Il 9 novembre è una data che si presta agli eventi storici. Nel 1799 in questo giorno venne attuato il colpo di stato che chiuse anche formalmente la parabola della Rivoluzione francese, istituendo il Consolato e affidando il paese a Napoleone Bonaparte. Questa ricorrenza non è stata ricordata, ieri.
Ieri, mentre a Berlino si celebrava il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro, a Barcellona e nel resto della Catalogna si teneva la consultazione popolare sull’indipendenza da Madrid. Questi due fatti sono stati invece collegati da qualche osservatore, che li ha messi in contrapposizione l’uno con l’altro.
La caduta del Muro, secondo un’interpretazione diffusa, rappresenterebbe la vittoria dello spirito di conciliazione, unità e democrazia che ha trionfato allora in Europa, mentre la consultazione catalana riguarderebbe lo spirito particolaristico, egoista e separatista delle “piccole patrie”.
Quando Napoleone prese il potere, alla fine del 1799, era imminente l’attacco della Seconda Coalizione contro la Francia, ma gli sconquassi politici e militari duravano ormai da quasi un decennio. L’esistenza della Francia rivoluzionaria e della Repubblica (dal 1792) rappresentava un simbolo, una meta o una speranza di appoggio militare per le istanze di eguaglianza, democrazia e libertà di molti gruppi sociali, in giro per il continente. Dove prima (in Sardegna, per esempio), dove dopo (in Belgio, in Italia e altrove) si moltiplicarono i tentativi rivoluzionari, spesso con la complicità o con l’intervento diretto delle armi francesi.
Le armate napoleoniche, dopo il 1799, dilagheranno fino ai confini dell’Europa, portando con sé tutte le contraddizioni di una guerra imperialista, condotta in modo autoritario, fatta in nome di principi di libertà.
Già questi elementi favorirebbero l’accostamento tra istituzione del Consolato in Francia e caduta del Muro di Berlino. La Rivoluzione di ottobre è stata molto meno rievocata, ma il suo anniversario cadeva appena due giorni prima di quello della caduta del Muro (7 novembre 1917, secondo il calendario gregoriano).
L’esistenza stessa dell’URSS e persino il suo imperialismo hanno avuto effetti fortissimi sulle possibilità di emancipazione e di conquista di diritti di molte popolazioni, in Europa e nel mondo, spesso a dispetto delle intenzioni e a volte degli interessi dell’apparato sovietico.
Napoleone aspirava ad unire tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali, sotto l’egemonia francese. Un disegno piuttosto folle, ma ricorrente, dalle nostre parti. Da che l’idea stessa dell’impero universale fu concepita da Alessandro Magno e applicata da Roma antica, in Europa essa ha avuto vitalità e tentativi di realizzazione pratica in varie e poche e a più riprese, da Carlo Magno a Hitler.
Solitamente questa ambizione unificatrice, lungi dall’essere portatrice di benessere e libertà, ha comportato stragi, devastazioni e problemi di difficilissima risoluzione, quale che fosse lo spirito con cui se ne intraprendeva l’attuazione.
D’altra parte possiamo ben dire che anche le spinte nazionaliste hanno prodotto a più riprese danni maggiori dei vantaggi che si proponevano di ottenere, spesso su una scala molto più grande di quella di partenza. Basterà in questo caso evocare un fatto il cui centesimo anniversario cadeva proprio quest’anno: l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria a Sarajevo, il 28 giugno 1914.
Come si vede, esiste una dialettica difficile da semplificare tra le premesse ideali, le intenzioni e gli interessi che stanno dietro ai meri avvenimenti e i processi in cui essi sono immersi.
Gli avvenimenti catalizzano le energie storiche accumulate e le fanno deflagrare, spesso producendo sbocchi inattesi o contraddittori.
Quel che è lecito trarne come insegnamento è che la Storia è un affare complesso, in cui le categorie astratte di Bene e Male non hanno diritto di cittadinanza. Ce l’hanno forse le categorie pratiche di Giusto e Ingiusto, ma anche in questo caso il discorso si fa scivoloso e solo raramente è dato di poter stabilire un confine netto, e comunque solo a patto di non dimenticare che anche il Giusto si porta appresso un grande prezzo da pagare (basti pensare ai bombardamenti indiscriminati sulla Germania, o alle due atomiche sul Giappone, nella seconda guerra mondiale).
