Migliaia di sardi sono intenzionati a sottoscrivere un protocollo per essere utilizzati come oggetto di sperimentazione farmaceutica, in cambio di poche migliaia di euri. La notizia appare oggi, con tagli leggermente diversi, sui media locali. L’iniziativa era partita sotto la precedente giunta regionale, fortemente voluta dall’allora presidente Soru, ed è stata recepita e attuata – con inusuale solerzia – dall’attuale amministrazione Cappellacci (tra una inutile visita ai cassintegrati sulcitani e uno sproloquio sul crocifisso, il buon Nichele deve essersi ritagliato qualche minuto del suo tempo presioso per questa cosa). Lo scopo dell’iniziativa sarebbe di attrarre sull’Isola le multinazionali farmaceutiche. In mancanza di altre risorse, offriamo quel che possiamo: noi stessi. Niente male come dimostrazione della propria coscienza di sé.
Questa notizia mi fa tornare alla mente un episodio del film Il senso della vita (The Meaning of Life, 1983), dei Monty Python, in cui un povero padre irlandese, ovviamente cattolico, per risolvere il problema di un preoccupante surplus di prole dovuto al rifiuto di qualsiasi metodo anticoncezionale, si rassegnava a vendere alcuni dei suoi figli “per esperimenti scientifici”. Ecco, noi siamo messi un po’ così: non sapendo a che santo votarci, ci vendiamo per esperimenti scientifici. E senza avere l’attenuante del sovrapopolamento!
Il che fa il paio con un’altra vicenda, molto meno decisiva, ma che con essa in qualche modo si collega. Ha a che fare con la disavventura massmediatica di una ragazza sarda in uno dei reality show che infestano le televisioni italiche. Riporto di seguito il commento in proposito di Alessandro Soddu (uno storico, non a caso!), che mi sento di sottoscrivere:
E sì. Quel che non ci manca sono i complessi. Non nel significato di gruppi musicali sardi (i quali anzi proliferano e se ne stracicciano delle fisime autocastranti di cui soffrono altri settori della nostra collettività). No, intendo proprio quelle sindromi psicologiche che conformano o deformano la pecezione di sé stessi in relazione con l’esterno. Considerarsi così da poco da accettare come una buona opportunità quella di sottoporsi come cavie a esperimenti scientifici, ovvero tirare in ballo la propria provenienza (in termini di appartenenza etnica) come motivo di discriminazione altrui (dandola per scontata), sono un tutt’uno e non depongono certo a favore di una nostra prossima e imminente emancipazione storica.