La recente sentenza della Corte di Cassazione italiana sulle adozioni alle coppie omosessuali ha scatenato reazioni di vario segno sui mas media e nell’opinione pubblica. Un po’ meno il problema del femminicidio e della violenza di genere, che comunque rimane un tema caldo, sia pure sotto traccia. A occhio tuttavia non sembra che queste questioni generali trovino spazio nell’agenda del dibattito pubblico sardo.
Sarà che continuiamo a percepirci come parti in causa di quel che veicolano i mass media italiani, ma fatto sta che pochi si pongono il problema di come questi temi possano e debbano essere declinati dalle nostre parti. Come se in Sardegna non esistessero.
Applicare alla nostra realtà le categorie e le cornici interpretative imposte dal mainstream culturale e mediatico italiano, in questo caso come in altri, non basta a darci conto dello stato delle cose e anzi normalmente è controproducente, sia per la comprensione dei fenomeni e delle dinamiche in corso, sia per cercare soluzioni praticabili.
Sulla figura femminile in Sardegna e sulla questione di genere troppo spesso ci si affida a luoghi comuni estratti dal nostro mito identitario (il “matriarcato” in salsa sarda, ad esempio). Nel caso delle questioni relative alla comunità LGBT e all’omofobia il dibattito è addirittura inesistente. I (pochi) tentativi di sollevarlo cadono per lo più nel vuoto.
Probabilmente si fa fatica a coniugare l’idea che abbiamo di noi stessi con questo tipo di tematiche. La nostra mitologia spicciola ci vuole sempre “arretrati” e fuori dal mondo, tendenzialmente a-storici, “non contemporanei”. La sola ipotesi che in Sardegna esistano e abbiano una qualche consistenza discriminazioni e violenze di genere, omofobia e questione dei diritti della comunità LGBT per tanti fa a pugni con l’immagine del sardo pellita, o del rude pastore, o del balente che in fondo all’animo di molti di noi esemplifica la nostra quintessenza antropologica. Non sono cose da sardi, sembrerebbe di capire. Il che configura già di suo un pregiudizio di genere, per altro. Nelle realtà più urbanizzate (che però non sono la regola in Sardegna) esiste sicuramente un approccio più laico e aperto a tali questioni, ma qui è ancora più evidente il conformismo ai modelli e alle strutture narrative imposti dai mass media italiani.
Sarebbe invece oltremodo interessante avviare degli studi sistematici, sia storici sia sociologici, su quest’insieme di questioni. Dotarci di un quadro di conoscenze strutturate e al passo con le acquisizioni metodologiche e contenutistiche a livello internazionale. Ho idea che ne verrebbero fuori esiti sorprendenti. In ogni caso ne sapremmo di più.
Sarebbe inoltre opportuno e meritorio che le forze politiche che animano lo spazio pubblico sardo si facessero carico anche di questi temi, abbandonando la prudenza pelosa ed ipocrita che le spinge a rimuovere dal proprio orizzonte qualsiasi questione che non sia facilmente riducibile a comodo strumento di consenso.