L’Unione sarda di avantieri ospitava un articolo di fondo di Nicolò Migheli (poi ripreso in vari siti web) sull’imminente acquisizione, da parte di due società non sarde, di diciassettemila (17’000) ettari di terreni agricoli da destinare alla coltivazione di canne. Utilizzo finale? La produzione di biomasse da bruciare.
Diciassettemila ettari sono un’estensione enorme. Un ettaro sono due campi da calcio, più o meno. La proporzione è presto fatta. È una notizia sconvolgente, dunque, che ha avuto un certo riscontro di condivisioni e commenti su internet. I suoi risvolti pratici, economici e politici sono del tutto evidenti. Oggi, tuttavia, sembra che la cosa non sia avvenuta, che non se ne sia parlato nemmeno. Non è un bel segnale.
La Sardegna si trova in una situazione di estremo rischio. I processi di spopolamento e invecchiamento della popolazione, di impoverimento materiale e culturale, le carenze infrastrutturali e la pressione fiscale stanno generando una fase della crisi in corso da cui potrebbe essere estremamente difficile uscire. L’arrendevolezza della politica regionale verso il governo italiano è uno degli elementi di maggiore preoccupazione. Nonostante le ripetute minacce all’autonomia, alle finanze, al territorio, la risposta che la giunta Pigliaru riesce a dare è un costante gioco di annunci e rassicurazioni, a cui segue un aggravamento delle minacce, senza reazione alcuna.
Clamorosa e significativa la scelta di sollevare la questione di costituzionalità sulla costituzione di parte civile della RAS nel processo per l’inquinamento del Salto di Quirra, in corso a Lanusei. Una scelta dell’amministrazione regionale che costringe il giudice a interrompere il procedimento e rinviare le carte alla Corte Costituzionale, senza speranze che la questione sia risolta in tempi brevi. Decisione che ha tutta l’aria di un trucco di bassa lega per dare l’idea di aver tenuto conto delle pressioni dell’opinione pubblica sulla faccenda, mentre invece in sostanza si corre in soccorso del governo. Contro gli interessi della Sardegna.
Il silenzio sullo scadalo dei 17mila ettari in procinto di essere sottratti a usi civili e produttivi, in questo contesto, è abbastanza spiegabile. È l’ennesima manifestazione del dipendentismo congenito della classe dominante sarda, quella che fa carriera nei partiti italiani e che occupa ruoli dirigenziali o operativi nell’università, nei grandi enti strumentali, nelle fondazioni bancarie e ovunque si possano controllare soldi, gestire relazioni, agire da intermediari tra centri di potere e interesse esterni e l’isola.
In assenza di una vera opposizione dentro le istituzioni (assenza garantita dalla pessima legge elettorale regionale: a proposito, non faceva parte dei buoni propositi, la sua immediata modifica?), è necessario da un lato tenere informata l’opinione pubblica su quanto succede, da un altro generare una mobilitazione diretta sul territorio. Sarebbe utile sapere dai sindaci delle zone interessate cosa hanno intenzione di fare. Abbiamo visto che, nel vuoto politico, i privati sono spesso troppo deboli per opporsi a forme di accaparramento rapace. L’aumento delle imposte fondiarie agevolerà chi vuole acquistare lotti di terreni ingestibili dai presenti proprietari. Non è una situazione inedita, in Sardegna. Sappiamo che non ne è venuto mai niente di buono.
Cosa hanno da dire in merito i partiti italiani? E i propagandisti del voto utile e della mancanza di alternative? I cantori delle virtù dell’onesto Pigliaru, i sovranisti, i populisti di tutti i colori (dai grillini agli adepti della Zona Franca) non hanno proprio nulla da eccepire a questa deriva delle neo-chiudende? Almeno gli indipendentisti potrebbero assumersi il carico – come sempre – di tenere in agenda il tema. Per ora siamo tutti un po’ distratti, mi pare. Tuttavia non basterà parlarne. Occorrono misure concrete di natura normativa e amministrativa.
Il land grabbing in Sardegna è uno dei mali più pericolosi di questi anni. Non possiamo permetterci, in questa circostanza, di accorgerci dei danni a cose fatte, quando cominceremo a pagarne profumatamente le conseguenze. Non siamo in una condizione che consenta di assorbire senza grossi scompensi ulteriori disastri. Non possiamo aspettare che sia la storia a giudicare le scelte odierne. Chi ha responsabilità pubbliche – politiche, amministrative, intellettuali – deve farsene pienamente carico adesso e risponderne compiutamente ai Sardi. Di oggi e di domani.