Il sistema cambia pelle

Si innalzano i peana per l’elezione di un presidente statunitense afro-americano (o giù di lì). Quando si dice che viviamo di simboli, molto più che di meri fatti, non è un’esagerazione. Tutta la faccenda ha un forte sapore di rappresentazione mediatica e di pura narrazione. Come si addice alla società dello spettacolo.

Rimane tutta intera la pressante incombenza della realtà. La crisi epocale, la transizione di civiltà che ci troviamo ad affrontare. Non basterà il colore della pelle di un uomo, per quanto potente, a far mutare l’inerzia dei processi in corso. Anzi, c’è da scommettere che saranno questi a condizionare l’azione del neo-pesidente americano piuttosto che viceversa. Senza considerare il peso dell’apparato burocratico-militare-industriale statunitense, le aspettative della popolazione circa il proprio tenore di vita e le dinamiche conflittuali già in atto per il controllo delle risorse scarse del pianeta. Non c’è da aspettarsi grandi rivolgimenti nella politica americana. L’opzione bellica è l’unica su cui l’intero sistema statunitense sembra potersi ancora fondare e non sarà abbandonata in nome di qualche generico ideale democratico. In questo, Barak Hussein Obama e molto più uomo di establishment di quanto vogliano farci credere. Come del resto lo era J.F. Kennedy (l’uomo politico più sopravvalutato del secolo, come lo definva E. Hobsbawm).

D’altra parte, parlare della crisi attuale come di un fenomeno storico improvviso o imprevisto sa più di mistificazione che di ingenuità. È almeno dai primi anni Settanta dello scorso secolo che viviamo la fase di decelerazione e ripiegamento del sistema capitalista. I dati sono tanto evidenti, anche solo uitlizzando i modelli teorici e i criteri di valutazione del sistema capitalista medesimo, che fa specie doverlo sottolineare. La famosa “età dell’oro” del XX secolo, ossia i primi tre decenni post-bellici, è stata una parentesi contingente, frutto di una somma di fattori concomitanti che hanno consentito la più rapida e impressionante transizione di civiltà del genee umano da che esso esiste. Naturalmente, l’inerzia dei processi fa sì che l’umanità non proceda tutta all’unisono, che ci siano avanzate, ritardi, acelerazioni e sbandamenti, a seconda delle condizioni particolari di questa o quella area del pianeta o di questa o quella popolazione. Ma la tendenza è chiara da decenni. L’impressione che negli ultimi trentacinque anni ci sia stato un arricchimento generalizzato è del tutto falsa. È il frutto della manipolazione dell’immaginario collettivo, e prima ancora delle stesse informazioni e percezioni, ad opera del potentissimo sistema egemonico. In realtà oltre a un vasto e diffuso impoverimento di larghe fasce della popolazione mondiale, anche nei paesi di quello che un tempo si chiamava il “primo mondo” (i paesi capitalisti occidentali e il Giappone, sostanzialmente) si è assistito alla divaricazione della forbice tra la parte più ricca e quella più povera della popolazione. Non c’è stato un vero aumento della ricchezza complessiva, bensì un vistoso spostamento di reddito verso la frazione più forte della collettività. Tanto che oggi si parla diffusamente della crisi, o addirittura della scomparsa, della “classe media”. Il tutto, accompagnato dal deterioramento generalizzato della qualità della vita.

Le ciance sul modello keinesiano contrapposto di nuovo, come panacea, al fallimentare modello liberista, sono fumo negli occhi dell’apparato propagandista dell’egemonia. La sola idea che si possa in qualche modo ripristinare un sistema basato sulla crescita della produzione e dei consumi si scontra con l’evidenza della finitezza delle risorse su cui invece esso dovrebbe fare affidamento illimitato. Il modello capitalista in quanto tale, non importa quanto corretto da alchimie monetariste o dal protagonismo degli stati in economia, mostra la corda. Lo si sa con certezza da almeno un decennio. Da quando cioè sono stati chiari gli esiti non transitori della crisi iniziata trentacinque anni fa.

Chi ha in mano le sorti collettive, non perché occupa cariche politiche ma perché detiene il controllo delle risorse, sta lavorando al mantenimento del proprio ruolo di potere. Molto meno invece a trovare soluzioni pacifiche, efficaci e condivise per traghettarci verso un sistema consono alle mutate condizioni.

Questo dobbiamo averlo chiaro, quando valutiamo ciò che ci accade intorno. Senza lasciarci incantare dalle suggestioni propinateci dai mass media mainstream. Comprese quelle, assolutamente sproporzionate e chiaramente fuorvianti, relative all’elezione di un presidente statunitense dalla pelle un po’ più scura.