Ieri è uscito (dove ancora arrivava il giornale) l’ultimo numero del quotidiano Sardegna24. Una notizia che apparentemente non cambia la vita di nessuno (tranne quella di chi per questo perde il lavoro) e che non sucita grande scalpore.
Su internet il dibattito è più caldo. Pare che questa avventura editoriale sia riuscita a guadagnarsi molti nemici. Non è difficile in Sardegna. Basta scontentare qualcuno e il gioco è fatto. Tra l’altro non serve a nulla, se non a peggiorare la situazione, accampare le ragioni della libertà editoriale o del pluralismo: dalle nostre parti tutto si legge con le lenti del familismo e dei rapporti feudali e l’appello ai sani principi non è mai preso sul serio.
Per questo prevalentemente chi parla di questo accadimento lo fa con una certa malcelata goduria. Tutti a guardare di chi è amico chi, a chi conveniva questo o quello, quali interessi reali (perché quelli dichiarati ovviamente non possono esserlo) ci siano dietro. Più pettegolezzo da vicinato, che analisi distaccata. Che comunque non dovrebbe limitarsi ad enumerare le pur evidenti lacune del progetto giornalistico e comunicativo. Per esempio la scarsa confidenza di Giovanni Maria Bellu, direttore e poi anche editore del giornale, con la realtà sarda, dopo molti anni di assenza. E poi i troppi buchi giornalistici, poco coraggio nell’infrangere gli schemi di certo giornalismo italiano in salsa sarda (già largamente rappresentato da altri), poca attenzione a questioni dal peso crescente, sebbene marginalizzate dai media mainstream.
Infatti, al di là della vicenda contingente di Sardegna24, rimane tutta intatta la questione fondamentale, ossia l’assetto gravemente sbilanciato e scarsamente libero dei mass media sardi. Per questo non capisco la soddisfazione astiosa per la chiusura di quel giornale.
Se in Sardegna ci fosse una stampa libera, probabilmente i sardi avrebbero maggiore coscienza di molti dei propri problemi, delle loro radici, delle scelte (o mancate scelte) che si fanno in proposito. Prendiamo la questione delle entrate: nessun organo di stampa ha preso in mano il dossier e l’ha spulciato per rendere conto ai lettori/cittadini dell’intero inghippo. Sulla gravissima vertenza industriale si sprecano gli articoli, i resoconti e le interviste, ma non c’è stato il benché minimo approfondimento, se non parziale e a babbo morto. Delle questioni relative al comparto agricolo e zootecnico si conoscono solo gli aspetti superficiali, le notizie relative alle tante manifestazioni di piazza, le dichiarazioni dei leader dei vari movimenti, in carca di visibilità, e poco altro. Un caso come il Progetto Eleonora della Saras tanto per dire (offensivo anche nel nome, oltre al resto) ha dovuto attendere l’impegno di un comitato di cittadini e di un partito politico indipendentista per emergere in tutta la sua portata. Così come la questione dei radar costieri. E sul GALSI gli organi di stampa sembrano organi del PCUS più che libere fonti di informazione.
I motivi di tanto pressapochismo e di tanta voluta disinformazione sono diversi e sono nondimeno abbastanza chiari. In Sardegna non esiste un giornalismo libero, sganciato da interessi ulteriori rispetto a quelli editoriali e fondato su una visione della Sardegna e dei sardi come soggetto collettivo storico. Esiste invece un’informazione pesantemente vincolata a interessi di parte e tributaria verso una rappresentazione folklorizzante e una narrazione tossica di noi stessi.
Come qualcuno sa, il gruppo dell’Unione fa capo a un centro di potere con ramificazioni in diversi settori economici, in primis immobiliari, incarnato da Sergio Zuncheddu. La Nuova, organo del gruppo L’espresso, risponde a un altro centro di potere economico capeggiato da De Benedetti, con interessi – tra gli altri – in campo energetico. Entrambi ricevono cospicue somme dalla politica, soprattutto attraverso la pubblicità istituzionale. Inoltre soffrono degli stessi limiti di cui soffre la stampa in generale in Italia: la necessità di vendere non molte copie ai lettori ma i propri lettori agli inserzionisti pubblicitari. L’esistenza di un giornale come Sardegna Quotidiano non compensa affatto le lacune del settore, per quanto sia ammirevole lo sforzo di quella redazione di offrire qualcosa di diverso. Ma trattandosi di una sorta di freepress (ossia, a diffusione gratuita) e limitandosi a coprire la sola provincia di Cagliari, il suo impatto è inevitabilmente marginale.
Le televisioni principali sono nella stessa situazione. Videolina appartiene al gruppo L’Unione di Sergio Zuncheddu (con le conseguenze evidenti che questo comporta) e Sardegna1 all’imprenditore immobiliare, turistico e bancario Giorgio Mazzella (con esiti abbastanza deludenti e con tanto di episodi clamorosi proprio in queste settimane, come il licenziamento, poi rientrato, di quattro giornalisti). Nell’insieme, un intreccio di fattori limitanti abbastanza pesante che non lascia spazio a troppa libertà di manovra. Situazione tanto più grave in quanto si sposa alla difficoltà di accesso a internet per una larga fascia di popolazione.
È inevitabile che tali organi di informazione non possano rappresentare veramente strumenti di emancipazione democratica. Difficile che rendano conto di fatti, atti, dinamiche che esulino o rischino di infrangere l’egemonia culturale conformista, vagamente sardista, ipocritamente autonomista che essi stessi contribuiscono a produrre e perpetuare. Impossibile che arrivino a disturbare interessi e relazioni su cui si basa lo status quo subalterno e penalizzante che soffoca la Sardegna e da cui chi li controlla trae vantaggio. Il che prescinde dalla qualità e dall’onestà individuale dei singoli giornalisti che vi lavorano.
La vicenda di Sardegna24 si inserisce dunque in questo quadro. Benché maldestro e mal congegnato, il progetto di insinuare una voce diversa nell’oligopolio informativo sardo non era malvagia. Per riuscire però ci sarebbe voluta più indipendenza e più esperienza della realtà sarda. Senza dimenticare una maggiore attenzione a internet, ormai veicolo di una gran mole di notizie, idee, linguaggi. Queste condizioni se sono mancate fin da subito nel caso di Sardegna24 non è detto che debbano mancare nel caso di un riavvio dell’esperienza giornalistica oggi sospesa.
Nell’interesse dei cittadini e in nome di una maggiore salubrità dell’aria nel comparto informativo sardo non resta che auspicare che l’esperienza di Sardegna24 diventi il punto di partenza di una nuova impresa editoriale, che faccia tesoro dei limiti e degli errori del passato per ricostruirsi più solida e più libera. I primi ad augurarselo immagino siano i giornalisti di Sardegna24, ma – fatta la tara delle invidie e degli interessi ostili – è un augurio condiviso da molti cittadini desiderosi di avere a disposizione un’informazione meno provinciale, meno subalterna e più pluralista di quella oggi esistente in Sardegna.