Purtroppo però si assiste costantemente al tentativo di manipolare gli eventi e i loro significati da parte di chi detiene il controllo dei mass media e di chi organizza il sapere.
È un viziaccio da cui la nostra specie non riesce a liberarsi. La retorica ipocrita riversata sulla celebrazione berlinese ne è un esempio.
A dispetto del senso comunemente dato alla Caduta del Muro, il trionfo dell’ideologia totalitaria capitalista che ne è seguito non ha avuto altro esito storico che coprire di un’aura di inevitabilità e indiscutibilità la sottomissione dei diritti e della democrazia, dell’equilibrio ecologico e dei beni comuni al profitto e agli interessi economici particolari.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Bisognerebbe rifletterci di più e meglio, soprattutto in questo periodo di ristrutturazione dei rapporti di forza internazionali, col presidente degli USA in Asia a concordare spazi di libero scambio, mentre potenti lobby sovranazionali perorano l’approvazione del TTIP in Europa. La rivoluzione forse non russa, ma il grande capitale non dorme mai.
Nello stesso modo distorto si affronta la questione dell’autodeterminazione dei popoli. Presentata come un residuo di epoche lontane, o associata a istanze antidemocratiche e xenofobe, si perpetua il grande torto che si fa alla Storia quando la si vuole ridurre a categorie elementari e schematiche.
I commenti alla consultazione catalana sono desolanti, specie in ambito italiano. Confusione storica, ignoranza delle diverse situazioni, allarmismo strumentale condiscono una retorica che vede invece nell’unità coatta e artificiosa l’unica via percorribile.
Ma sappiamo bene che questa è solo una pretesa ideologica. Enfatizzare il solo livello politico-istituzionale dato, facendone discendere automaticamente diritti, libertà e benessere è un inganno evidente, che serve a mascherare solo la difesa dello status quo.
Il discorso della democrazia e dei diritti non può essere accessorio, né subordinato ad altro. Deve essere centrale. Questo sia che si tratti di discutere della forma dell’Unione Europea e delle spinte indipendentiste in Europa, sia che si tratti della nuova guerra fredda tra USA e Russia, o del Medio e Vicino Oriente o di altro.
Rievocare in termini puramente sentimentali la Caduta del Muro e al contempo stigmatizzare le istanze di autodeterminazione presenti intorno a noi, senza porre in primo piano la questione dei diritti, dell’eguaglianza, della democrazia è una narrazione tossica.
Viceversa, connettere le istanze di autodeterminazione alle questioni democratiche è più che mai necessario. Un’Europa dei popoli, fondata su principi emancipativi, attenta alle questioni ambientali e alla tutela dei beni comuni sarebbe una risposta lungimirante ed esemplare all’inerzia bellica che sta caratterizzando inevitabilmente questa epoca di transizione storica.
È più importante impedire che i diritti e i beni comuni siano sottoposti ancora più rigidamente alla ferrea meccanica del profitto privato, che predicare crociate contro l’indipendenza di popoli con una storia ben più lunga di quella dell’Unione Europea.
In questo contesto, separare correttamente le istanze xenofobe e etno-centriche da quelle democratiche e inclusive è fondamentale. Le prime sono spesso un mero paravento per interessi molto concreti e alquanto opachi: la lezione del fascismo e del nazismo dovrebbe essere studiata bene, almeno quanto quella dello stalinismo.
Le altre, le aspirazioni democratiche all’autodeterminazione, non solo non hanno niente a che fare con razzismo, autoritarismo e sopraffazione, ma possono essere il lievito madre di una nuova Europa, grande, unita nella democrazia e nella difesa dei diritti, soggetto storico plurale ma forte e coeso in un mondo multipolare ad alta probabilità di conflitto globale. Senza bisogno di ricorrere a un nuovo Napoleone, all’imperialismo e all’imposizione di regimi autoritari.
È un tema che non si può eludere, o ne pagheremo le amare conseguenze.