Dimensioni parallele

La dimostrazione che i sardi vivano in una sorta di dimensione atemporale, disarticolata dallo spazio-tempo in cui credono invece di esistere, ce la dà la distanza che corre tra le iniziative e lo spirito dell’azione politica, a tutti i livelli, e le questioni reali, impellenti con cui i cittadini hanno a che fare ogni giorno.

Elenchiamo giusto qualcuna delle emergenze più attuali,  scegliendo tra quelle a portata di cronaca.

Il sistema produttivo sardo e centinaia o migliaia di famiglie sono pressoché in ostaggio di un sistema tributario kafkiano, totalmente fuori dal nostro controllo e finalizzato a garantire interessi esterni all’Isola. Tra un po’ ci pignoreranno i nuraghi, se continuiamo così. Risulta che qualcuno dei nostri governanti se ne stia dando pensiero? Emerge una volontà chiara di inchiodare lo stato italiano alle sue responsabilità e alle sue inadempienze? Mi sa di no.

Ancora, in un’area di rilevante pregio agricolo, come quella di Arborea, la Saras cerca gas, pianifica trivellazioni, assapora l’aspettativa di profitti. Il tutto naturalmente senza alcun riguardo per chi vive da quelle parti, per la vocazione produttiva della zona, per il tessuto socio-economico locale e sicuramente senza molte preoccupazioni riguardo l’impatto ambientale e sanitario dell’operazione. Anche qui, non manca la complicità della politica sarda, naturalmente. Guai a mettersi contro quei benefattori disinteressati dei Moratti!

Altro ambito emblematico, drammaticamente in crisi, è quello culturale. In particolare, in questo caso, vorrei segnalare la condizione precaria della rete di librerie indipendenti sarde. Un tessuto distribuito capillarmente sul territorio fatto di piccole ma appassionate realtà commerciali slegate dalla grande distribuzione e dalle catene di librerie in franchising dei grossi gruppi editoriali italiani. Un patrimonio di cultura e attenzione al territorio insostituibile, eppure schiacciato dai costi crescenti (pensiamo ai canoni di locazione, sempre in aumento nonostante la crisi: una specie di cancro della vita civile, si potrebbe dire) e dalle entrate minacciate dall’ennesima espensione di centri comemrciali (garantita – questa sì – da una politica quanto meno miope e inefficiente, se non proprio corrotta). Perché la cultura non si mangia, secondo la nota massima del ministro dell’economia italiano. Una massima presa molto sul serio – e non da oggi – dalla classe dominante sarda.

La quale invece – e qui veniamo alla tesi secondo sui siamo solo inconsapevoli comparse in una rappresentazione assurda – si dedica molto volentieri a operazioni demenziali come quella denominata trekking culturale. Si dirà: cosa c’è di male? Nulla, risponderei io, se l’iniziativa fosse finalizzata a far scoprire i nostri luoghi storici e, con essi, qualcosa delle nostre vicende passate. Invece si tratta di una iniziativa nata in ambito italiano che quest’anno viene dedicata – tenetevi forte perché è una vera sorpresa – al Risorgimento. E sarebbe ancora niente, se tra le 31 città coinvolte non figurassero nientemeno che Nuoro e Oristano. Che cosa abbiano a che fare questi due centri sardi col Risorgimento italiano è presto detto: un fico secco. Infatti a Nuoro la passeggiata toccherà il centro storico e i musei cittadini, con ben pochi rimandi al tema della giornata (a meno che Grazia Deledda o la giovane donna del neolitico dal cranio trapanato trovata nella grotta Corbeddu non siano anch’esse eroine risorgimentali italiane) e a Oristano… le vie dedicate agli eroi del Risorgimento (è vero, giuro: è l’unico miserevole aggancio che siano riusciti a inventarsi).

Il Risorgimento italiano è la risposta concreta della classe dominante sarda alle questioni che minacciano le nostre vite, che le abbruttiscono e le impoveriscono, sia in senso materiale che immateriale. La panacea dei nostri mali è coltivare ossessivamente e compulsivamente il nostro complesso di subalternità, la nostra condizione meschina di ospiti imbucati in una storia altrui. Con epicentro a Oristano, ovviamente, città simbolo della nostra patologica smemoratezza. Sede – come non ricordarlo? – di prestigiosi convegni il cui tema cardine è l’accostamento di Eleonora d’Arborea alle eroine del Risorgimento italiano. C’è una certa coerenza di fondo, dunque. Una coerenza degna di miglior causa, decisamente.

La situazione, dunque, è che mentre in casa un cortocircuito ci priva dell’elettricità, scoppiano i tubi dell’acqua e la struttura dell’edificio cede, noi anziché deciderci a fare le riparazioni che servono e a farle con le nostre forze, ci immaginiamo che esista un padrone di casa onesto e responsabile, che tiene tanto a noi e che è giusto omaggiare ed adulare, per meritarne l’aiuto. Aiuto che – come in realtà sappiamo – non arriverà mai. Perché la casa in realtà è nostra e se non la ripariamo noi, non la riparerà nessuno.

Uno scenario meritevole di una sceneggiatura, tanto è paradossale e anche a suo modo tragicomico. Ma se non vogliamo morire nel corso di una rappresentazione della commedia dell’arte italiana è meglio che ci destiamo da questo sogno lisergico e ci diamo da fare. O la possima passeggiata culturale la faremo tra le nostre rovine.