Restare a galla aggrappati ai libri

Affondano le navi da crociera e viene da pensare che ad ogni hubris umana corrisponda una giusta nemesi. E ci sembra di affondare un po’ anche noi. Non nelle belle acque mediterranee (laddove non siano ancora criminosamente inquinate, chiaramente), quanto nel fango. O peggio.

Non bastassero le manovre finanziarie del governo italiano (così solerti a garantire profitti e privilegi a chi già ne gode e un po’ meno a curare la qualità della vita dei cittadini), ci si mette – da brava scolaretta – anche la nostra inutilissima Regione Autonoma a rovinarci le giornate.

In questo frangente mi riferisco in particolare agli annunciati tagli al finanziamento delle biblioteche. Una misura da nulla, si direbbe, rispetto ai problemi che abbiamo. E invece si tratta di una delle scelte più punitive e potenzialmente deleterie che si possano attuare.

Le biblioteche pubbliche sono un elemento determinante della qualità della vita di una comunità. Delle piccole comunità in particolare. In Sardegna, dove non esiste una pianificazione generale in materia e non è mai stato progettato un sistema bibliotecario comprendente tutto il territorio isolano, pure esiste una rete di biblioteche pubbliche di buon livello e di larga diffusione. Persino piccoli centri con poche centinaia di abitanti spesso hanno la propria sede bibliotecaria.

Una biblioteca pubblica non è solo un servizio complementare ed accessorio a qualcos’altro e non è solo un luogo di conservazione. Una biblioteca pubblica è un’entità viva e vitale. È un presidio culturale libero e accessibile a tutti. È un moltiplicatore di intelligenze. È uno strumento di comunicazione col mondo. È un luogo di relazioni. È una delle rare opportunità di lavoro intellettuale nei nostri paesi e nelle nostre città. Spegnerle, ridimensionarle, significa non avere idea di cosa sia il bene comune e la cura delle persone. Significa disinteressarsi delle basi stesse della convivenza civile.

È come se nel momento in cui fosse necessario aggrapparsi a qualcosa di solido per restare a galla, ci togliessero ogni appiglio, ogni possibilità di salvezza. Non è umanamente e politicamente accettabile.

Non che da chi governa la Sardegna oggi ci si potesse aspettare qualcosa di diverso. Ma, almeno per decenza, si poteva confidare che non si sarebbe messa mano in questo settore già deficitario e spesso affidato alla buona volontà e ai sacrifici di chi ci lavora (in molti casi a titolo precario). La motivazione addotta per privare le biblioteche dei già scarsi fondi di cui dispongono è risibile. Non si può pretendere di risparmiare spiccioli uccidendo un settore così essenziale della nostra vita associata mentre dall’altra parte si rinuncia a ottenere tutte le entrate fiscali che ci spetterebbeo di diritto e al contempo si spendono milioni e milioni di euro in consulenze e collaborazioni esterne, pubblicità istituzionale e ciarpame vario.

Che l’opposizione all’attuale giunta regionale non si esprima in merito a questa schifezza, ma trovi il tempo di sproloquiare su nostri presunti doveri verso l’Italia, per la salvezza del Paese (sempre l’Italia), con l’ottica subalterna e sghemba del podatario un po’ rintronato, la dice lunga sullo stato di confusione in cui si barcamenano i partiti maggiori e sulla loro ineguagliabile inadeguatezza al compito e al momento.

Il danno e la beffa si assommano in questa scelta demenziale e vergognosa della politica sarda “regionale”. È uno dei tanti scandali che rendono ancor più penoso questo passaggio storico. Non sarà mai troppa la forza con cui lo si segnalerà.