Prestiti

Mentre in Congo si consuma l’ennesima tragedia umana senza sponsor e senza titoli sui giornali e i giovani italiani trovano buoni motivi per scendere in piazza, nessuno ancora mette in primo piano uno dei peccati mortali del sistema capitalista che domina il pianeta.

È un peccato largamente diffuso e talmente macroscopico da sfuggire allo sguardo. Eppure è quello che distruggerà il mondo, o almeno il mondo umano.

Pare che un vecchio capo pellerossa amasse ammonire gli uomini, specie gli uomini bianchi “civilizzati”, che la Terra non è un’eredità trasmessaci dai nostri padri, di cui possiamo disporre con prodigalità, ma un prestito contratto con i nostri discendeti. In un sistema che ha prodotto mostruosità come i mutui subprime o i titoli “derivati”, rammentare il semplice dovere di solvibilità degli obblighi sembra fuori moda. Eppure, a ben guardare, è proprio questo che possiamo attribuirci come maggiore capo d’accusa: aver dissipato e consumato le risorse vitali che spetterebbero alle generazioni future. Invece è evidente come nel sistema attuale i giovani siano solo una schiera di vittime dell’ingordigia e dell’individualismo degli adulti e soprattutto degli anziani. Lavoratori precari e mal pagati, primi obiettivi di qualsiasi campagna consumistica, fatti oggetto della più radicale e pervasiva opera di desensibilizzazione e destrutturazione culturale che la storia umana abbia mai conosciuto, saranno anche quelli che dovranno vivere in un mondo che non produrrà abbastanza per sostenerli tutti, in un ecosistema degradato e con aspettative circa il futuro decrescenti rispetto a quelle dei loro nonni.

Non c’è specie vivente, sul nostro pianeta, che si comporti in modo così dissennato verso le possibilità di sopravvivenza dei propri discendenti. Una madre aquila può arrivare ad uccidere o lasciar morire uno dei piccoli, se la sua sopravvivenza rischia di compromettere l’intera progenie. Le orche marine della penisola di Valdes, in Argentina, cacciano i leoni marini fin sulla battigia, ne fanno mattanza, nelle stagione delle uscite in mare dei giovani; eppure, quando sono sazie, smettono e, come rito, a titolo simbolico, traghettano a riva incolume un giovane leone marino sopravvissuto, come pegno per il futuro: un futuro comune, evidentemente. Il sano intelletto animale (come lo definiva Nietzsche) sembra un bel passo avanti rispetto alla tanto celebrata ragione umana.

Saremo in grado di rendercene conto per tempo o lo sforzo di consapevolezza necessario trascende le nostre capacità?

Be’, in questo secondo caso, temo che nessuno ci piangerà, nell’universo.