magari già nella prossima campagna elettorale ormai alle porte, come si porranno gli schieramenti candidati su questo tema.

Che andrà messo in agenda.

Basterebbe dichiarare che si lavorerà affinché i ruoli di responsabilità e di gestione in tutti gli enti pubblici o a partecipazione pubblica siano stabiliti sulla base di concorsi, pubblici anch’essi, con tutte le garanzie di serietà, trasparenza e controllo possibili.

Un impegno chiaro, esplicito, verificabile.

Non stiamo parlando di poca cosa. L’amministrazione pubblica regionale è un mastodonte. Pensiamo ai trasporti (ARST, Autorità portuale, ecc.), all’ambito culturale (ISRE, musei, ecc.), al diritto allo studio (ERSU), alla gestione di servizi importanti in materia ambientale e agroalimentare (ARPAS, LAORE, ecc.), al moloch Abbanoa…

Pensiamo alla ASL unica e a tutti i primariati e i posti dirigenziali nell’amministrazione della sanità pubblica.

Le bande che fanno capo ai vari leader dei partiti dominanti si spartiscono gigantesche quantità di denaro pubblico, migliaia di voti (suddivisi in comodi pacchetti da mobilitare o spostare all’occorrenza), potere di influenzare la vita di tutti i cittadini.

Mettere a capo di un ente pubblico un proprio fedelissimo al momento giusto può sancire una vittoria elettorale o addirittura decidere un’intera carriera politica.

O pensiamo che quando si fanno le famose “nomine” l’obiettivo della politica istituzionale sia di mettere la migliore persona possibile nel posto più consono alle sue competenze? magari in nome di un interesse generale?

Questo è un tema poco attraente, ma decisivo. È uno di quelli su cui è lecito e anzi doveroso mettere alla prova chi si candida alla rappresentanza popolare e al governo della Sardegna.

Scandalizziamoci pure per l’ennesima spartizione sfacciata, ma cerchiamo di ricordarcene soprattutto al momento di decidere. È un nostro potere di cittadini. Non ne abbiamo molti. Usiamolo bene.

 

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